La nota criminologa Roberta Bruzzone interviene sul caso del 14enne che, a Ravenna, ha tentato di uccidere nella notte i genitori.
«Le famiglie che sembrano “normali” non garantiscono l’assenza di sofferenza nei singoli – si legge in un post di Bruzzone sui social -. In un ragazzo di 14 anni, i moti interiori (isolamento, frustrazione, ideazioni oscure) possono rimanere invisibili, ma possono covare nella segretezza fino a emergere con violenza. Il fatto che ci siano state ricerche “mirate” online fa pendere la bilancia verso una forma di pianificazione psicologica. Non siamo di fronte a un incidente emotivo o a un atto puramente impulsivo. C’è una dimensione intenzionale che richiede indagine profonda. Un gesto così estremo implica che, per il ragazzi, i genitori sono diventati ostacoli da colpire. È un collasso totale del patto fiduciario familiare».
«Le autorità – continua la nota criminologa – sottolineano che non bisogna sottovalutare i segnali di disagio tra i giovani. Eppure, sembra che qui nessuno abbia intercettato nulla, né dentro la famiglia né nella rete sociale del ragazzo. Il confine tra “giovane” e “criminale” può essere fragile se non si raccolgono gli indizi in tempo».
Bruzzone, in questa vicenda, ci vede «un urlo che non è stato ascoltato. Un punto di rottura profondo che ci chiede: dove siamo stati ciechi? Se siamo convinti che la violenza estrema nasce sempre da segni visibili, rischiamo di perderci le storie che si costruiscono dietro i silenzi. E allora non basta indignarsi, bisogna guardare, chiedere, intercettare, ascoltare. Prima che il buio diventi gesto, carne e sangue».