Drammatico Vegetale, in scena per i bambini fin dagli anni settanta

Elvira Mascanzoni e Pietro Fenati, coppia sul lavoro e nella vita, tra i fondatori di Ravenna Teatro, continuano a rappresentare e organizzare rassegne per l’infanzia

 

Drammaticovegetale«Negli ultimi dieci anni abbiamo ottenuto diversi riconoscimenti, è vero, ma la soddisfazione più grande resta quella di vedere i bambini a fine spettacolo che ti vengono a salutare, che ti danno magari un bacino. Ecco, sono momenti intimi e piccole cose come queste che ci danno la benzina per continuare a fare il nostro lavoro». Pietro Fenati ed Elvira Mascanzoni, anima e corpo della compagnia Drammatico Vegetale, fanno teatro per ragazzi da oltre quarant’anni, da quando ospitavano i più piccoli nella Casa del Popolo di Mezzano («bambini che oggi sono signori di 50 anni che si ricordano ancora di noi, ci fermano per strada…»), prima ancora di fondare a inizio anni novanta Ravenna Teatro insieme al Teatro delle Albe, e stabilirsi così nella loro casa comune del Rasi di via di Roma, a Ravenna. Dove tuttora organizzano la stagione teatrale per famiglie e ragazzi che da quest’anno è diventato un appuntamento fisso del giovedì pomeriggio.
«Tutto è nato ai tempi dell’università, al Dams di Bologna, dove abbiamo incomincato a frequentarci – ci raccontano i due, coppia anche nella vita, in una breve chiacchierata nella nostra redazione – e ci siamo avvicinati al teatro di figura, a quello che una volta era chiamato teatro di animazione. Il tema al centro delle lezioni era infatti quello di animare pupazzi, oggetti e burattini, nel solco della tradizione, senza però un target di pubblico predefinito. Poi in quegli anni la scuola si stava aprendo alla società, grazie anche alle riforme, e rivolgerci all’infanzia è stata la nostra evoluzione naturale».
Come sono cambiati i bambini, nel corso di quarant’anni?
«In realtà se devo dire che i ragazzi degli anni settanta erano diversi da quello di oggi direi una cosa esagerata – dice, in particolare, Fenati –, ci sono differenze ma non sostanziali, legate al fatto che oggi ci sono ovviamente stimoli e sollecitazioni diverse».
Tanto che oggi scegliere di andare a teatro rappresenta una scelta quasi controcorrente. Chi sono le famiglie che lo fanno? È possibile fare un identikit?
«Riconosciamo soprattutto famiglie con bambini piccoli, che sembra siano più sensibili, più attente, rispetto a quelle con figli unpo’ più grandi, o forse semplicemente più interessate a uscire di casa, a trovare luoghi dove incontrare altre famiglie. Ma soprattutto a teatro c’è la categoria dei borghesi, inutile nasconderlo, nonostante i prezzi siano praticamente invariati da anni e popolari».
Come si può allargare la base?
«Ci proviamo attraverso la rassegna “Ragazzi a teatro”, riservata alle scuole (vedi sempre pagina a fianco, ndr): l’insegnante che decide di portare una classe a teatro ovviamente porta tutti i ragazzi, non solo alcuni, che così possono scoprire magari una cosa nuova…».
Qual è la magia del teatro, cosa lo rende speciale anche agli occhi di bambini abituati già agli schermi di tv e telefoni?
«Il fatto che sia una cosa viva, anche se in scena c’è solo un pupazzo. È qualcosa che sta accadendo in quel determinato momento e scatta così l’incanto della relazione fra bambino e quello che succede. Anche se non sempre…».
Cioè?
«A volte arriva la famiglia con un figlio grande e uno piccolo, per esempio, e in sala non c’è il pubblico a cui è dedicato quel tipo di spettacolo. Così la magia non scatta del tutto. D’altronde ogni compagnia ha una sensibilità diversa e ogni spettacolo è pensato per diverse fasce d’età».
Vi siete dedicati in particolare alla prima infanzia: perché?
«È stato un approdo naturale, legato anche alla nostra evoluzione formale e artistica. Siamo stati tra i primi a sperimentare negli anni novanta con le nuove tecnologie, le videoproiezioni, un linguaggio che ora è invece piuttosto inflazionato e che abbiamo deciso progressivamente di abbandonare per tornare a una forma di teatro più essenziale, andando a ritroso anche nella fascia d’età. Più essenziale anche nell’uso delle parole, con meno parole possibili, anche spettacoli proprio senza parole che ci hanno anche permesso di lavorare molto all’estero».
Si riesce ancora a lavorare all’estero?
«Eravamo soliti fare spesso date in particolare in Spagna ma con la crisi hanno chiuso del tutto i rubinetti e anche in Francia, che era la punta di diamante del settore, le compagnie italiane non riescono più a lavorare per lo stesso motivo. In generale la crisi si è fatta sentire molto, le istituzioni locali, chi più chi meno, hanno ridotto i finanziamenti e per esempio noi siamo stati costretti a ridurre molto il nostro raggio d’azione, abbandonando in particolare negli ultimi 15-20 anni la direzione di tante rassegne nel Ferrarese (Drammatico Vegetale oggi, oltre a realizzare spettacoli, cura solo le brevi stagioni dei teatri di Russi e Lugo, oltre che quelle di Ravenna, ndr)».
La crisi si è fatta sentire anche sull’aspetto artistico?
«Diciamo che il teatro per ragazzi vive gli stessi problemi e difficoltà del teatro per grandi, ma resta comunque una certa vitalità e ci sono giovani compagnie interessanti, forse in questo caso nate anche grazie alla crisi, che non ha solo aspetti negativi…».

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