Legambiente: «Eni si fa paladina del clima con la Ccs ma intanto estrae ancora gas»

L’associazione ha realizzato un flash mob sulla spiaggia di Porto Corsini per criticare la lentezza con cui il Cane a Sei Zampe sta dismettendo le piattaforme offshore

Flash Mob Di Goletta Verde A Porto Corsini (1)«Invece di spendere soldi pubblici su un incomprensibile progetto di cattura di anidride carbonica e stoccaggio nel sottosuolo, queste risorse vanno investite in maniera decisa su impiantistica legata allo sviluppo delle rinnovabili come l’eolico e fotovoltaico offshore e l’idrogeno verde che va utilizzato solo dove è strettamente necessario». Sono le parole di Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, dopo il flash mob che si è tenuto ieri mattina, 8 agosto, sulla spiaggia libera di Porto Corsini, «per ribadire che il futuro energetico del nostro paese non può passare per le fonti fossili».

Nell’alto Adriatico, a largo della costa dell’Emilia Romagna fino al confine con il Veneto e con il Parco del Delta del Po, ci sono 77 piattaforme che estraggono gas. Di queste 12 rientrano nell’elenco delle piattaforme da dismettere nei prossimi anni, secondo quanto previsto dal programma di decommissioning portato avanti nel corso degli ultimi anni. «Ad oggi abbiamo solo 5 piattaforme petrolifere offshore che hanno intrapreso ufficialmente la strada del decommissioning (smantellamento): Ada 3, Azalea A, Porto Corsini 73, Armida 1 e Regina 1 tutte a largo delle coste veneto romagnole. Il decommissioning offshore relativo al Distretto di Ravenna prevede un impegno economico di circa 150 milioni di euro in quattro anni con 33 pozzi da chiudere e 15 strutture da dismettere, che aspettano il rilascio delle necessarie autorizzazioni».

Porto Corsini Mare è la concessione Eni che si trova al largo della costa ravennate e per la quale è stata chiesta, lo scorso 31 maggio, l’autorizzazione al Ministero della Transizione Ecologica per lo stoccaggio della CO2 nei giacimenti esauriti. L’idea è quella di catturare la CO2 direttamente dagli impianti industriali e di iniettarla all’interno di serbatoi naturali in profondità rimasti vuoti dopo l’estrazione di gas. «Mentre tutto il mondo parla di obiettivi di decarbonizzazione e di come sviluppare urgentemente azioni di adattamento e di mitigazione alla crisi climatica, l’Eni continua a investire sulle fonti fossili e pensa di farsi pagare dall’Europa il discutibile progetto di confinamento geologico della CO2 nei fondali marini davanti alla costa di Ravenna».

Secondo Legambiente non è più procrastinabile l’avvio di un piano di riconversione delle attività dell’azienda che punti alla sostenibilità e alle rinnovabili, come sta avvenendo per altre grandi multinazionali del petrolio e del gas nel resto del mondo. «Da una parte Eni si eleva a paladina del clima prodigandosi per la rimozione della CO2 emessa dalle proprie attività dannose, dall’altra va ad incrementare la produzione di idrocarburi rimandando la dismissione di quegli impianti non più produttivi che dovrebbero  andare a smantellamento con relativa bonifica delle aree».

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