Oggi sono uno spettatore di parte. Sono a una replica a Palazzo Malagola del Don Chisciotte ad ardere di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari. Io ho iniziato, come migliaia di ragazzi e ragazze di Ravenna, in un coro teatrale alla non-scuola. Non so quante città in Italia possano vantare qualcosa di simile, non credo molte. Io, in prima media, ho scoperto una chiamata, una storia, durata otto anni di non-scuola e un anno di Don Chisciotte. Quell’anno, a 18 anni – era il 2023 – ho conosciuto il vero teatro. Un grande set che prendeva vita: Marco Martinelli che dirigeva le operazioni, Ermanna Montanari che mi istruiva sulla posizione in scena, Roberto Magnani, Alessandro Argnani e Laura Redaelli che ripetevano le loro parti. Mentre tutt’intorno un coro di genti diverse, che arrivavano da tanti mondi.
Coro è la parola fondamentale per raccontare questo spettacolo, questa compagnia, quel Teatro delle Albe che sta pian piano, da decenni, spiegando a Ravenna, all’Italia e al mondo cosa può fare un gruppo di gente apparentemente comune che si dà regole, battute e voce. La ripetizione e le prove mettono a punto un’orchestra che inizia dall’entrata nel “Di legno porton” – così lo definisce Ermanita (Ermanna Montanari) nel monologo d’apertura – e termina sostanzialmente alla terza anta sul palco del Rasi, dove corpi e figure si muovono come burattini sul palco del “Teattrino” un’ultima volta nelle 4 ore di spettacolo, per lasciar spazio alla morte di Don Chisciotte, senza pentimento. Un coro di arti affianca le genti, canto, disegno, scenografia, sceneggiatura, glossolalia, musica e racconto, una scultura a tutto tondo di ciò che siamo in grado di rappresentare.
Nella prima anta la passeggiata per palazzo Malagola è mozzafiato, le musiche, le danze e le scene corali guidano; ricordo la minuziosità di Martinelli nel posizionare tutti quanti in modo da creare un quadro in movimento, dove ognuno era fondamentale allo sviluppo della scena. Io avevo giusto qualche battuta, come molti altri, Martinelli veniva da ognuno di noi, si ripeteva e si provava, si ripeteva e si provava. Vengono presentati i personaggi e gli attori che li interpretano, facciamo conoscenza con le dinamiche della compagnia composta da Roberto del Castillo, Laura Ros de la Brianza e Alejandro Argnan de Puerto Foras (Magnani, Redaelli, Argnani), dalle scene traspare un’intesa costruita in anni di lavoro insieme. Gli interventi di Marcus (Martinelli) ed Ermanita danno infine respiro a un ritmo teso e incalzante.
Lo spettacolo prosegue sfondando spesso la quarta parete: si usa questa tecnica per parlare di teatro, della compagnia stessa, nella seconda anta al Palazzo di Teodorico, della fatica di fare teatro in questo mondo, ma quindi della sua importanza, di quello specchio “luminoso e zoppicante” che è l’arte drammatica, necessaria a tutti.
Il messaggio politico è forte e chiaro. il Don Chisciotte ad Ardere è contro la guerra, contro il “maledetto archibugio”, contro la tendenza a cui il mondo che dista ormai secoli dai tempi di De Cervantes si sta abbandonando, contro i triliardi di dollari nelle mani di pochi, contro la fame, lo sfruttamento, per le donne, per la parità dei generi.
I migliori momenti sono sicuramente alcuni monologhi di Don Chisciotte o Roberto del Castillo (Magnani) sulla guerra e sul mondo nella prima e terza anta; invece a illuminare la notte al Palazzo di Teodorico è un folgorante intervento nella seconda dal gruppo delle Marcelle e dei Marcelli su una ragazza adolescente usata come schiava di piacere per mezza Europa e lasciata con suo figlio in grembo “sul fondo di un lago”. La terza anta inizia con un ritorno alla Divina Commedia e un rinfresco al Forno la “Vela Bianca” di Sancho Panza al ridotto del Teatro Rasi con pane, acqua e vino; si prosegue poi nel vero e proprio teatro con le nozze di Gamaccio, dove il coro riprende centralità con danze e musiche. Dopo un poderoso intervento da alcuni minuti tutto d’un fiato, saltellando a destra e sinistra, di Sancho Panza (Argnani) lo spettacolo si conclude con le ultime battute dei cinque protagonisti, la morte di Don Chisciotte e un immenso cavallo alato posizionato nell’abside della chiesa che ora ospita il palcoscenico.
Uno sforzo “titanico” come lo definisce Martinelli, dove gli Erranti, gli spettatori, noi, sono parte dell’opera; un mondo intero prende vita, una città chiamata a raccolta, un gruppo di artisti che mette in atto un grande lavoro. Con i suoi pregi e i suoi difetti, con la sua partecipazione e la sua politica, con la sua fatica e la sua storia, questo è il Teatro delle Albe.