Darsena: il problema non è la chiusura del Pop Up, ma la mancata apertura di altro in 7 anni

Il riuso temporaneo nato dall’idea visionaria di un imprenditore si chiude dopo sette anni per fare posto a un albergo. Ma sulla banchina destra non si è visto l’effetto volano. E il Comune cosa ha fatto per favorire gli imprenditori?

I lavori di costruzione del Darsena Pop Up nella primavera 2016La fine dell’esperienza Darsena Pop Up a Ravenna, durata sette anni, è una fotografia plastica di tre cose: le potenzialità del quartiere sull’acqua, la rarità di imprenditori brillanti e la distanza del Comune dal mondo reale.

A settembre 2016, quando in darsena c’era di fatto il nulla, un imprenditore del settore portuale (Paolo Monduzzi) fu visionario nell’immaginare che un’area dismessa – non di sua proprietà – potesse diventare uno spazio da vivere nel tempo libero. Quello sulla banchina destra è stato un investimento audace, qualcuno disse da pazzi. Ma il tempo lo ha premiato.

Al tempo stesso è stata anche la dimostrazione che in fin dei conti quel quartiere chiede poco per spiccare il volo. Lo diciamo con il massimo rispetto e senza sminuire le cifre sostenute. Non è che ci sia voluto chissà quale centro polivalente super-minchia-turbo-power-international: è bastato avere coraggio e idee. Mica poco, eh. Però alla prova dei fatti si è trattato di riciclare dei container e farne un bar, un campo da racchettoni, una piastra da basket e un ristorante. E la gente ha cominciato a considerare la testata del Candiano come un luogo da vivere. Ci voleva qualcuno che ci provasse.

Il Pop Up è stata la perfetta sintesi del concetto di riuso temporaneo nell’urbanistica. E se le parole hanno un senso, quel temporaneo, che è noto sin dal 2016, dovrebbe ora escludere stupore e musi lunghi di fronte alle gru che tirano giù la baracca. Fa parte delle regole del gioco. L’imprenditore ha trovato un investitore interessato a farci un albergo e vende (di un hotel c’è bisogno in una città che si dichiara turistica, ma sia chiaro che l’effetto non sarà lo stesso sulla vivacità del quartiere).

16684030 1747241812258055 4201166689478427923 NI riusi temporanei rispondono all’esigenza di mettere in moto energie grazie a interventi agili – lungo il percorso verso cose più radicate – per il tanto sbandierato effetto volano: uno parte e invoglia altri a mettersi in scia e quando la temporaneità del primo arriva alla fine, c’è qualcos’altro di temporaneo poco più in là. Il problema è che nella scia del Pop Up sulla banchina destra ci si sono messi in pochi (i pub Darsenale e S-Club e il centro padel The Wall). Dove sono gli altri quaranta e passa proprietari dei lotti sull’acqua? Possibile, giusto per citare il caso più noto, che della rinascita del Sigarone si parli da un decennio e si sia visto niente?

A preoccupare il Comune – e i cittadini – non dovrebbe essere la fine del Pop Up e la ricerca di uno spazio dove trasferirlo. Quello è solo il dito. La Luna, cioè il vero problema, è che in sette anni il Pop Up è rimasto una rarità (che ne ha fatto anche il successo, va detto). Su questo dovrebbe interrogarsi il Comune che ora invece si arrabatta perché Conad conceda una porzione dell’ex area Cmc per traslocare una parte del Pop Up (siamo al capolavoro del temporaneo del temporaneo). La domanda da farsi in municipio è una: perché qua sogniamo la rinascita di un quartiere ma le imprese non ci seguono?

Gli investimenti li devono fare i privati, ma il pubblico si chieda cosa ha fatto per incentivarli. Vediamo un po’. Nei mesi scorsi il Comune ha deciso di togliere lo spazio coworking e spostarlo a Marina. Per costruire una passerella di legno dritta e piana di un paio di km ci sta mettendo anni. Del concorso di idee per la riqualificazione non si è più saputo niente. E tutto quello che è riuscito a inventarsi per l’unico edificio di cui è proprietario nel quartiere, cioè l’ex dogana accanto al Pop Up, è stato metterci i vigili urbani nel 2012 definendola una soluzione provvisoria che però ancora rimane lì dopo 14 anni. Sì, il Comune ha decisamente fatto il massimo per invogliare gli imprenditori pigri e attrarre investimenti da fuori.

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