Game Over, il documentario frutto di tre anni di lavoro sul gioco d’azzardo

Ne parla il regista Fabrizio Varesco. Anteprima nazionale al Rasi

L’arte e il vizio da sempre vanno di pari passo. La malattia del gioco d’azzardo ha colpito molti artisti. Celebri le corse ai cavalli su cui puntava Bukowski e le scommesse di Dostoevskij, che per pagare un debito di gioco scrisse Il giocatore.

Ma il gioco non ha niente di poetico: oggi è un bieco mercato che si arricchisce sulle spalle di chi non ha la forza di sottrarsene. Questo è il punto di partenza del documentario Game Over del regista ravennate Fabrizio Varesco, in anteprima nazionale venerdì 13 febbraio alle 21 al teatro Rasi di Ravenna.

Come è nata l’idea di occuparsi di questo tema?
«Tutto è iniziato quando ho partecipato a un incontro fatto a Reggio Emilia con Mauro Croce (ospite al convegno sempre al Rasi di Ravenna del 14 febbraio, ndr). Il suo intervento mi colpì perché, calcolatrice alla mano, dimostrò come, al contrario di ciò che si pensa in genere, lo Stato spende molti più soldi di quelli che guadagna con il gioco d’azzardo se si calcolano i costi che deve sostenere per le varie terapie, il costo sociale e i lauti guadagni in nero del crimine organizzato».
Quanto tempo ha richiesto la raccolta delle testimonianze in giro per l’Italia?
«Tre anni. All’inizio doveva essere una cosa semplice, pensavo di metterci un anno al massimo, ma poi ho sentito il bisogno di saperne di più, di andare a Palermo per indagare. Alla fine ho incontrato molte associazioni e molte persone che si occupano di questo problema. Non sarà un film concluso, ma un work in progress. Intendo creare un archivio di storie e di immagini. Sto coinvolgendo con un laboratorio anche i ragazzi del liceo artistico per lavorare col video su questa tematica sulla rete».
Perché non ci sono interviste a giocatori?
«Non volevo invadere la loro privacy. Un’attrice interpreta le loro storie partendo da testimonianze originali. Sono storie drammatiche che si assomigliano molto. Ho dato molto spazio a sociologi e psicologi per comprendere la vera portata del fenomeno e capire come contrastarlo».
Lo stile del documentario come può essere definito?
«Solitamente il mio stile è legato al direct cinema americano e il cinéma vérité. Questa volta però ho preferito un documentario concreto per dare un messaggio forte e chiaro. Fino a qualche anno fa era impensabile pensare le tabaccherie trasformarsi in bische e che in posta offrissero un gratta e vinci come resto».

Nell’articolo tra i correlati il programma dei quattro giorni organizzati a Ravenna per sensibilizzare sulla pericolosità del gioco d’azzardo. Iniziative fino al 14 febbraio.

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