Per vini della tenuta del Paguro la cantina ideale è in fondo al mare

La qualità di pregio di Albana, Sangiovese, Merlot, Cabernet (e presto anche uno spumante) nasce da vigneti sulle colline di Riolo Terme e prende corpo per 12 mesi a 30mt sotto l’Adriatico

Vini Paguro Subacqua 2

I vini di qualità, si sa, per divenire di pregio, hanno bisogno di affinamenti. Ma la differenza fra una maturazione nell’ambiente “protetto” di una certa cantina o di un’altra, nel nostro caso può essere addirittura “abissale”.
Stiamo parlado dei vini della Tenuta del Paguro, etichetta ravennate, i cui prodotti nascono da vigneti di Riolo Terme, nella Vena del Gesso romagnola e una volta creati, per raggiungere l’eccellenza organolettca, sono catapultati dalle colline al mare Adriatico, sommersi per diversi mesi a vari di metri di profondità, dalle parti del relitto di una piattaforma petrolifera – il Paguro per l’appunto – al largo di Ravenna. Di questa singolare avventura enologica, sperimentata con successo ormai da più di un decennio, ne parliamo con l’intraprendente inventore e produttore Gianluca Grilli.

Allora Gianluca per avere intrapreso questo tipo di affinamento subacqueo, oltrechè appprezzare il vino, sarà anche un esperto della sua natura.
«Per la verità, non vengo dal mondo del vino, ho studiato fisica, e questo mi ha fornito una base scientifica e logica di interpretazione. D’altra parte sono sempre stato vicino alla nostra terra, grazie al nonno contadino che mi ha trasmesso l’amore per le piante e la loro coltivazione. Lui era un perfezionista, trattava i suoi frutteti e le vigne come fossero un giardino. Quindi ho avuto la fortuna di frequentare Tonino Guerra, con lui non solo parlavamo di contadini, di tradizioni e di sapori, ma fu il primo a raccontarmi delle strutture d’acciaio che si erano inabissate in Adriatico, dall’Isola delle Rose al Paguro. Poi ho cominciato a documentarmi sul vino, a partire dalle origini dei metodi vinificazione e soprattutto di conservazione. Mi ha affascinato il “vino salso” dei Romani che maceravano le uve con un po’ di acqua salata per non farlo andare a male nei viaggi lungo il vasto impero».

Come la racconta il suo progetto sembra nascere da un saper fare che mescola sentimenti e tecnica, in modo curioso e appassionato.
«Si tratta di un progetto creativo ma strettamente legato al territorio e che, sinteticamente, tende a incrociare l’impero bizantino con quello industriale, la storia delle colline con quella del mare. Poi sul piano strettamente enologico sotto il mare si ritrovano le caratteristiche fondamentali della cantina: assenza di luce e temperatura costante, che va dai 9 ai 12 gradi. Alle quali però si aggiungono altri fattori: la differenza di pressione che si esercita sul tappo, dentro la bottiglia c’è 1 atmosfera, fuori ce ne sono 4, perché siamo a 30 metri di profondità, il continuo movimento delle correnti, che essendo armonico fornisce di armonia il movimento del liquido vinoso che si mantiene vivo. E infine, con la micro-ossigenazione controllata, attraverso capsule di protezione in gommalacca-ceralacca si può gestire la differenza di pressione».

E cosa accade allora al vino in questa fase di maturazione profonda?
«Viene esaltato, diventa più armonioso, più complesso e verticale, rotondo nelle sue sfumature»

Ripartiamo dalla materia prima, l’uva. Da quali vitigni proviene in particolare?
«Dalle vigne di Stefano Gardi, sulle colline di Riolo Terme, dalle parti della Vena del Gesso. Non solo è un bravo contadino ma anche un enologo molto competente. Al punto che è diventato socio della Tenuta del Paguro. Va detto che non tutti i vini migliorano in fondo al mare. Quindi anche come viene coltivata l’uva e prodotto il vino ha un’importanza notevole. Considerando anche l’energia naturale del mare, la nostra produzione spreca poco ed è quindi anche sostenibile sul piano ecologico».

Qual è la tipologia dei vini?
«Produciamo quattro rossi e un bianco. Di cui due autoctoni romagnoli come Albana e Sangiovese, un Cabernet e un Merlot. Intanto dovrebbe “salire” a fine maggio dopo l’affinamento un metodo classico da uve Chardonnay, con 100 mesi di livieti alle spalle. Uno spumante per ora a tiratura molto limitata, poi vedremo se produrlo in maniera costante. Anche perché queste bollicine nascono da un accordo che abbiamo intrapreso con un altro bravo e serio affinatore subacqueo italiano, e così maturano nel mare di Portofino».

Qual è il periodo di affinamento sott’acqua?
«In generale dipende dal vino, nel caso dei nostri circa 12 mesi. Le bottiglie vengono stivate in gabbie di ferro e trasportate in barca fino all’area del relitto del Paguro che è a 13 miglia marine dalla costa ravennate e poi calate in profondità grazie all’ausilio di sub, che le posano su strutture un poco sollevate dal fondale».

Quante bottiglie riuscite a produrre in un anno?
«Più o meno 5mila bottiglie ad annata. Ma secondo i piani, legati anche all’andamento commerciale, potremmo stimare di raggiungere in futuro una produzione artigianale fino a 15-20mila bottiglie».

Passiamo quindi al mercato, quale valore raggiunge il vostro vino?
«Noi vendiamo al pubblico le bottiglie sui 120 euro confezionate. E anche la confezione, che cerchiamo di curare in modo particolare, ha un costo e quindi un suo, anche se piccolo, valore aggiuntivo. Ci affacciamo sia al mercato privato che a quello della ristorazione, che ovviamente a seconda delle partite che vengono acquistate godono di una scontistica».

Ci tenete molto al marketing a quanto pare…
«Abbiamo sempre pensato che l’immagine dovesse rispecchiare il progetto, un’unione fra la storia di ieri e quella di oggi. Tant’è che i vini con il loro packaging ricordano il nome latino dei pesci adriatici, il legno della cassetta è di pino marittimo, poi c’è l’acciaio corten che rievoca la struttura della piattaforma sprofondata… Inoltre, ogni bottiglia ha un certificato di autenticita con un codice identificativo unico che costituisce la carta di identità di ogni pezzo prodotto».

Concludiamo con la nuova sede della Tenuta del Paguro, cosa vi proponete con gli spazi di accoglienza che avete inaugurato recentemente a Ravenna in via Belfiore?
«Non si pensi a un’enoteca o a un negozio… In realtà è uno spazio di lavoro aziendale, aperto al pubblico ma su richiesta e intorno a piccoli eventi di degustazione, a invito. La sede che abbiamo voluto realizzare, anche in questo caso rispecchia la nostra storia, e la racconta in un ambiente confortevole, come fossimo a casa. Vogliamo che i nostri ospiti si trovino a proprio agio, che siano appassionati o clienti dei nostri prodotti. Diciamo, alla francese, che è, una maison delle nostre creazioni».

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