Utoya, uno spettacolo politico per raccontare una strage dai tanti interrogativi

Dal libro “Il silenzio sugli innocenti” di Luca Mariani sui fatti accaduti in Norvegia nel 2011 è tratto il lavoro che sarà in scena al Binario di Cotignola l’8 febbraio. Intervista alla regista Serena Sinigaglia

Utoya Mattia Fabris Arianna Scommegna FotoSerenaSerrani

(Foto SerenaSerrani)

Venerdì 8 febbraio al teatro Binario di Cotignola alle 21 uno spettacolo con Arianna Scommegna e Mattia Fabris che trae spunto dalla cronaca recente per aprire interrogativi e far riflettere sul presente. Il titolo è Utoya, l’isola in cui il 22 luglio 2011 l’allora trentenne Anders Breivik uccise in un’ora e mezza 67 ragazzi tra i 14 e i 20 anni che stavano partecipando al campeggio dei giovani laburisti norvegesi, dopo aver fatto esplodere una bomba a Oslo per distrarre l’attenzione. Su quell’evento il giornalista Luca Mariani ha scritto un saggio “Il silenzio sugli innocenti” che, capitato tra le mani della regista Serena Sinigaglia, ha ispirato lo spettacolo.

Serena, come nasce l’idea di uno spettacolo su un fatto così recente?
«Quando mi sono trovata a leggere il libro di Mariani mi sono resa conto che avevo dimenticato quel fatto così grave e così recente e mi sono chiesta come fosse stato possibile. Una strage avvenuta in Norvegia, nel cuore dell’Europa, in un paese che noi consideriamo un modello a cui aspirare. E la risposta è che nella mia coscienza lo avevo, come tanti e anche in ragione di come fu trattato allora da molti media, derubricato al gesto terribile di un folle. Leggere l’inchiesta di Mariani mi ha fatto riflettere come invece quell’episodio abbia anticipato di fatto il viraggio molto netto che stiamo vivendo in Europa e nel mondo verso un populismo piuttosto sinistro. Stiamo assistendo al ritorno di discorsi di violenza, settarismo, a quel giro di boa destrorso di una destra che abbiamo conosciuto nelle sue espressioni più feroci. E assistiamo anche a un indebolimento delle istituzioni democratiche in un sistema che somiglia a quello tirannico».

Dunque l’idea è che si sia trattato di un gesto politico. E questo lo distingue profondamente, per esempio, dalla strage di Columbine di cui abbiamo visto il film-documentario di Michel Moore anni fa…
«Sì. L’episodio di Columbine è il sintomo di un profondo disagio sociale, dove ragazzini giovanissimi hanno sparato nella loro stessa scuola. Questa invece è una strage politica nel cuore della socialdemocrazia. Breivik, quando agisce, ha trent’anni e da cinque sta mettendo a punto il piano con lo scopo dichiarato di uccidere chi credeva in una società inclusiva, accogliente, che voleva l’emancipazione della donna e un welfare meno liberista. L’idea era offendere e trucidare chi credeva in un pensiero utopista, inclusivo e dialettico e dentro quel fatto ci sono interrogativi inquietanti, che sono quelli che mi interessava soprattutto far emergere in teatro».

Utoya Mattia Fabris Arianna Scommegna3 FotoSerenaSerrani

(Foto SerenaSerrani)

Lei non ama la definizione di teatro civile. Perché questo spettacolo non si può quindi definire tale?
«Perché il teatro civile ricompone apollineamente, offre una consolazione, racconta il fatto, permette allo spettatore di uscire più solido. Io invece amo di più il teatro politico, che non riconcilia e anzi sollecita domande e interrogativi. Ormai il teatro, forse perché più intimo e per pochi, è rimasto l’unico baluardo dove ancora lo sguardo del censore arriva più tardi, per esempio rispetto al cinema».

Tra le questioni sollevate, anche le responsabilità del governo norvegese che aveva sottovalutato la portata di quanto accaduto, anche se il colpevole è stato prontamente assicurato alla giustizia…
«Sì, perché lui si è consegnato dichiarandosi “prigioniero politico” dopo aver potuto agire indisturbato per oltre un’ora sull’isola e dopo l’attentato a Oslo per “distrarre l’attenzione”. Quest’uomo per cinque anni aveva lavorato al suo piano e aveva avuto contatti anche con molti esponenti europei della destra radicale, anche italiani. Ci sono le mail a provarlo. Ha potuto comprare il materiale per costruire la bomba. Quel giorno gli elicotteri e i barchini delle forze dell’ordine non erano disponibili per raggiungere l’isola. E dopo non c’è stata una sostanziale e importante indagine da parte del governo, che è stato carente anche sul piano della narrazione».

Come si mette tutto questo in uno spettacolo di teatro politico e non civile? Chi vediamo in scena?
«Poiché il libro di Mariani è un’inchiesta giornalistica, ho chiesto a un grande drammaturgo come Edoardo Erba di lavorare a un testo teatrale. Ne sono nate tre coppie che vivono il giorno prima, il giorno stesso e il giorno dopo la strage. Ci sono due genitori, borghesi, che hanno la figlia al campeggio. In particolare il padre l’ha voluta mandare. Tra i due scoppierà una crisi, come in crisi sono tanti rapporti famigliari oggi. Ci sono due poliziotti che vedono dalla terra ferma quello che sta succedendo ma non possono agire perché ricevono ordini di aspettare. E qui si affronta il tema del conflitto e dell’obbligo. E ci sono un fratello e una sorella che vivono nella fattoria accanto a quella dove Breivik per anni pianifica e costruisce la bomba, ma alla fine la sorella sceglie l’indifferenza di fronte a strani movimenti, avrebbe potuto denunciare ma preferisce tacere. Arianna e Mattia, gli attori, li interpretano in modo molto liquido, sono bravissimi».

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(Foto SerenaSerrani)

Quindi non ci sono né le vittime né il colpevole?
«Esatto, ho troppo rispetto per le vittime per pensare di far parlare loro. Né tanto meno volevo anche solo nominare Breivik, anche per cedere a quel forte elemento narcisistico che è sempre presente in questi casi. Ma volevo onorare le vittime. E questo avviene attraverso la scenografia di Maria Spazzi. Ne è emerso uno spettacolo molto rigoroso, quasi un’orazione funebre».

Le reazioni del pubblico?
«Sempre molto forti, nessuno rimane indifferente. Ed è ormai diventata un’abitudine, dopo lo spettacolo, far seguire un incontro in cui gli spettatori fanno domande a Mariani (che sarà in sala anche al teatro Binario, ndr) perché vogliono saperne di più».

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