Estrazioni gas a terra, Paglia (Si): «Progetti senza benefici per i territori»

Dalla Puglia all’Emilia-Romagna il deputato di Sinistra Italiana sta facendo una battaglia contro gasdotti e nuovi pozzi

Giovanni Paglia (terzo da sinistra) durante un presidio in Puglia contro il gasdotto Tap

Tra chi è in prima fila contro il progetto di sondaggio ed estrazione gas nella Bassa Romagna nel progetto Longanesi, c’è Giovanni Paglia, parlamentare ravennate di Sinistra Italiana che ha presentato interpellanze al ministero e si è occupato anche di progetti analoghi nel Cesenate e nel Reggiano. Sempre dalla parte del no. «Il punto è che si tratta di attività che creano solo danni e disagi al territorio, senza portare alcun beneficio. Nella maggior parte dei casi, non si arriva nemmeno all’estrazione del gas, perché è di cattiva qualità e molto costoso da estrarre. Cosa peraltro già nota visto che Eni, quando aveva il monopolio delle riserve metanifere, aveva già mappato il territorio ed estratto là dove era conveninente farlo, come a San Potito, dove infatti il giacimento è ormai esaurito da tempo e utilizzato oggi come stoccaggio».

Quindi, secondo Paglia, spesso a spingere le aziende è anche «il guadagno certo dato dalla cessione delle mappe aggiornate (dopo la fase di sondaggio) al Mise, costretto ad acquistarle tramite un fondo vincolato». «In genere vengono pagate sui due milioni di euro – prosegue Paglia – Poca roba? È vero, ma del resto queste aziende molto piccole che nascono, chiudono, si fondono, non spendono nulla o quasi per realizzarle e quelli sono introiti certi». A maggior ragione, perché allora opporsi, quale pericoli si rischiano davvero per l’ambiente? «Innanzitutto perché non si può mai sapere ed è sempre meglio la prudenza, e in secondo luogo perché anche la fase di sondaggio crea problemi; si usano  comunque microcariche che vengono fatte esplodere sottoterra e che possono provocare danni agli edifici. Non a caso tutti i sindaci dei territori coinvolti normalmente sono contrari e fanno battaglie per impedire che siano effettuate (vedi per esempio anche il caso della Stefanina tra Ferrara e Ravenna, ndr), non si capisce bene perché solo a Lugo nella Bassa invece sono favorevoli, se non in una logica ormai superata». Perché  Paglia, e con lui tutte le opposizioni, ne sono convinti: i benefici per i territori sono pochi o nulli. «Quello che si otterrà sono opere idrauliche che andavano fatte e per cui bisognerebbe battersi per avere i fondi, non svendere il territorio. Peraltro anche in caso di estrazione, non ci saranno royalties, né veri benefici in termini di occupazione visto che come noto per questi insediamenti bastano pochissime persone».

Sul banco degli imputati anche il cosiddetto provvedimento del governo Renzi “Sblocca Italia” che ha sicuramente di fatto semplificato e accelerato la possibilità per queste aziende di estrarre anche senza il consenso dei territori. Vero è che l’azienda è stata costretta a produrre una corposa documentazione e, come sottolinea anche Confindustria Romagna, i permessi sono stati dati, le raccomandazioni sono state accolte, tutto pare a posto. Che margini ci sono di manovra ancora? «Ci sono sempre margini di manovra, politicamente parlando, lo Stato può sempre, se lo vuole, revocare un permesso. Al massimo dovrebbe poter pagare una penale, ma si tratta di terreni e beni pubblici di cui può rientrare in totale possesso recedendo dalle concessioni. È evidente che, a differenza di quanto accaduto alla Stefanina, qui non c’è la volontà politica di agire in questo senso. Per questo chiamiamo la popolazione a una battaglia sul territorio».

E di battaglie sul territorio Giovanni Paglia ne condivide un po’ in tutta Italia. Di recente lo si è visto per esempio in Puglia dove è in corso una protesta di amminsitratori locali e residenti contro la realizzazione del cosiddetto Tap, il tanto contestato  gasdotto per far passare il quale è stato necessario abbattere piante di ulivi. Un fatto lontano, appunto in Puglia, che ma per cui Paglia vede un diretto collegamento anche con il nostro territorio. «Certo, stanno cercando di trasformare l’Italia nell’hub del gas del Mediterraneo e quindi fa molto gioco avere siti di stoccaggio come sono quello di San Potito, già esistente, e quello che sempre Stogit avrebbe voluto realizzare nel territorio di Alfonsine. Servono a queste aziende per immagazzinare gas a basso prezzo e rimetterlo in circolo quando il prezzo si alza. Tutto questo senza la minima ricaduta positiva sui territori, semmai, appunto, il contrario e senza che l’Italia abbia alcun bisogno di questi stoccaggi per il proprio fabbisogno».

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