«La Costituzione? Va attuata, non cambiata. Merito e istruzione: che sbaglio»

Parla il professor Gaetano Azzariti, atteso lunedì 20 novembre a Ravenna per un seminario aperto al pubblico

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Si rivolge agli studenti e ai cittadini, e in generale a chiunque creda nella Costituzione come “bussola per il presente”, il percorso di formazione promosso a Ravenna da Libera e dal Comitato in difesa della Costituzione, che prevede lunedì 20 novembre (dalle 18 alle 20) a Palazzo Corradini (Aula 3) un seminario con protagonista il professor Gaetano Azzariti, ordinario di Diritto costituzionale all’Università Sapienza di Roma e presidente dell’associazione nazionale Salviamo la Costituzione. Per l’occasione parlerà sul tema “A proposito di istruzione e merito. E la Costituzione?”. L’incontro, aperto dal saluto del professor Mario Neve presidente del Campus di Ravenna, sarà condotto da Alice Casadei e Carlo Garavini di Libera Ravenna. Si tratta del primo appuntamento promosso dopo lo stop causato dall’alluvione. 

Professor Azzariti, da quando si è accostato il termine “merito” all’istruzione?

«Di recente, da quando l’attuale governo ha deciso di cambiare la denominazione del ministero dell’Istruzione che ora si chiama ministero dell’Istruzione e del merito. Una novità diventata definitiva con l’approvazione del decreto legge dell’11 novembre 2022».

Cosa pensa al riguardo?

«Credo sia un segno simbolico di allontanamento della nostra cultura politica dai principi costituzionali che prima di tutto sono quelli di uguaglianza e dignità, non di merito. Nella nostra Costituzione non c’è la volontà di far competere gli studenti secondo una logica liberista ed economica che, generalizzando, è in contrasto con il diritto all’istruzione che spetta a tutti a prescindere dal merito. Nel settore dell’istruzione sono le differenze semmai che devono essere salvaguardate e l’obiettivo deve essere quello di prestare particolare attenzione a chi è in difficoltà, altro che merito!».

Secondo lei c’è stata un po’ di superficialità?

«Probabilmente sì, perché ci si è fatti incantare da una parola di moda come “merito” che però va contro la nostra Costituzione quando si parla di istruzione. Basta poco per affrontare una questione in modo semplificato e fuorviante… Non ci sarebbe nulla da ridire se si fosse accostato il merito ai concorsi, anzi ci stupiremmo del contrario, visto che ci aspettiamo che a vincere siano i migliore. Allo stesso modo se una persona deve decidere da chi farsi operare, è chiaro che andrà alla ricerca del medico più capace. C’è contesto e contesto».

I ragazzi, quindi non vanno educati alla competizione?

«No, sarebbe deleterio. In una classe non si promuovono solo i migliori ma tutti quelli che raggiungono almeno la sufficienza. Noi dobbiamo formare i giovani al meglio, in base alle loro possibilità, in modo che poi possano affrontare un domani concorsi o altri tipi di esperienze formative e professionali nel miglior modo possibile. La formazione deve essere uguale per tutti come diceva don Milani, e per farlo bisogna uscire dalla retorica e dalle parole vuote».

Altro grande tema di attualità è la riforma che il governo intende portare avanti, che si può sintetizzare nel cosiddetto “premierato”…

«Siamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda, nel senso che, anche in questo caso, si evidenzia la distanza di chi governa dai principi costituzionali. La riforma fa una scelta fintamente presidenziale: da un lato è vero che caldeggia l’elezione diretta del presidente, però poi dall’altro prevede come clausola la possibilità di poterlo sostituire con un parlamentare. Non si segue dunque un principio, ma più principi piegati alla contingenza politica per cercare di mettere d’accordo Meloni, Salvini e Tajani».

Anche qui le parole sono vuote e retoriche?

«Certamente. Quando si dice che non si toccano i poteri del capo dello Stato, in realtà non è così perché li si svuota al punto da azzerarli. Se al Capo dello Stato si sottrae il potere di nomina del presidente del consiglio, nonché quello di sciogliere le Camere, lo si priva di due importanti poteri di interlocuzione con il governo e il parlamento».

Ne uscirebbe però rafforzato il governo…

«Indubbiamente. Ma il punto non è tanto questo, visto che gli attuali governi hanno già poteri rilevanti, avendo assorbito tutti i principali poteri del parlamento, togliendogli potestà legislativa. Il premierato rafforzerebbe il governo a discapito del capo dello Stato e del parlamento, quest’ultimo il vero soggetto debole».

Lei a cosa sarebbe favorevole? Meglio lasciar così la Costituzione?

«Credo che bisognerebbe impegnarsi di più ad attuarla più che a cambiarla. Il problema è far funzionare l’istruzione per garantirla a tutti, così come a livello politico è permettere al governo, al presidente della Repubblica e al parlamento di poter esercitare i loro poteri. Il parlamento soprattutto è in grande difficoltà, sta vivendo una crisi iniziata negli anni Ottanta e da allora nessuno sembra voler intervenire per cambiare rotta. Ora con la riduzione dei parlamentari non si riescono neppure a riunire le commissioni parlamentari, si è arrivati di fatto a un monocameralismo».

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