Il comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) del futuro Governo potrebbe anche decidere di cancellare i 60 milioni per ora stanziati. In quel caso non sarebbero più certi nemmeno i 120 milioni del mutuo bancario. Ancisi (Lpr) sostiene che manchi la valutazione di impatto ambientale, i legali di Ap dicono che si può procedere così
Il destino del porto di Ravenna si deciderà entro 45 giorni. Il maxi progetto da 235 milioni di euro di denaro pubblico, per avere fondali da 12,5 metri e cementificare 130 ettari di campagna per farne piattaforme logistiche, necessita ancora dell’ultimo definitivo e fondamentale sì da parte del comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe): al momento non sono in agenda riunioni ma la convinzione degli addetti ai lavori è che ce ne sarà una prima delle elezioni politiche. Scavalcare quella scadenza (4 marzo) senza aver avuto l’ok vorrebbe dire finire in un territorio di incognite che potrebbero addirittura minare la realizzabilità del progetto.
L’organo collegiale è infatti composto dai principali ministri del Governo e detta l’agenda in materia di politica economica: impossibile stabilire oggi quando sarà varato il nuovo esecutivo, quando tornerà a riunirsi il Cipe e soprattutto se rimarrà la convinzione di considerare l’hub portuale di Ravenna come un progetto strategico di rilevanza nazionale come è ritenuto oggi al punto da aver impegnato 60 milioni di euro. L’eventuale cancellazione di questo finanziamento statale a fondo perduto potrebbe avere ripercussioni a cascata: i 60 milioni infatti rappresentano una sorta di garanzia con cui l’Autorità portuale ha potuto stringere un accordo con la Banca europea degli investimenti (Bei) per un prestito di 120 milioni di euro. E dall’Unione Europea è stato assegnato un contributo di 40 milioni. Insomma: o si riunisce il Cipe prima delle elezioni e Ravenna è all’ordine del giorno oppure il futuro dello scalo sarà da riscrivere.
C’è però qualcuno che da tempo va ripetendo, in tempi recenti lo ha fatto anche nelle sedi istituzionali, che questo progetto così come è stato consegnato a Roma non si può approvare perché manca di un documento imprescindibile e ormai impossibile da ottenere con la ristrettezza dei tempi a disposizione. Lo scenario è dipinto da Alvaro Ancisi, consigliere comunale di Lista per Ravenna. Il decano dell’opposizione è uscito allo scoperto a metà dicembre in occasione della seduta in cui l’assise ha approvato la delibera per il progetto dei fondali (24 voti a favore e 4 contrari). Ancisi non ha votato e ha visto bocciare gli emendamenti presentati.
In particolare uno è molto significativo ed è quello in cui si sostiene che manchi la Via per una delle tre aree che dovranno accogliere circa un quarto dei 4,7 milioni di metri cubi di sedimenti da dragare. Via è un acronimo che sta per Valutazione di impatto ambientale. Spetta al ministero dell’Ambiente perché si tratta di un progetto di portata nazionale e come dice il nome stesso è il documento che mette in fila quanto un intervento urbanistico incida sul territorio, se sia accettabile e con quali eventuali prescrizioni.
Ma come può mancare un’autorizzazione così importante per un progetto così colossale che mette in ballo duecento e passa milioni? È la domanda che ci siamo fatti in redazione. L’abbiamo rivolta ad Ancisi e anche all’Autorità portuale. Quest’ultima lascia intendere che le cose siano in regola, il primo invece è convinto che si tratti di un clamoroso errore, partorito così bene a livello ravennate con una serie di rimpalli nella catena delle responsabilità tra varie istituzioni da rischiare di sfuggire anche al controllo del Cipe quando si esamineranno le carte per l’ultimo parere.
L’attenzione di Ancisi si concentra sulla S3. La battaglia del consigliere comunale sulla presunta irregolarità dell’area va avanti da tempo, era già cominciata durante la presidenza Di Marco (2012-16) quando si cominciò a conteggiare quella porzione di territorio per realizzare il progettone. Ancisi ha raccolto un corposo dossier di documenti sulla questione e sostiene che l’S3 sia esterna al piano regolatore portuale del 2007 (in realtà le mappe mostrano che rientra nei confini) e finora sia stata rilasciata una sola Via per i progetti legati agli escavi ed è quella che risale al 20 gennaio 2012 ma quella Via fa riferimento alle Opere Connesse al Prp 2007 (l’ultimo approvato e tuttora vigente) che non includevano l’S3. I settanta ettari a nord della città sono stati presi in considerazione per la collocazione dei fanghi solo in seguito e – dice Ancisi – mai è stata chiesta una nuova procedura di Via. A sostegno della sua accusa porta più di un argomento: Autorità portuale non ha mai mostrato una Via specifica per l’S3 e i proprietari di quell’area non hanno ricevuta alcuna comunicazione come invece accade da protocollo quando il ministero apre una procedura di Via.
Ma perché Ancisi teme che la mancanza della Via, se così palese come afferma, possa sfuggire al Cipe? Perché a suo parere i vari passaggi negli anni hanno sepolto la mancanza sotto diversi strati di burocratese. E già c’è stato un momento in cui il Cipe avrebbe dovuto accorgersene ma non è successo. Il riferimento è al 26 ottobre 2012. Quel giorno la riunione del comitato interministeriale prese in esame il progetto preliminare (nella versione elaborata sotto la presidenza Di Marco) e approvò. Ma secondo le elaborazioni del consigliere comunale già quel preliminare includeva l’area S3 priva di Via.