lunedì
30 Giugno 2025

La rabbia dei genitori della piccola Ester, morta dopo una visita «superficiale»

Il tribunale ha archiviato il caso del decesso della piccola di 10 mesi «Nessuno ci ha risposto su quel controllo di 4 minuti in pediatria…»

Per loro è stato come veder morire Ester una seconda volta. Quella maledetta prima volta, infatti, secondo un giudice, sostanzialmente, non poteva essere evitata. E i tre medici coinvolti, ha deciso il tribunale di Ravenna, non devono neppure essere processati. Fine della storia. L’opposizione della famiglia alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero è stata ritenuta inammissibile (in quanto sostanzialmente volta, a parere del giudice, a confutare nel merito le conclusioni del consulente della Procura) e ora il caso, giuridicamente parlando, è chiuso. Non ci sono responsabili.

La piccola Ester Villa morì a soli dieci mesi il 20 febbraio 2013 per una forma di meningite da pneumococco. Quattro giorni prima i genitori l’avevano portata all’ospedale di Ravenna con la febbre a 40, dopo che la sera precedente si era improvvisamente irrigidita ed era caduta, sbattendo la testa. Ed è su quella prima visita in ospedale, durata solamente 4 minuti – e in particolare sul pediatra che l’ha eseguita – che si è concentrata la battaglia legale della famiglia, dei genitori, Stefano Villa e Maria Filannino, che in una circostanziata nota inviata alla stampa (scaricabile in versione integrale dal link in fondo alla pagina) – definita «un atto di amore per Ester che ha combattuto quattro interi enza ricevere alcun tipo di cura medica fino alle sue ultime 10 ore» – sfogano il proprio dolore senza inutili, per quanto giustificabili, patetismi, ma restando concentrati sulle carte. L’enorme mole di carte – documenti medici compresi – che hanno studiato in questi anni e con cui abbiamo trovato Stefano, il padre, ogni qual volta lo abbiamo incontrato.

«Non ci siamo sentiti garantiti come parte lesa dall’atteggiamento, dall’operato e dalle scelte effettuate dalla procura di Ravenna», scrivono i due senza mezzi termini, senza contestare comunque la correttezza formale e la legittimità delle procedure.

In capo a tutto resta una domanda senza risposta, leggendo le motivazioni dell’ordinanza di archiviazione del giudice, ossia se quella prima visita sia stata adeguata e conforme alle linee guida pediatriche. «A questa domanda di altissima rilevanza pubblica – scrivono i genitori – hanno mancato di rispondere procura, medici legali e tribunale di Ravenna», che si sono invece solo concentrati nel dimostrare che in quell’occasione Ester non mostrasse segni di meningismo. Ma – obietta la famiglia, carte alla mano – stando alle linee guida più avanzate al mondo e che dovrebbero essere una sorta di bibbia anche per i medici italiani, i classici sintomi della meningite sono spesso assenti negli infanti e «sarebbe bastato un breve periodo di poche ore di osservazione più un economicissimo prelievo del sangue, come previsto dalle linee guida italiane, per arrivare a una precoce diagnosi, l’inizio di una terapia antibiotica mirata e avere altissime probabilità di salvare Ester (la stessa consulenza medico legale richiesta dalla procura afferma che se fosse stata anticipata la diagnosi di sole 24 ore con concomitante anticipo della terapia antibiotica le chance di sopravvivenza sarebbero state all’80 percento, ndr)». Invece la visita è durata 4 minuti e la bambina è stata dimessa con una diagnosi di influenza. Per questo motivo lo stesso giudice definisce «superficiale» nelle motivazioni il comportamento del pediatra dell’ospedale, arrivando però alla conclusione che «non vi è prova che ciò abbia svolto un ruolo concausale nella vicenda».

«Se fosse capitato a voi – è la domanda finale dei genitori di Ester, rivolta ai cittadini ravennati ma non solo – accettereste che un tribunale definisca solamente “con tratti di superficialità” un comportamento medico che, di fronte a una bambina di 10 mesi che non sa parlare, che ha sbattuto forte la testa, mogia, con 40° di febbre, non effettui un prelievo del sangue, non una tac, non un periodo di osservazione breve e per giunta, come detto in ordinanza, manchi di rilevare i parametri vitali?».

Ulteriore delusione, per la famiglia, la decisione della procura – dopo la riapertura delle indagini a seguito della prima richiesta di opposizione accolta dei Villa – di riaffidare l’incarico di consulenza allo stesso medico che aveva portato la procura a richiedere l’archiviazione, anche se affiancato in questo caso da un infettivologo, suo collega all’Università di Ferrara. «Come avrebbe potuto un professionista medico legale rivalutare diversamente gli stessi fatti e le stesse carte?», si chiedono i genitori, secondo i quali il grave errore è stato quella di non aver individuato invece «la sola figura medica in grado di valutare correttamente e con le giuste competenze quanto accaduto: un eminente medico pediatra, magari di fuori regione. D’altronde il pronto soccorso al primo accesso richiese visita specialistica pediatrica, non mandò nostra figlia in infettivologia. La mancata nomina del consulente pediatrico, l’unico idoneo al caso da trattare, ha condotto il tribunale a una completamente erronea valutazione».

Ora la famiglia Villa preferisce chiudere qui la propria terribile esperienza in tribunale, senza avvalersi della possibilità di procedere in ambito civile. Piuttosto, continuerà la propria battaglia per cercare di sensibilizzare per quanto possibile la popolazione sul tema, a partire dal tentativo di far conoscere anche a Ravenna l’innovativo test molecolare messo a punto dal gruppo di ricerca della dottoressa Azzari del Meyer di Firenze, utile per la rapida identificazione del batterio causa dell’infezione batterica nel paziente. La battaglia di Stefano e Maria prosegue anche sul web con il blog Il Giardino di Ester.

I genitori di Ester non risparmiano una frecciata finale ai rappresentanti delle istituzioni di Ravenna in carica all’epoca dei fatti (Ester è morta nel febbraio del 2013). Riceviamo e pubblichiamo i (sarcastici) ringraziamenti: «Li ringraziamo per non averci inviato neanche un telegramma di vicinanza e cordoglio a nome della cittadinanza che rappresentano: Ester frequentava un nido comunale. Per averci inviato solo dopo molti mesi e sotto nostro richiesta un messaggio di ringraziamento ufficiale per la donazione effettuata al nido con i soldi raccolti durante il funerale. Per non averci informato e invitato all’affissione nell’asilo di una targa in memoria di nostra figlia (nella foto qui sopra, senza neppure il nome di Ester, ndr). Ringraziamo inoltre l’Ausl per il suo comunicato stampa apparso sui giornali subito dopo la morte di nostra figlia: l’omettere il primo accesso al Pronto soccorso e la diagnosi di influenza. Ci ha fatto apparire come genitori che hanno trascurato il malessere della figlia, portandola al Pronto soccorso solamente troppo tardi. Adesso pensiamo, aldilà dell’esito processuale, che sia chiaro alla cittadinanza chi abbia commesso tale superficialità».

Nasce il comitato locale “Centrosinistra per il no” e invita Massimo D’Alema

Il referente è Alessandro Perini, ex Pd, militante di Ravenna in Comune

PeriniAnche a Ravenna, dopo l’incontro del 5 settembre a Roma, nasce  il comitato “Il centrosinistra per il no“ composto da cittadini che stanno mobilitando per impedire che – si legge nella presentazione alla stampa – «riforme sbagliate e approvate senza larga maggioranza e scritte male  peggiorino le condizioni del  nostro paese». Il referente è Alessandro Perini (ex Pd, candidato nella lista Ravenna in Comune alle scorse amministrative) che spiega: «Stiamo raccogliendo adesioni fuori e dentro il Pd per sostenere convintamente il no. Posizione che non significa che non si vogliano le riforme. Il nostro paese ha visto negli ultimi anni decine di riforme costituzionali e ordinarie che hanno di fatto conseguenze sui principi istituzionali, ma difronte al confuso disegno del Governo che violenta più di 40 articoli, riteniamo  che bisogna agire con più senso di responsabilità e attenzione». Il primo appuntamento sarà lunedì 10 ottobre, alle 21, quando sarà a Ravenna Massimo D’Alema. Si può aderire tramite la pagina facebook  “il centrosinistra per il no”, oppure sul sito nazionale del comitato “Il centrosinistra per il no“.

Per paura dell’alcoltest in auto scappa all’alt e va fuori strada nei campi

In realtà il giovane guidatore è risultato negativo. Aveva bevuto solo una birretta

AlcoltestAlle 3 di notte di sabato 24 settembre, di fonte all’alt di una pattuglia dei Carabinieri di Cesena, un’utilitaria nei pressi della via Cervese si dilegua lungo la strada. Poco dopo una pattuglia del Nucleo Radiomobile di Cervia individua in via Crociarone, in località Tantlon, un’auto in un campo ai margini della carreggiata. Nemmeno il tempo di scendere per prestare soccorso al conducente che la Centrale Operativa diramava le ricerche proprio di quella vettura. L’autista, un 23enne di Forlì – riportano i Carabinieri in una nota stampa – riferiva di avere bevuto un bicchiere di birra e pertanto, temendo di poter risultare positivo all’accertamento etilometrico, era scappato via a velocità talmente elevata da perdere il controllo dell’auto e volare fuori dalla carreggiata. Per lui nessuna ferita, nessuna denuncia, ed essendo peraltro risultato negativo al test dell’alcol, è stato sanzionato “solo” con diverse centinaia di euro in verbali per infrazioni al Codice della Strada.

Torna a ottobre Trilogia d’Autunno tra musica, teatro e cucina a tema

Omaggio alla cultura austroungarica sulle sponde del Danubio, con tre celebri operette e un’orchestra di cento violini zigani

Il pipistrelloDopo il grande successo riscosso nelle tre edizioni precedenti, ritorna al Teatro Alighieri di Ravenna la “Trilogia d’Autunno” di Ravenna Festival, quest’anno intitolata “Lungo il Danubio. L’operetta come non l’avete mai vista”. La felice formula, che sera dopo sera alterna tre opere sullo stesso palcoscenico, porterà in scena dal 14 al 23 ottobre, in esclusiva nazionale, tre capolavori della Vienna austroungarica, Gräfin Mariza (La Contessa Maritza), Die Fledermaus (Il pipistrello) e Die lustige Witwe (La vedova allegra).
La “Trilogia d’Autunno” di quest’anno costituisce un tributo a una forma di teatro musicale, l’operetta, cui si devono capolavori come quelli proposti, firmati dai grandi compositori Emmerich Kálmán, Johann Strauss e Franz Lehár, e portati in scena dai principali teatri ungheresi, ovvero il Teatro dell’Operetta di Budapest, il Teatro Csokonai di Debrecen e il Teatro di Szeged.
L’intenso trittico “danubiano” vuole anche essere un omaggio alla grande civiltà che fu l’Impero Austroungarico al suo tramonto, e che con Vienna e Budapest si fece culla di uno straordinario fermento culturale.
«Abbiamo voluto parlare di un mondo senza confini, vicino all’utopia, dove più tradizioni coesistevano insieme – spiega il direttore artistico del festival Franco Masotti – e abbiamo scelto di farlo attraverso un genere, “l’operetta”, che fonde alla perfezione teatro, musica e danza di altissimo livello, e costituisce l’illustre progenitore del musical di Broadway e del West End».

La Contessa Maritza

A inaugurare la trilogia venerdì 14 ottobre (con replica martedì 18) sarà la Gräfin Mariza di Kálmán, che andò in scena per la prima volta nel 1924, riscuotendo però maggior successo nel secondo dopoguerra; le vicende della ricca Contessa Maritza assediata dai pretendenti hanno come sfondo un possedimento tra Ungheria e Bulgaria, e si dipanano sulle note popolari di musica magiara e zigana, in primo luogo la csárda.
Segue sabato 15 ottobre (con repliche mercoledì 19 e venerdì 21) Die Fledermaus, di Johann Strauss. Tratto dalla commedia Le réveillon di Meilhac e Halévy e rappresentato la domenica di Pasqua del 1874, Il pipistrello racconta i tentativi del notaio Falke di vendicare una burla degli amici, che lo hanno costretto a vagare per la città ubriaco e travestito da pipistrello. La musica del valzer, della csárda e della polka mantengono alta la tensione dello spettatore, coinvolgendolo in un funambolico e intricato gioco delle parti.
La trilogia si chiude con il capolavoro Die lustige Witwe, in scena domenica 16 ottobre (con repliche lunedì 17 e giovedì 20). «Questa non è musica!» furono le parole con cui il direttore del teatro An der Wien accolse La vedova allegra dopo il debutto il 30 dicembre 1902: Lehár volle incidere la frase sulla medaglia che ne celebrava la duecentesima replica. L’opera si svolge a Parigi, e ha per protagonista Hanna Glawari, una ricca vedova del Pontevedro – nome che cela a malapena il Montenegro – i cui connazionali vorrebbero far risposare in patria per evitare il trasferimento all’estero del patrimonio. Ci riusciranno al termine di una partitura in gran parte in tre quarti, il tempo del valzer, grazie ad una vecchia fiamma, Danilo, omonimo del figlio di Nicola I re del Montenegro – ulteriore dettaglio che ha dato luogo a interpretazioni irredentiste dell’opera.

In attesa della “Trilogia d’Autunno”, Ravenna Festival ripropone un titolo che l’anno scorso riscosse un notevole successo, Mimì è una civetta: l’eterna storia d’amore tra Mimì e Rodolfo ispirata alla Bohéme di Puccini, andrà in scena al Teatro Alighieri lunedì 3 ottobre, per poi proseguire una lunga tournée nei principali teatri dell’Emilia Romagna.

Maggiori informazioni sugli orari degli spettacoli e l’acquisto dei biglietti sul sito www.ravennafestival.org, oppure alla biglietteria del Teatro Alighieri in via Mariani 2 (tel. 0544 249244).

Budapest Gypsy Symphony OrchestraTeatro, musica, danza e non solo: durante le prime del trittico, il 14,15 e 16 ottobre, grazie alla collaborazione di “CheftoChef –  emiliaromagnacuochi”, avverrà un vero e proprio incontro delle culture enogastronomiche romagnola e danubiana, attraverso due momenti chiave rivolti alla scoperta della tradizione culinaria ungherese: per tutto il fine settimana con “Ungheria e Romagna a tavola insieme”, saranno serviti vini ungheresi in 27 ristoranti della città, mentre il ristorante Alexander e le osterie L’Acciuga e i Passatelli proporranno un menù a tema con accompagnamento musicale live. Per l’immancabile secondo appuntamento all’insegna della buona cucina, sabato 15 ottobre, alle ore 13, il Museo d’Arte della città di Ravenna aprirà le porte per accogliere la musica e la creatività di tre chef  d’eccellenza: Igles Corelli, Pier Giorgio Parini e Mattia Borroni.
All’ultimo appuntamento della “Trilogia” seguirà invece il “GiovinBacco. Sangiovese in Festa”: l’ormai nota manifestazione enologica dei vini romagnoli, animerà il centro di Ravenna per 3 giorni, il 21, 22 e 23 ottobre, durante i quali, per rimanere nel tema delle operette rappresentate, musicisti zigani e nostrani si esibiranno nelle piazze cittadine.
A concludere il viaggio lungo il Danubio sarà il concerto della Budapest Gypsy Symphony Orchestra, per la prima volta in Italia: domenica 23 ottobre (al teatro Alighieri)  l’orchestra composta da 100 strumentisti tra violini, viole, violoncelli, contrabbassi, clarinetti e cimbalom, alternerà pagine celebri di compositori quali Liszt, Bartók, Kodály, Cajkovskij e Strauss a brani di musica tradizionale ungherese e zigana.

Torna a ottobre Trilogia d’Autunno tra musica, teatro e cucina a tema

Omaggio alla cultura austroungarica sulle sponde del Danubio, con tre celebri operette e un’orchestra di cento violini zigani

Il pipistrelloDopo il grande successo riscosso nelle tre edizioni precedenti, ritorna al Teatro Alighieri di Ravenna la “Trilogia d’Autunno” di Ravenna Festival, quest’anno intitolata “Lungo il Danubio. L’operetta come non l’avete mai vista”. La felice formula, che sera dopo sera alterna tre opere sullo stesso palcoscenico, porterà in scena dal 14 al 23 ottobre, in esclusiva nazionale, tre capolavori della Vienna austroungarica, Gräfin Mariza (La Contessa Maritza), Die Fledermaus (Il pipistrello) e Die lustige Witwe (La vedova allegra).
La “Trilogia d’Autunno” di quest’anno costituisce un tributo a una forma di teatro musicale, l’operetta, cui si devono capolavori come quelli proposti, firmati dai grandi compositori Emmerich Kálmán, Johann Strauss e Franz Lehár, e portati in scena dai principali teatri ungheresi, ovvero il Teatro dell’Operetta di Budapest, il Teatro Csokonai di Debrecen e il Teatro di Szeged.
L’intenso trittico “danubiano” vuole anche essere un omaggio alla grande civiltà che fu l’Impero Austroungarico al suo tramonto, e che con Vienna e Budapest si fece culla di uno straordinario fermento culturale.
«Abbiamo voluto parlare di un mondo senza confini, vicino all’utopia, dove più tradizioni coesistevano insieme – spiega il direttore artistico del festival Franco Masotti – e abbiamo scelto di farlo attraverso un genere, “l’operetta”, che fonde alla perfezione teatro, musica e danza di altissimo livello, e costituisce l’illustre progenitore del musical di Broadway e del West End».

La Contessa Maritza

A inaugurare la trilogia venerdì 14 ottobre (con replica martedì 18) sarà la Gräfin Mariza di Kálmán, che andò in scena per la prima volta nel 1924, riscuotendo però maggior successo nel secondo dopoguerra; le vicende della ricca Contessa Maritza assediata dai pretendenti hanno come sfondo un possedimento tra Ungheria e Bulgaria, e si dipanano sulle note popolari di musica magiara e zigana, in primo luogo la csárda.
Segue sabato 15 ottobre (con repliche mercoledì 19 e venerdì 21) Die Fledermaus, di Johann Strauss. Tratto dalla commedia Le réveillon di Meilhac e Halévy e rappresentato la domenica di Pasqua del 1874, Il pipistrello racconta i tentativi del notaio Falke di vendicare una burla degli amici, che lo hanno costretto a vagare per la città ubriaco e travestito da pipistrello. La musica del valzer, della csárda e della polka mantengono alta la tensione dello spettatore, coinvolgendolo in un funambolico e intricato gioco delle parti.
La trilogia si chiude con il capolavoro Die lustige Witwe, in scena domenica 16 ottobre (con repliche lunedì 17 e giovedì 20). «Questa non è musica!» furono le parole con cui il direttore del teatro An der Wien accolse La vedova allegra dopo il debutto il 30 dicembre 1902: Lehár volle incidere la frase sulla medaglia che ne celebrava la duecentesima replica. L’opera si svolge a Parigi, e ha per protagonista Hanna Glawari, una ricca vedova del Pontevedro – nome che cela a malapena il Montenegro – i cui connazionali vorrebbero far risposare in patria per evitare il trasferimento all’estero del patrimonio. Ci riusciranno al termine di una partitura in gran parte in tre quarti, il tempo del valzer, grazie ad una vecchia fiamma, Danilo, omonimo del figlio di Nicola I re del Montenegro – ulteriore dettaglio che ha dato luogo a interpretazioni irredentiste dell’opera.

In attesa della “Trilogia d’Autunno”, Ravenna Festival ripropone un titolo che l’anno scorso riscosse un notevole successo, Mimì è una civetta: l’eterna storia d’amore tra Mimì e Rodolfo ispirata alla Bohéme di Puccini, andrà in scena al Teatro Alighieri lunedì 3 ottobre, per poi proseguire una lunga tournée nei principali teatri dell’Emilia Romagna.

Maggiori informazioni sugli orari degli spettacoli e l’acquisto dei biglietti sul sito www.ravennafestival.org, oppure alla biglietteria del Teatro Alighieri in via Mariani 2 (tel. 0544 249244).

Budapest Gypsy Symphony OrchestraTeatro, musica, danza e non solo: durante le prime del trittico, il 14,15 e 16 ottobre, grazie alla collaborazione di “CheftoChef –  emiliaromagnacuochi”, avverrà un vero e proprio incontro delle culture enogastronomiche romagnola e danubiana, attraverso due momenti chiave rivolti alla scoperta della tradizione culinaria ungherese: per tutto il fine settimana con “Ungheria e Romagna a tavola insieme”, saranno serviti vini ungheresi in 27 ristoranti della città, mentre il ristorante Alexander e le osterie L’Acciuga e i Passatelli proporranno un menù a tema con accompagnamento musicale live. Per l’immancabile secondo appuntamento all’insegna della buona cucina, sabato 15 ottobre, alle ore 13, il Museo d’Arte della città di Ravenna aprirà le porte per accogliere la musica e la creatività di tre chef  d’eccellenza: Igles Corelli, Pier Giorgio Parini e Mattia Borroni.
All’ultimo appuntamento della “Trilogia” seguirà invece il “GiovinBacco. Sangiovese in Festa”: l’ormai nota manifestazione enologica dei vini romagnoli, animerà il centro di Ravenna per 3 giorni, il 21, 22 e 23 ottobre, durante i quali, per rimanere nel tema delle operette rappresentate, musicisti zigani e nostrani si esibiranno nelle piazze cittadine.
A concludere il viaggio lungo il Danubio sarà il concerto della Budapest Gypsy Symphony Orchestra, per la prima volta in Italia: domenica 23 ottobre (al teatro Alighieri)  l’orchestra composta da 100 strumentisti tra violini, viole, violoncelli, contrabbassi, clarinetti e cimbalom, alternerà pagine celebri di compositori quali Liszt, Bartók, Kodály, Cajkovskij e Strauss a brani di musica tradizionale ungherese e zigana.

Martinelli: «Del senso della cultura si discuta pubblicamente»

Parla l’autore e regista fondatore delle Albe e di Ravenna Teatro, sul possibile rinnovamento del sistema culturale ravennate

MartinelliIncontro Marco Martinelli in una fase intensa della sua attività, in giro per l’Italia e l’Europa, impegnato come regista, autore e scrittore, a parlare del suo ultimo libro dedicato alla storia della non-scuola e a lavorare al montaggio del film tratto dall’opera teatrale “Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi“. Ed è un’occasione per parlare di arte, teatro ma soprattutto di politica culturale nella nostra città.

Marco nel tuo ultimo libro (Aristofane a Scampia, in questi giorni in libreria, ndr) nel raccontare l’esperienza della non-scuola, fai alcuni cenni delle origini della tua vita artistica – e personale – tutta dedicata al teatro. Vicende che rimandano a 40 anni fa. Sentivi il bisogno di fare un bilancio del tuo lavoro?
«No, si tratta solo di premesse necessarie al racconto, perché ritornare alle radici ci aiuta a capire fino a dove siamo cresciuti oggi e dove potremo arrivare domani. Forse vale la pena rievocare alcune storie ai più giovani, anche solo per lampi, di quegli anni pionieristici. Sono storie ricche di fermenti, frammenti di una fase di passaggio fra la fine degli anni ‘70 e i primi ’90 che segna la crescita in provincia di tante persone e gruppi, e l’emergenza di una nuova generazione di intellettuali e artisti. Per me, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonni, sono gli anni della fondazione del Teatro delle Albe e poi della nascita di Ravenna Teatro. Le fondamenta».

Ormai Ravenna Teatro è un centro di organizzazione e produzione culturale alle soglie dei 25 anni di vita…
«Ravenna Teatro nasce proprio nel 1991, frutto di una trasformazione radicale nella visione della cultura nella nostra città. A molti Ravenna Teatro appare come una realtà consueta, un’istituzione consolidata, ma negli anni ’80 quando eravamo ragazzi tutti presi dal nostro impegno intellettuale e politico  il teatro non si produceva, ci si limitava a ospitarlo. Certo era a disposizione una programmazione di alto livello artistico. Noi tutti siamo cresciuti anche grazie alle proposte che allora un dirigente comunale come Mario Salva­giani inseriva nel cartellone dell’Ali­ghieri: Strehler, Carmelo Bene, Parenti e Testori, Luca Ronconi, Gaber».

Però non male per una città di provincia…
«Molto bene direi, ma altra cosa era avere l’opportunità di mettersi all’opera in proprio, di cimentarsi nell’arte. Noi puntavamo a creare spettacoli e metterli in scena, ad avere un palcoscenico dove debuttare. Se all’epoca si andava da un assessore alla cultura per proporre progetti originali ci si sentiva dire: «Ma lei Martinelli nella vita vuole proprio fare questo mestiere»? Ravenna era così: da una parte ti offriva Carmelo Bene e dall’altra ti trattava da sprovveduto, da velleitario. Ma non credo fosse un vizio locale. Questa “sottovalutazione” accadeva in tutta Italia: a Torino con Vacis, a Cesena con Castellucci e Cesare Ronconi, a Firenze con Tiezzi e Lombardi. Fino a tutti gli anni Settanta il teatro si faceva a Milano e a Roma, le province servivano a ospitare le grandi compagnie metropolitane».

libro MartinelliPoi cos’è accaduto che ha portato a questa trasformazione radicale di cui parlavi prima?
«Progressivamente il teatro italiano è diventato policentrico, è cresciuto anche nelle periferie e nelle piccole città. E anche da noi, per l’appunto, questo cambiamento, la forza emergente di artisti inediti, ha portato all’apertura di nuovi orizzonti. La mutazione avviene quando Mario Salvagiani, che fino ad allora aveva gestito – in modo illuminato e raffinato – il sistema teatrale ravennate, fa una sorta di “mossa del cavallo”, spiazzante. E individua nell’esperienza delle Albe e della Dram­matico Vegetale – i nostri partner sul versante del teatro ragazzi – la passione artistica, la reputazione e la tenacia necessarie per aprire una nuova fase nella cultura teatrale della città. Quasi ignorati, emarginati per anni, extra muros, avevamo resistito e continuato a portare avanti la nostra poetica, con riconoscimenti e premi sul piano nazionale, e questo aveva convinto il Comu­ne che poteva fidarsi».

Ma qual è l’accordo fiduciario che ne viene fuori?  
«Ci viene proposto un patto sorprendente, legato alla qualità artistica della compagnia: produrre, programmare e fare del Rasi una “casa del teatro”. Per noi era una straordinaria possibilità di intraprendenza: non per attaccarci a una poltrona ma per “alimentare la concorrenza”. Non a caso la non-scuola nasce appena un anno dopo la fondazione di Ravenna Teatro. È da lì che nasce la semina, l’intenzione, piena di incognite, di avvicinare le nuove generazioni nel fare e nel vivere il teatro. Quando abbiamo cominciato ci siamo chiesti: «Come trasformare il teatro Rasi in un luogo aperto alla città»? Non avevamo modelli da seguire: seguimmo un’intuizione. Quella di entrare nelle scuole, in contatto con gli adolescenti. Da lì è nata un’esperienza di lungo corso che sul piano culturale e dello stimolo alla conoscenza è un metodo oggi studiato e ammirato a livello nazionale e internazionale».

Così si forma l’embrione delle convenzioni culturali che poi ha coinvolto un numero sempre più ampio di soggetti.
«Sì, ma i patti con noi sono sempre stati precisi, trasparenti e immagino siano valsi anche per tutti gli altri che operano dentro il sistema ravennate: l’accordo si rinnova se l’attività e i servizi culturali in gioco sono ben mantenuti, soddisfacenti, anche nel confronto continuo con il pubblico, con i cittadini. Ravenna Teatro così è nata e così continua fino a oggi. È un patto leale, senza sotterfugi: la convenienza a rinnovarlo deve valere per il Comune, per la comunità intera, per noi».

Però c’era anche il rischio di sostituire un’istituzione con un’altra, con le sue rigidità, una tendenza al predominio, magari qualche privilegio…  
«Privilegi? Quando sono nate le Albe, eravamo in quattro. Oggi in Ravenna Teatro siamo in 40 a vivere di questo lavoro. Siamo sempre stati legati allo spirito originario di cooperazione e mutuo soccorso. Non esistono privilegi fra noi. La logica con cui Ravenna Teatro è nata e sta in piedi dopo 25 anni, è una logica “corsara”. Corsara non a parole, ma nei fatti. Negli stipendi, che sono stipendi “operai”, uguali per tutti. Ravenna Teatro è un luogo della polis. Non è targata politicamente, non ha pregiudizi culturali. È uno spazio di sperimentazione per tutti i cittadini. E come diceva Aldo Capitini, «”tutti” è una parola sacra».

Ermanna MontanariQuindi il rapporto fra Comune e associazioni tramite deleghe per la creazione e la gestione della cultura secondo te ha ben funzionato per tutto questo tempo?
«Ritengo sia stato un dispositivo efficace. A Ravenna oggi esistono una decina di compagnie, alcune girano l’Italia, altre il mondo, una presenza sorprendente in una città delle nostre dimensioni, frutto di un percorso ormai ventennale. Non vedo e non capisco chi possa negarlo».

E della sfida di Ravenna 2019 cosa ne pensi? Ti ha convinto?
«Certo, valeva la pena concorrere al bando del 2019. Ma sul piano teatrale già da anni Ravenna era una capitale: lo hanno detto e scritto i maggiori critici teatrali italiani, gli storici del teatro, basta prendersi la briga di leggerli.  Per questo quando si è persa la sfida non l’ho vissuta come un lutto. Ritengo che l’ex assessore e coordinatore di Ravenna 2019, Alberto Cassani, sia stato uno dei protagonisti del sistema culturale degli ultimi 20 anni. L’eredità di ciò che che ha pensato e fatto ha ancora molte cose da esprimere. E lo vedremo. Intanto continuiamo ad essere quello che eravamo prima, una capitale, e a trasformarci ancora. Ed è questo che vale».  

Si ma non credi che questo sistema, nel tempo, si sia un po’ logorato, che rischi di sclerotizzarsi, che il ridursi delle risorse possa escludere gli ultimi arrivati?
«Se ci sono degli ultimi arrivati che si facciano vivi. Siamo pronti ad accoglierli. Ciò che è “disponibile” possiamo sempre condividerlo. Non è la prima volta che abbiamo ripartito risorse che il Comune aveva dato a Ravenna Teatro con altri compagni di strada: in anni recenti ad esempio con la cooperativa E e il Cisim, per sostenerli nel portare avanti i loro progetti».

Ma il sindaco De Pascale ha fatto capire che è arrivato il momento di fare il tagliando al sistema, di riformarlo, di riequilibrarlo?
«Noi siamo qua. Discutiamo e parliamone apertamente. Politici, artisti delle varie generazioni, cittadini. Nell’antica Atene le decisioni su come gestire il teatro ovviamente spettavano ai reggitori della polis, ma nascevano da animate assemblee pubbliche. Uno spirito, questo, che ritengo esemplare anche oggi».

Un po’ come un appello: chi ha qualcosa da dire lo dica ora…
«Direi di sì: nulla è immutabile, e le innovazioni sono vitali, ma con criterio e intelligenza. Ha senso trasformare ciò che non funziona e ingrigisce, ha senso mantenere ciò che cresce e illumina. Cambiare per cambiare, questo sì, sarebbe davvero insensato».


Il libro: non-scuola, l’avventura del teatro fra gli adolescenti
L’ultimo libro firmato Marco Martinelli, Aristofane a Scampia (edizioni Ponte alle Grazie, 160 pagine) è un lungo a appassionato racconto, una sorta di diario per tappe, dell’esperienza della non-scuola, ideata e perseguita fino ad oggi dalla compagnia delle Albe e da Ravenna Teatro. L’essenza di questo lungo percorso sta tutta nel sottotitolo del volume che recita: «Come fare amare i classici agli adolescenti…». Un progetto partito in sordina all’Itis di Ravenna nell’anno scolastico 1992-’93 che è diventato negli anni un grande processo di coinvolgimento delle nuove generazioni alla sapienza e alla vitalità del teatro: da Scampia a Chicago, dalla Romagna alla Calabria, dalla Sicilia all’Africa, passando per autori come Plauto, Aristofane, Shakespeare, Moliere, Jarry, Brecht e Majakovskij.

Il film: Aung San Suu Kyi ora rivive per immagini
È la la prima prova per Marco Martinelli come regista cinematografico ed è anche uno dei primi film finanziati dalla Regione Emilia-Romagna (con 72mila euro) in base alla nuova Legge Cinema del 2016: si tratta di Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi, tratto dall’omonimo spettacolo teatrale del Teatro delle Albe-Ravenna Teatro.
Protagonista del film (come del dramma scenico) la pluripremiata attrice delle Albe, Ermanna Montanari, affiancata da uno dei grandi interpreti del teatro italiano, Elio De Capitani, dal giovane Roberto Magnani delle Albe  e da Sonia Bergamasco, un altro volto molto noto fra cinema e teatro. Del cast fanno parte anche sei bambine nelle vesti di narratrici della vicenda dell’eroina Birmana. Il film, di cui si sta ultimando il montaggio per la distribuzione nelle sale nel 2107, si avvale anche di una squadra tecnica d’eccezione, fra direttore della fotografia e del montaggio, scenografo e musicista.  

 

Martinelli: «Del senso della cultura si discuta pubblicamente»

Parla l’autore e regista fondatore delle Albe e di Ravenna Teatro, sul possibile rinnovamento del sistema culturale ravennate

MartinelliIncontro Marco Martinelli in una fase intensa della sua attività, in giro per l’Italia e l’Europa, impegnato come regista, autore e scrittore, a parlare del suo ultimo libro dedicato alla storia della non-scuola e a lavorare al montaggio del film tratto dall’opera teatrale “Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi“. Ed è un’occasione per parlare di arte, teatro ma soprattutto di politica culturale nella nostra città.

Marco nel tuo ultimo libro (Aristofane a Scampia, in questi giorni in libreria, ndr) nel raccontare l’esperienza della non-scuola, fai alcuni cenni delle origini della tua vita artistica – e personale – tutta dedicata al teatro. Vicende che rimandano a 40 anni fa. Sentivi il bisogno di fare un bilancio del tuo lavoro?
«No, si tratta solo di premesse necessarie al racconto, perché ritornare alle radici ci aiuta a capire fino a dove siamo cresciuti oggi e dove potremo arrivare domani. Forse vale la pena rievocare alcune storie ai più giovani, anche solo per lampi, di quegli anni pionieristici. Sono storie ricche di fermenti, frammenti di una fase di passaggio fra la fine degli anni ‘70 e i primi ’90 che segna la crescita in provincia di tante persone e gruppi, e l’emergenza di una nuova generazione di intellettuali e artisti. Per me, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonni, sono gli anni della fondazione del Teatro delle Albe e poi della nascita di Ravenna Teatro. Le fondamenta».

Ormai Ravenna Teatro è un centro di organizzazione e produzione culturale alle soglie dei 25 anni di vita…
«Ravenna Teatro nasce proprio nel 1991, frutto di una trasformazione radicale nella visione della cultura nella nostra città. A molti Ravenna Teatro appare come una realtà consueta, un’istituzione consolidata, ma negli anni ’80 quando eravamo ragazzi tutti presi dal nostro impegno intellettuale e politico  il teatro non si produceva, ci si limitava a ospitarlo. Certo era a disposizione una programmazione di alto livello artistico. Noi tutti siamo cresciuti anche grazie alle proposte che allora un dirigente comunale come Mario Salva­giani inseriva nel cartellone dell’Ali­ghieri: Strehler, Carmelo Bene, Parenti e Testori, Luca Ronconi, Gaber».

Però non male per una città di provincia…
«Molto bene direi, ma altra cosa era avere l’opportunità di mettersi all’opera in proprio, di cimentarsi nell’arte. Noi puntavamo a creare spettacoli e metterli in scena, ad avere un palcoscenico dove debuttare. Se all’epoca si andava da un assessore alla cultura per proporre progetti originali ci si sentiva dire: «Ma lei Martinelli nella vita vuole proprio fare questo mestiere»? Ravenna era così: da una parte ti offriva Carmelo Bene e dall’altra ti trattava da sprovveduto, da velleitario. Ma non credo fosse un vizio locale. Questa “sottovalutazione” accadeva in tutta Italia: a Torino con Vacis, a Cesena con Castellucci e Cesare Ronconi, a Firenze con Tiezzi e Lombardi. Fino a tutti gli anni Settanta il teatro si faceva a Milano e a Roma, le province servivano a ospitare le grandi compagnie metropolitane».

libro MartinelliPoi cos’è accaduto che ha portato a questa trasformazione radicale di cui parlavi prima?
«Progressivamente il teatro italiano è diventato policentrico, è cresciuto anche nelle periferie e nelle piccole città. E anche da noi, per l’appunto, questo cambiamento, la forza emergente di artisti inediti, ha portato all’apertura di nuovi orizzonti. La mutazione avviene quando Mario Salvagiani, che fino ad allora aveva gestito – in modo illuminato e raffinato – il sistema teatrale ravennate, fa una sorta di “mossa del cavallo”, spiazzante. E individua nell’esperienza delle Albe e della Dram­matico Vegetale – i nostri partner sul versante del teatro ragazzi – la passione artistica, la reputazione e la tenacia necessarie per aprire una nuova fase nella cultura teatrale della città. Quasi ignorati, emarginati per anni, extra muros, avevamo resistito e continuato a portare avanti la nostra poetica, con riconoscimenti e premi sul piano nazionale, e questo aveva convinto il Comu­ne che poteva fidarsi».

Ma qual è l’accordo fiduciario che ne viene fuori?  
«Ci viene proposto un patto sorprendente, legato alla qualità artistica della compagnia: produrre, programmare e fare del Rasi una “casa del teatro”. Per noi era una straordinaria possibilità di intraprendenza: non per attaccarci a una poltrona ma per “alimentare la concorrenza”. Non a caso la non-scuola nasce appena un anno dopo la fondazione di Ravenna Teatro. È da lì che nasce la semina, l’intenzione, piena di incognite, di avvicinare le nuove generazioni nel fare e nel vivere il teatro. Quando abbiamo cominciato ci siamo chiesti: «Come trasformare il teatro Rasi in un luogo aperto alla città»? Non avevamo modelli da seguire: seguimmo un’intuizione. Quella di entrare nelle scuole, in contatto con gli adolescenti. Da lì è nata un’esperienza di lungo corso che sul piano culturale e dello stimolo alla conoscenza è un metodo oggi studiato e ammirato a livello nazionale e internazionale».

Così si forma l’embrione delle convenzioni culturali che poi ha coinvolto un numero sempre più ampio di soggetti.
«Sì, ma i patti con noi sono sempre stati precisi, trasparenti e immagino siano valsi anche per tutti gli altri che operano dentro il sistema ravennate: l’accordo si rinnova se l’attività e i servizi culturali in gioco sono ben mantenuti, soddisfacenti, anche nel confronto continuo con il pubblico, con i cittadini. Ravenna Teatro così è nata e così continua fino a oggi. È un patto leale, senza sotterfugi: la convenienza a rinnovarlo deve valere per il Comune, per la comunità intera, per noi».

Però c’era anche il rischio di sostituire un’istituzione con un’altra, con le sue rigidità, una tendenza al predominio, magari qualche privilegio…  
«Privilegi? Quando sono nate le Albe, eravamo in quattro. Oggi in Ravenna Teatro siamo in 40 a vivere di questo lavoro. Siamo sempre stati legati allo spirito originario di cooperazione e mutuo soccorso. Non esistono privilegi fra noi. La logica con cui Ravenna Teatro è nata e sta in piedi dopo 25 anni, è una logica “corsara”. Corsara non a parole, ma nei fatti. Negli stipendi, che sono stipendi “operai”, uguali per tutti. Ravenna Teatro è un luogo della polis. Non è targata politicamente, non ha pregiudizi culturali. È uno spazio di sperimentazione per tutti i cittadini. E come diceva Aldo Capitini, «”tutti” è una parola sacra».

Ermanna MontanariQuindi il rapporto fra Comune e associazioni tramite deleghe per la creazione e la gestione della cultura secondo te ha ben funzionato per tutto questo tempo?
«Ritengo sia stato un dispositivo efficace. A Ravenna oggi esistono una decina di compagnie, alcune girano l’Italia, altre il mondo, una presenza sorprendente in una città delle nostre dimensioni, frutto di un percorso ormai ventennale. Non vedo e non capisco chi possa negarlo».

E della sfida di Ravenna 2019 cosa ne pensi? Ti ha convinto?
«Certo, valeva la pena concorrere al bando del 2019. Ma sul piano teatrale già da anni Ravenna era una capitale: lo hanno detto e scritto i maggiori critici teatrali italiani, gli storici del teatro, basta prendersi la briga di leggerli.  Per questo quando si è persa la sfida non l’ho vissuta come un lutto. Ritengo che l’ex assessore e coordinatore di Ravenna 2019, Alberto Cassani, sia stato uno dei protagonisti del sistema culturale degli ultimi 20 anni. L’eredità di ciò che che ha pensato e fatto ha ancora molte cose da esprimere. E lo vedremo. Intanto continuiamo ad essere quello che eravamo prima, una capitale, e a trasformarci ancora. Ed è questo che vale».  

Si ma non credi che questo sistema, nel tempo, si sia un po’ logorato, che rischi di sclerotizzarsi, che il ridursi delle risorse possa escludere gli ultimi arrivati?
«Se ci sono degli ultimi arrivati che si facciano vivi. Siamo pronti ad accoglierli. Ciò che è “disponibile” possiamo sempre condividerlo. Non è la prima volta che abbiamo ripartito risorse che il Comune aveva dato a Ravenna Teatro con altri compagni di strada: in anni recenti ad esempio con la cooperativa E e il Cisim, per sostenerli nel portare avanti i loro progetti».

Ma il sindaco De Pascale ha fatto capire che è arrivato il momento di fare il tagliando al sistema, di riformarlo, di riequilibrarlo?
«Noi siamo qua. Discutiamo e parliamone apertamente. Politici, artisti delle varie generazioni, cittadini. Nell’antica Atene le decisioni su come gestire il teatro ovviamente spettavano ai reggitori della polis, ma nascevano da animate assemblee pubbliche. Uno spirito, questo, che ritengo esemplare anche oggi».

Un po’ come un appello: chi ha qualcosa da dire lo dica ora…
«Direi di sì: nulla è immutabile, e le innovazioni sono vitali, ma con criterio e intelligenza. Ha senso trasformare ciò che non funziona e ingrigisce, ha senso mantenere ciò che cresce e illumina. Cambiare per cambiare, questo sì, sarebbe davvero insensato».


Il libro: non-scuola, l’avventura del teatro fra gli adolescenti
L’ultimo libro firmato Marco Martinelli, Aristofane a Scampia (edizioni Ponte alle Grazie, 160 pagine) è un lungo a appassionato racconto, una sorta di diario per tappe, dell’esperienza della non-scuola, ideata e perseguita fino ad oggi dalla compagnia delle Albe e da Ravenna Teatro. L’essenza di questo lungo percorso sta tutta nel sottotitolo del volume che recita: «Come fare amare i classici agli adolescenti…». Un progetto partito in sordina all’Itis di Ravenna nell’anno scolastico 1992-’93 che è diventato negli anni un grande processo di coinvolgimento delle nuove generazioni alla sapienza e alla vitalità del teatro: da Scampia a Chicago, dalla Romagna alla Calabria, dalla Sicilia all’Africa, passando per autori come Plauto, Aristofane, Shakespeare, Moliere, Jarry, Brecht e Majakovskij.

Il film: Aung San Suu Kyi ora rivive per immagini
È la la prima prova per Marco Martinelli come regista cinematografico ed è anche uno dei primi film finanziati dalla Regione Emilia-Romagna (con 72mila euro) in base alla nuova Legge Cinema del 2016: si tratta di Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi, tratto dall’omonimo spettacolo teatrale del Teatro delle Albe-Ravenna Teatro.
Protagonista del film (come del dramma scenico) la pluripremiata attrice delle Albe, Ermanna Montanari, affiancata da uno dei grandi interpreti del teatro italiano, Elio De Capitani, dal giovane Roberto Magnani delle Albe  e da Sonia Bergamasco, un altro volto molto noto fra cinema e teatro. Del cast fanno parte anche sei bambine nelle vesti di narratrici della vicenda dell’eroina Birmana. Il film, di cui si sta ultimando il montaggio per la distribuzione nelle sale nel 2107, si avvale anche di una squadra tecnica d’eccezione, fra direttore della fotografia e del montaggio, scenografo e musicista.  

 

Al quartiere Alberti musica, mercatini giochi e animazioni

Per tutta la giornata di domenica 25 attese migliaia di persone

festa AlbertiDomenica 25 settembre torna la festa del quartiere Alberti, a Ravenna, organizzata quest’anno dalla società di comunicazione Inedit Pro Srl. Come ogni anno sono attese migliaia di persone per una giornata realizzata grazie al fondamentale contributo degli esercenti dei viali Alberti, Brunelleschi e Corbusier, in particolare.
Parte del ricavato sarà devoluto a Linea Rosa, l’associazione che lotta contro la violenza sulle donne.
Bancarelle, esibizioni di ogni genere, aree gioco per bambini, zumba, risveglio muscolare, sfida tra cantanti, “corrida”, tiro alla fune e sfilata di moda sono solo alcune delle attività in programma, a partire dalle 10 del mattino e fino a sera, con l’estrazione della lotteria in programma alle 18. Tra i protagonisti anche Empira, l’associazione di fan di Star Wars, che si presenterà come ogni anno in costume a tema.

Fornario: «Il fertility day? L’hanno fatto per me, chiedo scusa a tutti»

Intervista a tutto campo all’autrice e conduttrice radiofonica ospite domenica 25 al circolo Dock 61 col suo libro “La banda della culla“

fornario«Referendum: minoranza Pd nettamente schierata per il Forse». Autrice satirica, conduttrice radiofonica di “Un giorno da pecora“ su Rai Radio1, Francesca Fornario ha debuttato nella narrativa con “La banda della culla“ (Einaudi), un romanzo su amore, precariato, maternità, giustizia, ma soprattutto satira.

Domenica 25 settembre, alle 20.45, sarà ospite al circolo Arci Dock 61, nella Darsena di città a Ravenna (via Magazzini Posteriori 61).

Nel tuo libro hai preso in giro, prima che nascesse, il Fertility Day.
«Sì, credevo di aver fatto un romanzo storico perché lo avevo scritto nel 2013 parlando della mancata cancellazione del reato di clandestinità, del fatto che non esistesse la maternità per i precari, che le coppie omosessuali non possono mettere su famiglia, e credevo che quando sarebbe uscito il libro sarebbero stati temi legati a quegli anni del passato, per ricordarci quando eravamo sfigati. Invece non è cambiato nulla, allora abbiamo spostato le date in avanti. La fecondazione eterologa è ancora vietata, hanno fatto una legge sulle unioni civili escludendo la questione della genitorialità e poi hanno fatto pure il fertility day. Ho capito allora che ho dei fan, che i ministri Alfano e Lorenzin hanno talmente amato il mio libro che hanno deciso di inventare altre iniziative per lanciare il romanzo. Me li immagino: “Facciamo il Fertility Day!”, e l’altra “ma no, dai, è una cazzata. Lo capiscono tutti che è solo per lanciare il libro della Fornario”… »

Insomma hai combinato un casino…
«Mi scuso con il Paese… non era mia intenzione…»

Il romanzo è una disamina delle varie incoerenze italiane, credi che viviamo nel paese delle contraddizioni?
«Esatto. Il romanzo si inserisce in quel vuoto che c’è tra la giustizia e la legge. Due concetti che dovrebbero coincidere, ma non coincidono affatto…»

libro fornarioCome è cambiata la tua ironia dalla radio alla pagine scritta?
«Ero convinta di aver scritto un noir, ma tutti mi dicono che ridono tantissimo… Io mi ero pure impegnata. Ci avevo messo il delitto, il sangue, le indagini, avevo annunciato a tutti i miei amici che “cambiavo genere”, ma niente tutti mi dicono che sono sempre una autrice satirica…»

Che cosa è, o cosa dovrebbe essere la comicità?
«È una cosa molto personale, ognuno ha la sua. Può essere uno strumento della satira, ma può anche servire solo a sorridere, che è una cosa sempre molto importante».

La tua comicità però non è piaciuta a tutti, in particolare quella politica visto che Rai Radio2 ti ha detto di smettere di fare satira…
«Le direttive del nuovo direttore artistico sono state abbastanza assurde. Ci ha chiesto di non parlare più di politica e di non fare satira, quando il nostro programma era proprio di satira politica… Non si può piacere a tutti…»

Credi che i politici non sappiano ridere di sé stessi?
«Non credo che Matteo Renzi abbia chiamato Radio2 dicendo “non voglio più che imitino mia mamma per radio”. Sono i dirigenti Rai e personaggi della commozione di vigilanza come Ansaldi che ha mandato via Berlinguer, Vianello, eccetera. C’è un clima per cui i dirigenti Rai, che non brillano per coraggio, tengono un basso profilo».

Però sei finita su Rai Radio1, non è andata male.
«Infatti, alla fine me ne sono andata io perché non potevo rimanere a fare un programma di satira senza satira e ho trovato un direttore più coraggioso… magari un giorno tornerò a Radio2, se faranno Corrado Guzzanti direttore…».

Fornario: «Il fertility day? L’hanno fatto per me, chiedo scusa a tutti»

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Domenica 25 settembre, alle 20.45, sarà ospite al circolo Arci Dock 61, nella Darsena di città a Ravenna (via Magazzini Posteriori 61).

Nel tuo libro hai preso in giro, prima che nascesse, il Fertility Day.
«Sì, credevo di aver fatto un romanzo storico perché lo avevo scritto nel 2013 parlando della mancata cancellazione del reato di clandestinità, del fatto che non esistesse la maternità per i precari, che le coppie omosessuali non possono mettere su famiglia, e credevo che quando sarebbe uscito il libro sarebbero stati temi legati a quegli anni del passato, per ricordarci quando eravamo sfigati. Invece non è cambiato nulla, allora abbiamo spostato le date in avanti. La fecondazione eterologa è ancora vietata, hanno fatto una legge sulle unioni civili escludendo la questione della genitorialità e poi hanno fatto pure il fertility day. Ho capito allora che ho dei fan, che i ministri Alfano e Lorenzin hanno talmente amato il mio libro che hanno deciso di inventare altre iniziative per lanciare il romanzo. Me li immagino: “Facciamo il Fertility Day!”, e l’altra “ma no, dai, è una cazzata. Lo capiscono tutti che è solo per lanciare il libro della Fornario”… »

Insomma hai combinato un casino…
«Mi scuso con il Paese… non era mia intenzione…»

Il romanzo è una disamina delle varie incoerenze italiane, credi che viviamo nel paese delle contraddizioni?
«Esatto. Il romanzo si inserisce in quel vuoto che c’è tra la giustizia e la legge. Due concetti che dovrebbero coincidere, ma non coincidono affatto…»

libro fornarioCome è cambiata la tua ironia dalla radio alla pagine scritta?
«Ero convinta di aver scritto un noir, ma tutti mi dicono che ridono tantissimo… Io mi ero pure impegnata. Ci avevo messo il delitto, il sangue, le indagini, avevo annunciato a tutti i miei amici che “cambiavo genere”, ma niente tutti mi dicono che sono sempre una autrice satirica…»

Che cosa è, o cosa dovrebbe essere la comicità?
«È una cosa molto personale, ognuno ha la sua. Può essere uno strumento della satira, ma può anche servire solo a sorridere, che è una cosa sempre molto importante».

La tua comicità però non è piaciuta a tutti, in particolare quella politica visto che Rai Radio2 ti ha detto di smettere di fare satira…
«Le direttive del nuovo direttore artistico sono state abbastanza assurde. Ci ha chiesto di non parlare più di politica e di non fare satira, quando il nostro programma era proprio di satira politica… Non si può piacere a tutti…»

Credi che i politici non sappiano ridere di sé stessi?
«Non credo che Matteo Renzi abbia chiamato Radio2 dicendo “non voglio più che imitino mia mamma per radio”. Sono i dirigenti Rai e personaggi della commozione di vigilanza come Ansaldi che ha mandato via Berlinguer, Vianello, eccetera. C’è un clima per cui i dirigenti Rai, che non brillano per coraggio, tengono un basso profilo».

Però sei finita su Rai Radio1, non è andata male.
«Infatti, alla fine me ne sono andata io perché non potevo rimanere a fare un programma di satira senza satira e ho trovato un direttore più coraggioso… magari un giorno tornerò a Radio2, se faranno Corrado Guzzanti direttore…».

Fornario: «Il fertility day? L’hanno fatto per me, chiedo scusa a tutti»

Intervista a tutto campo all’autrice e conduttrice radiofonica ospite domenica 25 al circolo Dock 61 col suo libro “La banda della culla“

fornario«Referendum: minoranza Pd nettamente schierata per il Forse». Autrice satirica, conduttrice radiofonica di “Un giorno da pecora“ su Rai Radio1, Francesca Fornario ha debuttato nella narrativa con “La banda della culla“ (Einaudi), un romanzo su amore, precariato, maternità, giustizia, ma soprattutto satira.

Domenica 25 settembre, alle 20.45, sarà ospite al circolo Arci Dock 61, nella Darsena di città a Ravenna (via Magazzini Posteriori 61).

Nel tuo libro hai preso in giro, prima che nascesse, il Fertility Day.
«Sì, credevo di aver fatto un romanzo storico perché lo avevo scritto nel 2013 parlando della mancata cancellazione del reato di clandestinità, del fatto che non esistesse la maternità per i precari, che le coppie omosessuali non possono mettere su famiglia, e credevo che quando sarebbe uscito il libro sarebbero stati temi legati a quegli anni del passato, per ricordarci quando eravamo sfigati. Invece non è cambiato nulla, allora abbiamo spostato le date in avanti. La fecondazione eterologa è ancora vietata, hanno fatto una legge sulle unioni civili escludendo la questione della genitorialità e poi hanno fatto pure il fertility day. Ho capito allora che ho dei fan, che i ministri Alfano e Lorenzin hanno talmente amato il mio libro che hanno deciso di inventare altre iniziative per lanciare il romanzo. Me li immagino: “Facciamo il Fertility Day!”, e l’altra “ma no, dai, è una cazzata. Lo capiscono tutti che è solo per lanciare il libro della Fornario”… »

Insomma hai combinato un casino…
«Mi scuso con il Paese… non era mia intenzione…»

Il romanzo è una disamina delle varie incoerenze italiane, credi che viviamo nel paese delle contraddizioni?
«Esatto. Il romanzo si inserisce in quel vuoto che c’è tra la giustizia e la legge. Due concetti che dovrebbero coincidere, ma non coincidono affatto…»

libro fornarioCome è cambiata la tua ironia dalla radio alla pagine scritta?
«Ero convinta di aver scritto un noir, ma tutti mi dicono che ridono tantissimo… Io mi ero pure impegnata. Ci avevo messo il delitto, il sangue, le indagini, avevo annunciato a tutti i miei amici che “cambiavo genere”, ma niente tutti mi dicono che sono sempre una autrice satirica…»

Che cosa è, o cosa dovrebbe essere la comicità?
«È una cosa molto personale, ognuno ha la sua. Può essere uno strumento della satira, ma può anche servire solo a sorridere, che è una cosa sempre molto importante».

La tua comicità però non è piaciuta a tutti, in particolare quella politica visto che Rai Radio2 ti ha detto di smettere di fare satira…
«Le direttive del nuovo direttore artistico sono state abbastanza assurde. Ci ha chiesto di non parlare più di politica e di non fare satira, quando il nostro programma era proprio di satira politica… Non si può piacere a tutti…»

Credi che i politici non sappiano ridere di sé stessi?
«Non credo che Matteo Renzi abbia chiamato Radio2 dicendo “non voglio più che imitino mia mamma per radio”. Sono i dirigenti Rai e personaggi della commozione di vigilanza come Ansaldi che ha mandato via Berlinguer, Vianello, eccetera. C’è un clima per cui i dirigenti Rai, che non brillano per coraggio, tengono un basso profilo».

Però sei finita su Rai Radio1, non è andata male.
«Infatti, alla fine me ne sono andata io perché non potevo rimanere a fare un programma di satira senza satira e ho trovato un direttore più coraggioso… magari un giorno tornerò a Radio2, se faranno Corrado Guzzanti direttore…».

Dalla Festa del Volontariato al concerto per i terremotati

Appuntamenti il 24 settembre in Piazza del Popolo e il 7 ottobre al ridotto dell’Alighieri

Festa del Volontariato a RavennaAnche quest’anno per Ravenna è giunto il momento della grande Festa del Volontariato: sabato 24 settembre 2016 in Piazza del Popolo saranno allestiti numerosi stand dove 61 associazioni di volontariato del territorio ravennate avranno modo di farsi conoscere alla cittadinanza rendendo noto il loro operato e i rispettivi ambiti di intervento, nonché promuovendo le iniziative in programma.
Sullo stesso filone di solidarietà si inserisce anche il concerto benefico a favore delle vittime del terremoto del 24 agosto scorso, che si svolgerà venerdì 7 ottobre, alle ore 21, nel Ridotto del Teatro Alighieri di Ravenna; protagonista della serata sarà il giovanissimo pianista Gabriele Strata.

La “Festa del Volontariato”, che si articolerà su diversi momenti di intrattenimento e spettacolo, si presenta come un importante appuntamento per celebrare e rivivere insieme la collaborazione civile e la coesione sociale. Si ricorda che il 24 settembre è anche la terza edizione della Giornata della cittadinanza solidale regionale, istituita con la legge regionale numero 8 del 2014, al fine di incentivare una nuova stagione di solidarietà e partecipazione al servizio della collettività.
Il programma avrà inizio alle ore 10, nella Sala Consiliare della Residenza Municipale, con lo spettacolo del Coro degli Afasici, a cura dell’Associazione ALICE. Seguirà alle 11, sempre nello stesso luogo, l’attesissima consegna dei riconoscimenti ai “Cittadino Solidale” segnalati dalle varie associazioni. Ci si sposta poi all’esterno sulla piazza, dove alle 15.30 si esibiranno un gruppo di percussionisti dal mondo e alle 16.30 sarà il turno di “Filastrocche in cielo e in terra”, a cura dell’associazione Città Meticcia; infine, alle 17.30, giunge il tradizionale appuntamento di chiusura con il gruppo di ballerini folk “Alla Casadei” di Bruno e Monia Malpassi. Dalle ore 12 si potranno anche gustare le pietanze dello stand gastronomico gestito dalla Cooperativa Sociale “Il Pino”.
«La Festa del Volontariato è un momento importante per la città in un periodo come questo in cui tendono a prevalere gli individualismi e quindi il rischio di chiusura è molto forte – precisa l’Assessore al decentramento Gianandrea Baroncelli – ed è anche il nostro modo per ringraziare i numerosi ravennati che tutto l’anno si occupano di volontariato». L’evento è promosso e organizzato dalla Consulta delle Associazioni di Volontariato di Ravenna e dall’associazione “Per gli Altri”.

Gabriele StrataDa segnare sul calendario il concerto in favore dei terremotati che si svolgerà venerdì 7 ottobre, alle ore 21, nel Ridotto del Teatro Alighieri di Ravenna. L’iniziativa è organizzata dalla Cooperativa Emilia Romagna Concerti, insieme alla Consulta del Volontariato e all’Amministrazione Comunale di Ravenna; fra i tre enti vi è una comprovata collaborazione, che in passato ha dato vita a importanti progetti come i concerti di Natale offerti agli immigrati e ai richiedenti asilo o il sostegno all’Ospedale dei bambini di Betlemme.
Protagonista della serata all’insegna della grande musica e della solidarietà sarà il pianista diciasettenne Gabriele Strata, che negli ultimi anni si sta imponendo al pubblico e alla critica di tutto il mondo per la sua bravura. Nonostante la sua giovane età, l’astro nascente della tastiera è già stato vincitore di numerosi concorsi internazionali e insignito dall’Onorevole Boldrini della medaglia della Camera dei Deputati per i suoi meriti artistici.
Nella prima parte del concerto Strata eseguirà tre brani di Chopin, la Berceuse op. 57, la Ballata n. 4 e la Sonata op. 35, della quale fa parte la famosa Marcia Funebre che, come sottolinea Silvana Lugaresi, Amministratore di Erconcerti, «idealmente gli organizzatori dedicano alle vittime del terremoto». La seconda parte della serata comprenderà due brani virtuosistici di Liszt: la Parafrasi da Concerto sull’Ernani di Verdi e il Mephisto Valzer.
Il ricavato dell’iniziativa, con ingresso a offerta libera, sarà interamente devoluto a un progetto di ricostruzione a favore delle vittime del terremoto individuato specificatamente dal Comune di Ravenna.

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