Per fare buone conserve occorrono le ricette giuste e vegetali di qualità

Per le confezioni vanno preferite frutta e verdura maturata sul campo, di stagione, di origine nazionale o locale e marcata bio. Diffidare del prodotto che contiene troppi conservanti, coloranti e aromi.

Marmellate

Per conserve si intendono tutte quelle preparazioni alimentari confezionate in contenitori a chiusura ermetica che subiscono trattamenti termici capaci di stabilizzare il prodotto e di conservalo per lunghi periodi a temperatura ambiente. Ci sono poi le semi-conserve: questi sono preparati che per loro natura non possono essere trattati alle temperature della sterilizzazione (maggiori di 100 gradi centigradi) e che quindi subiscono trattamenti termici a temperature minori (sotto i 100 gradi, la pastorizzazione).

Queste sono comunque in grado di distruggere alcune forme microbiche, fra cui le patogene e gli enzimi, ma i prodotti così trattati non risultano sterili e quindi solitamente vanno conservati in frigorifero per un periodo più breve di quello delle conserve. Detto questo, la qualità delle conserve e delle semi conserve dipende quasi unicamente dalla “ricetta” utilizzata per la loro realizzazione e dal valore delle materie prime impiegate. Sulla prima, in un contesto generalizzato come quello che stiamo affrontando, non c’è molto da dire in quanto vogliamo dare per scontato che un’azienda che produce conserve sappia cosa sta facendo. Circa le materie prime invece, il consumatore, attraverso la lettura della etichetta, ha a disposizione una serie di informazioni che gli permettono una scelta consapevole.

Partiamo per esempio da conserve di frutta e di verdura sulle quali troviamo scritto che gli ingredienti sono maturati in campo, nella giusta stagione. Questi prodotti avranno quasi intatti i sapori, gli aromi e le fragranze dei vegetali freschi perché più ricchi di sali minerali, vitamine e macronutrienti. Quelle di stagione poi, molto probabilmente, saranno materie prime che avranno subito trattamenti pre-lavorazione minori rispetto a quelle condizionate in serra. Inoltre, volendo essere ancora più accorti, se vengono preferiti prodotti nazionali, o ancora meglio locali (magari a km zero), il rischio di contaminanti diminuirà ulteriormente.

Volendo infine evitare totalmente il rischio di consumare vegetali che possano contenere residui di pesticidi e antiparassitari, le coltivazioni biologiche ci danno buone garanzie.

GiardinieraDa tutto ciò, dalla qualità nutrizionale ed organolettica quindi, si arriva ben presto a definire anche una qualità ambientale del prodotto, una qualità che riguarda i metodi di produzione, la sostenibilità, l’ecocompatibilità e le tecniche di agricoltura. Andando oltre, un’altra informazione fondamentale che ci fornisce l’etichetta è la concentrazione della materia prima di base di una data conserva. Per spiegare bene questo concetto prendiamo ad esempio una confettura (o una marmellata) e prestiamo attenzione alle relative percentuali degli ingredienti.

Prima di tutto va detto che è preferibile scegliere un prodotto con il minor numero possibile di ingredienti: l’ideale sarebbe trovarne solo 2, frutta e zucchero. E in etichetta questi 2 ingredienti devono comparire in questo preciso ordine. Non comprate mai una marmellata se, prima della frutta, nella lista degli ingredienti, compare lo zucchero o qualcos’altro. È innegabile infatti che le confetture migliori contengano almeno il 60-70 % di frutta (confetture extra).

Ora, tornando ad un discorso più ampio, facciamo una piccola carrellata su alcuni ingredienti che denotano qualità nelle conserve: se una delle materie prime è l’olio, certamente sarà un prodotto di valore quello che contiene extravergine di oliva (ma anche un olio di semi ottenuto attraverso la spremitura a freddo), se è stato utilizzato sale, diamo il giusto valore a quello marino, meglio ancora se integrale. Se fra gli ingredienti compaiono miglioratori, conservanti, coloranti o aromi di dubbia provenienza, allora è giusto storcere il naso e passare oltre.

Infine, sembra quasi scontato dirlo, ma saranno i nostri occhi, il nostro naso e il nostro palato a darci il giudizio finale, sempre che, nella vita frenetica di ogni giorno, si riesca ad avere la giusta attenzione per saper ascoltare i nostri sensi!

Le antiche origini della “giardiniera”, dai romani ai monaci medievali

Columella, scrittore latino di agronomia, già nel primo secolo d.C. parlava di verdure “crude” in agrodolce, senza olio, con aceto e salamoia. Questa fu la prima di tante citazioni nella bibliografia culinaria di cui disponiamo. Fu nel tardo Medioevo però che la giardiniera, come la intendiamo noi oggi, divenne una preparazione estremamente apprezzata tanto da essere considerata “uno degli alimenti più sani e salutari se di fattura perfetta”. La sua produzione era importantissima per i monaci benedettini e cistercensi: prima il lavaggio accurato delle verdure (qualcuno poi inserì anche diverse essenze di frutta… ma quella è la storia della mostarda) in acqua preventivamente bollita e acidificata, ben asciugate, lasciate appassire su canovacci non al sole per qualche giorno (perdevano consistenza e si ammorbidivano). Poi tagliate a pezzi piccoli, invasate e schiacciate, e coperte abbondantemente di salamoia, aceto di vino bianco con cannella, chiodi di garofano, foglie di alloro e un pizzico di zucchero.
Era il “dispensiere” del convento o monastero che decideva la composizione del liquido agrodolce di conservazione, quindi i vasi erano conservati al buio e al fresco in modo che calore e luce non intaccassero colori e sapori. I vasi erano chiusi con tappi di legno e stracci.

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