Hera verso il cambio di statuto Meno azioni pubbliche ma maggiorate

La modifica consentirà ai soci pubblici di mantenere il controllo
anche scendendo al 38 percento. Ravenna ne ricaverà 8 milioni

Dopo settimane di polemiche, dibattiti, spaccature, è arrivata in consiglio comunale anche a Ravenna (23 aprile) la delibera sulla modifica del cosiddetto patto di sindacato di Hera, quello per cui i Comuni soci si accordano per vincolare un numero sufficiente di azioni per mantenere il controllo della multiutility al pubblico. Fino a oggi questa quota era pari al 51 percento, ora si scende al 38 ma questo, garantiscono da Hera e dal Pd, non comprometterà il controllo dell’azienda grazie a modifiche statutarie che saranno sottoposte all’approvazione dell’assemblea dei soci il 28 aprile.

Le ragioni e le modalità: se le azioni valgono doppio
Da cosa nasce la decisione di vincolare di fatto solo il 38 percento delle azioni? Sostanzialmente dalla necessità, per i Comuni soci, di vendere le proprie quote di Hera e fare cassa in tempi di tagli ma senza perdere il controllo della multiutility. Le novità introdotte e che si leggono nella delibera servono inoltre a istituire una sorta di elenco speciale dove si collocano le azioni per un periodo minimo di 24 mesi, azioni che garantirebbero poi la possibilità di un voto maggiorato nell’assemblea dei soci, dove insomma non tutte le azioni sarebbe uguali: quelle iscritte nel registro e quindi vincolate per un periodo di tempo varrebbero più della altre. Un meccanismo complesso elaborato da esperti previsto dall’ordinamento italiano solo dal 2014 e che dovrebbe avere lo scopo, oltreché di garantire ulteriormente il controllo ai soci pubblici, di “fidelizzarli” anche per evitare fughe in avanti o vendite massicce che potrebbero finire per turbare gli equilibri di mercato e deprezzare le azioni stesse nel mercato della Borsa.

Vendere o non vendere? Il dietrofront di Bologna
Capoluogo di regione e Comune con più quote, tramite il sindaco Virginio Merola era parso il più deciso a ricorrere alla vendita di azioni Hera per fare cassa. E di fronte a Bologna che decide di vendere, devono aver pensato anche da queste parti, non ha senso restare gli unici “fedeli alla linea” di non vendere quando c’è così tanto bisogno di soldi per fare lavori che ufficialmente saranno investimenti ma in pratica sono di manutenzione (vedi le buche nelle strade). Merola però, a poche settimane dal voto decisivo, ha detto che non è più intenzionato a vendere, probabilmente per accontentare le forze di sinistra perché da fondi europei dovrebbero arrivare i milioni di euro che sperava di recuperare con Hera. I Comuni romagnoli si sono piuttosto arrabbiati e hanno scritto a Merola una lettera in cui invocano una parità di trattamento rispetto al capoluogo per eventuali fondi. Ma intanto, vendita o non vendita, il 28 aprile si modificherà comunque lo statuto della multiutility e proprio per quel giorno è previsto, tra l’altro, uno sciopero dei lavoratori di Hera di Cgil e Uil e una manifestazione a cui sono chiamati anche i cittadini. A riprova di ciò che dicono anche gli amministratori ravennati: modificare il patto di sindacato non implica alcun automatismo sulla vendita.

Ma c’è chi parla di strada verso la privatizzazione
La ragione dello scontento che Cgil e Uil stanno manifestando in maniera crescente è che ritengono la modifica allo statuto di Hera di fatto una via alla privatizzazione. Perché al netto anche del controllo, dicono, la proprietà potrebbe presto passare in maggioranza in mano privata. Una privatizzazione tanto più inaccettabile per chi ha fatto campagna per i referendum del 2011 in quanto Hera è gestore anche dell’acqua, bene pubblico per eccellenza.

Lo scacchiere politico Pd unito, maggioranza divisa
Insieme ai sindacati sulle posizioni contrarie alla modifica ci sono le forze di sinistra coalizzate a Palazzo Merlato con il Pd come i comunisti di Fds (Pdci e Prc) e anche Sel che hanno votato contro con i loro assessori e altrettanto faranno con i consiglieri. La delibera è stata approvata con 15 voti favorevoli e 12 contrari. Hanno votato a favore Pd e Pri; contro i gruppi di opposizione (M5s, Lpr, Fi, Ncd), Sel e Fds. Il Pd appare almeno esternamente compatto nell’operazione con il segretario provinciale che è intervenuto sul tema sposando la tesi Cisl che di fatto approva la modifica del patto e chiede che venga però colta l’occasione di far entrare nel cda anche i rappresentanti dei lavoratori. Argomento tuttavia questo non oggetto di alcun dibattito concreto o di alcuna proposta di modifica statutaria.

I conti di Ravenna Holding: ma quante azioni vendere?
Intanto non è chiaro quante azioni Hera il Comune intenda effettivamente vendere. Il sindaco ha più volte assicurato: «Il minor numero possibile». Evitare in toto l’operazione sembra fuori discussione, ma pare ormai certo che potrebbe bastare la vendita di meno della metà di quanto inizialmente preventivato, su 10milioni di azioni. Ravenna Holding in luglio dovrà deliberare il piano straordinario per fornire ai soci (il Comune di Ravenna all’88 percento il restante diviso tra Cervia e Faenza) i 20 milioni richiesti. Di questi circa 8 potrebbero arrivare appunto dalla vendita di circa 4 milioni di azioni, il resto da alienazioni di patrimonio immobiliare (non però immediate) e da prestiti. Insomma, il mix di azioni di cui il presidente di Ravenna Holding aveva parlato fin dal primo momento (vedi tra i correlati). Il tutto comporterà inevitabilmente un abbassamento dei dividendi che la Holding sarà in grado di garantire ai soci negli anni a venire e che ora sono dovuti appunto ai dividendi di Hera. È ragionevole stimare che questo calo non potrà comunque superare il milione all’anno complessivo (quello che si avrebbe nel caso si ottenessero i 20 milioni extra dalla sola vendita di azioni Hera). In ogni caso, da ovunque vengano, la questione che politicamente si riapre è a questo punto un’altra: a cosa servono questi soldi? E qui il dibattito divide non solo la sinistra, ma anche i Repubblicani.

Gli scaglioni e le quantità di azioni da vendere
Intanto in consiglio si sono definiti gli scaglioni e le quantità di azioni che Ravenna Holding potrà vendere senza violare il nuovo patto di stabilità cui peraltro non aderiscono tutte le città che vi aderivano prima, come per esempio il Comune di Forlì. Così si legge nel comunicato diffuso da Palazzo Merlato dopo la riunione: «Il numero complessivo delle azioni bloccate non potrà essere inferiore al 45,1 per cento del capitale sociale di Hera dalla data di efficacia del patto (1 luglio 2015) al giorno in cui sarà loro attribuito il voto maggiorato (indicativamente luglio 2017); e al 38,5 per cento del capitale sociale di Hera dal giorno in cui sarà loro attribuito il voto maggiorato a quello in cui scadrà il patto (30 giugno 2018). Di conseguenza sarà adeguato il numero di azioni libere e quello di azioni bloccate nel triennio di vigenza del patto, rispetto a tre periodi temporali di riferimento. Per quanto riguarda Ravenna nel periodo 1 luglio – 31 dicembre 2015 le azioni bloccate saranno 78.658.194 (tra quelle che il Comune detiene direttamente e attraverso Ravenna Holding) quelle libere 8.216.143; dall’1 gennaio 2016 al giorno in cui sarà attribuito il voto maggiorato alle azioni bloccate per Ravenna le azioni bloccate saranno 72.771.042, quelle libere 5.887.152; dal giorno successivo a quello in cui sarà attribuito il voto maggiorato alla scadenza del patto (30 giugno 2018) per Ravenna le azioni bloccate saranno 62.225.906, quelle libere 10.545.136».

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