Di Marco (Ap), l’ultimatum: «Accettino gli espropri o salta tutto il Progettone»

Il presidente: «Non potremo stanziare più di 50 milioni per le aree»
Ma Confindustria attacca: «Perché l’ente pubblico fa capannoni?»

Il Progettone è a rischio. L’approfondimento dei fondali del porto di Ravenna, maxi opera ormai universalmente nota come Progettone, è una partita da 220 milioni di euro pubblici con l’Autorità portuale che stima di utilizzarne un quarto per l’acquisizione di 224 ettari di terreni privati dove collocare i fanghi scavati. Ma se con le controparti, in totale 43 soggetti, non si dovesse arrivare a un accordo bonario e le richieste dovessero essero molto più alte è a rischio l’intera opera. A mettere sul tavolo l’ipotesi che tutto salti è Galliano Di Marco, presidente di Ap: «I lavori sono indispensabili per il futuro dello scalo e farò di tutto per arrivare al risultato ma voglio sia chiaro a tutti che questo non è l’assalto alla diligenza».

Il manager tiene alta la guardia e lancia l’avvertimento: «Un margine di trattativa è legittimo e fa parte delle previsioni ma fare richieste oltre certe percentuali porterà solo a far saltare tutto e a quel punto se salta il Progettone vuol dire che non si fa nessun esproprio». Messaggio ai naviganti: prendere o lasciare perché a tirare troppo, la corda si potrebbe spezzare e a quel punto non ci saranno nemmeno i circa 50 milioni di euro previsti. Le cose al momento stanno così: Ap di Ravenna – «Unica tra quelle italiane ad avere un business plan», è il vanto di Di Marco – ha presentato a tutti i privati la propria proposta di acquisizione secondo le stime calcolate da due periti incaricati (45-46 milioni di euro): «Farei volentieri a meno di espropriare ma è un male necessario».

La legge prevede che in caso di accordo immediato vi sia un bonus del 10 percento. L’alternativa agli accordi bonari è l’esproprio con la forza pubblica ma con il rischio di ricorsi che potrebbero portare anni dopo a indennizzi: un costo aggiuntivo per l’ente pubblico non quantificabile al momento e quindi un carico di rischio. Finora solamente due o tre avrebbero accettato l’offerta: «Poco più della metà hanno proposto un ritocco, il trenta percento chiede un adeguamento oltre i limiti accettabili e un dieci percento fa le barricate per resistere a tutti i costi a prescindere dalla cifra che si propone».

L’iter ora prevede di ottenere i pareri favorevoli al progetto da tutti gli enti pubblici (dopo quelli di Comune e Provincia) per poi presentarsi al comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) e ottenere il decreto: «A quel punto avremo novanta giorni per fare il bando dei lavori ma se in quei tre mesi non arriverò alle firme sugli accordi con i proprietari dei terreni non ci sarà nessun bando». Se non faccio il Progettone me ne vado da Ravenna, disse tempo fa Di Marco. E ora conferma l’ipotesi: «In quel caso certo che me ne andrò. Che faccio, resto per mettere il gas nelle damigiane? Mi dedicherò al piano B per lo svuotamento delle nostre casse di colmata le cui autorizzazioni rilasciate dalla Provincia erano scadute prima del mio arrivo nel 2012 e si è andati avanti solo ipotizzando di poter utilizzare le aree espropriate. Senza la disponibilità dei terreni vorrà dire inviare i fanghi in Germania sui treni con un piano di cinque anni che costerà 80-90 milioni per smaltire il materiale. Impostato quel piano mancherà poco alla naturale scadenza del mio mandato prevista per marzo 2016 e poi tanti saluti».

Dei 224 ettari individuati da Ap, 56 appartengono a Cmc e 38 a Sapir. I due big dell’economia ravennate non hanno accettato l’offerta dell’ente pubblico ritenendolo inferiore al mercato. Il terminalista (a maggioranza pubblica) ha fatto una controproposta: restare proprietario delle aree pur mettendole a disposizione per la sistemazione dei fanghi e la successiva realizzazione della piattaforma logistica. «È un’ipotesi che stiamo valutando – dice Di Marco –. I nostri legali non sono contrari e sarebbe un risparmio di svariati milioni sugli espropri (indicativamente, sull’ordine degli otto milioni di euro, ndr) ma la parola definitva spetta al Cipe che potrebbe volere la proprietà di Ap per tutte le aree su cui realizzare la piattaforma». In conclusione l’appello di Di Marco: «Mi auguro che tutti remino dalla stessa parte capendo che il Progettone è per il bene del porto».

Il Progettone e gli espropri sono diventati negli utlimi giorni il campo di battaglia di uno scontro a distanza tra Confindustria e Autorità portuale a colpi di comunicati stampa (entrambi scaricabili in versione integrale in pdf dai link in fondo alla pagina). Ad aprire le ostilità sono stati gli Industriali con una nota firmata del presidente Guido Ottolenghi. Parole dure: «Desta angoscia il disinvolto ed esteso uso dell’esproprio, che è uno strumento estremo nella tutela dell’interesse pubblico, poiché esso sopprime un diritto fondamentale, quello della proprietà privata». E anche critiche all’indirizzo del progetto di piattaforma logistica che Ap intende realizzare sulle aree da espropriare tra Candiano e Porto Fuori: «Un progetto immobiliare di costruzione di una delle più vaste piattaforme logistiche d’Italia, su ben 220 ettari di terreni non collegati tra loro e in corso di esproprio, definendola una priorità pubblica non attuabile dai privati poiché non economica. Che una ingente e crescente somma di denaro dei cittadini debba essere indirizzata a fare 220 ettari di capannoni, tra l’altro a discapito dello sviluppo portuale, ci appare incomprensibile e sbagliato». Per un motivo chiaro: «La proprietà pubblica di beni economici genera alterazioni nella concorrenza, inefficiente allocazione delle risorse e altre distorsioni». La replica firmata da Di Marco, presidente Ap, non ha tardato ad arrivare: «Nel caso del Progettone non esiste alcuna alterazione della concorrenza: l’Autorità portuale mette gli operatori in condizione di operare, realizzando le infrastrutture della Piattaforma Logistica e, successivamente, facendo gare concorrenziali per avere aree attrezzate. Gare, non una situazione monopolistica come quella odierna». Poi la frecciata al veleno: «Se Ottolenghi, quando parla di alterazione della concorrenza, si riferisce alla Sapir, di cui il suo gruppo è azionista, non posso che essere d’accordo: gli enti pubblici dovrebbero uscire da Sapir e renderla una società che sta sul mercato». La replica si concentra anche sul tema degli espropri: «All’angoscia del dottor Ottolenghi per gli espropri possiamo solo rispondere che essi sono una necessità di qualunque opera pubblica importante come il Progettone». Sul tavolo c’è la questione non secondaria delle casse di colmata al momento esistenti e piene: «La piattaforma logistica – spiega Di Marco con riferimento al progetto preliminare redatto da Sapir Engineering – doveva essere realizzata dai privati e questo comprendeva lo svuotamento delle casse di colmata. Peraltro, il progetto non aveva tenuto conto del fatto che le autorizzazioni alle casse di colmata erano scadute. L’Autorità Portuale di Ravenna disse al Cipe, e l’ho personalmente spiegato anche al procuratore capo di Ravenna, che il Progettone le avrebbe svuotate, sanando così una situazione de facto di discarica abusiva, con la quale il sottoscritto non ha nulla a che vedere (autorizzazioni rilasciate sotto la presidenza Parrello, ndr). Lo svuotamento del 100 percento doveva essere realizzato dai privati e a fine 2014 le casse avrebbero dovuto essere vuote. Al momento sono ancora piene. Nel passaggio dal preliminare a definitivo è emerso il problema (anche penale) dell’area di Logistica 3 e l’Autorità portuale di Ravenna, nonostante non sia coinvolta in nessuna vicenda penale, ha deciso di intervenire, a termini di legge, come soggetto attuatore della piattaforma logistica, provvedendo lei a fare l’infrastrutturazione pubblica e lanciando dei Ppp (Progetti Pubblico/Privato) per la parte dei capannoni».

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