«La partecipazione ha impatto sociale e cambia anche l’approccio delle istituzioni»

Andrea Caccìa della coop Villaggio Globale che da anni si occupa di cittadinanza attiva, dai grandi processi di pianificazione ai piccoli gruppi spontanei che nascono attorno a un bisogno comune

CittattivaSe c’è una realtà a Ravenna che si occupa di facilitare e incentivare la partecipazione attiva dei cittadini è la cooperativa sociale Il Villaggio Globale che dal 2007 ha dato vita al servizio di mediazione di CittAttiva, di cui quest’anno si festeggiano i dieci anni dell’apertura della sede in via Carducci 16. Oggi è anche aggiudicataria di un bando complessivo che prevede anche un lavoro di facilitazione alla partecipazione dei cittadini.
Tra le tante attività del servizio, in questi giorni è in corso, per esempio, la terza edizione della Farini Social Week, una manifestazione nata dopo una cosiddetta “open call” ai residenti e non. Di questo e molto altro abbiamo parlato con Andrea Caccìa, storico mediatore della cooperativa.

Cominciamo proprio dalla Farini Social Week . Come nasce questa esperienza?
«È nata per creare un’altra occasione di conoscere e scoprire la zona magari aprendo angoli meno noti. La festa nasce con una “open call” e una forte collaborazione con le realtà della zona, quest’anno una ventina. Di anno in anno noi cerchiamo di fare in modo che le proposte che arrivano possano trasformarsi in realtà, o magari vengano programmate nei mesi successivi».

Caccia

Andrea Caccìa

In passato vi siete occupati anche di partecipazione con progetti di pianificazione come la Darsena che vorrei attraverso percorsi molto strutturati. Oggi vi occupate anche di realtà più piccole e circoscritte, come operate nel concreto?
«Diciamo che negli anni abbiamo operato su due tipi di progettazione. Una, come quella sulla Darsena o adesso sul Pug (ve ne abbiamo parlato in questo articolo) , che richiede una profonda riflessione, molta formazione dei partecipanti e strumenti complessi come l’open space technology o altri metodi di confronto pubblico. L’altro filone è più legato a un impegno civico attivo dei cittadini che prevede sì una fase di conoscenza e pianificazione ma arriva poi soprattutto a sviluppare attività molto concrete, come è il caso della Farini Social Week, ma anche come tutti i gruppi che sottoscrivono con il Comune i “patti di collaborazione” per i Beni Comuni (vedi qui) . In particolare dal 2016, cerchiamo o sosteniamo gruppi che si attivino autonomamente per la tutela di un bene materiale o immateriale. Si tratta di gruppi spesso informali, di cui fanno parte anche associazioni, ma soprattutto singoli cittadini e si tratta di realtà molto diverse tra loro. Sono persone che si muovono su base volontaria per soddisfare loro bisogni o interessi comuni. Noi cerchiamo di sostenerli, coinvolgendo anche i consigli territoriali. E cerchiamo di fare formazione per esempio per quanto riguarda la raccolta fondi o la comunicazione».

Esiste un profilo tipo del “cittadino attivo”?
«Direi di no, abbiamo i pensionati così come i ragazzi e gli studenti che hanno dato vita al frutteto sociale di via Patuelli e gli Ortisti di strada. Abbiamo genitori dei bimbi di un asilo nido privato che si occupano di uno spazio verde, così come richiedenti asilo a Lido Adriano che contribuiscono ogni sabato a ripulire la località in accordo anche con Hera».

Che tipo di conflitto può nascere in questi gruppi?
«Spesso i conflitti nascono per le tipologie di leadership, magari anche molto carismatiche ma un po’ totalizzanti. E a volte ci sono gruppi che tendono a una certa chiusura, noi lavoriamo sempre per cercare di allargare, di aprire, anche per dare alle attività una più ampia prospettiva nel tempo».

C’è una comunanza di vedute politiche tra chi partecipa?
«Naturalmente questo è un dato che noi non raccogliamo e non chiediamo, ma frequentando le persone ci siamo accorti spesso che hanno idee diverse, votano partiti diversi, ma questo non è mai stato un problema perché lavorano per un obiettivo comune. Credo sia un aspetto particolarmente positivo».

FariniChe impatto hanno queste esperienze rispetto al tessuto sociale?
«Sono molto aggreganti perché le persone coinvolgono poi i vicini di casa, i conoscenti, persone con cui appunto condividono l’obiettivo comune. Anche per questo siamo particolarmente contenti che oltre al Comune di Ravenna, anche Acer abbia aderito a progetti di partecipazione di cittadini assegnatari degli appartamenti che vogliono impegnarsi per rendere più fruibili per esempio le parti comuni dei condomini Erp».

Dal punto di vista legislativo e istituzionale c’è un appoggio sufficiente?
«Il Comune di Ravenna ha investito molto in queste pratiche, noi partecipiamo ai bandi e così possiamo poi operare. Per fortuna la Regione Emilia-Romagna ha una legge che istituisce anche dei fondi per questi progetti, ed è una delle poche Regioni in Italia che si è dotata di queste norme. Certo, non sarebbe male una legge nazionale in materia perché spesso alcuni processi che vengono chiamati di partecipazione, per esempio quando si tratta di rilasciare una valutazione ambientale strategica per nuovi impianti produttivi, sono in realtà semplici consultazioni e coinvolgono solo figure già istituzionali e associazioni di categoria. Ma la partecipazione quando è vera può portare a soluzioni nuove e non contemplate magari da chi ha proposto il progetto e implica un cambiamento nelle procedure del lavoro che può essere faticoso, non tutti gli uffici reagiscono allo stesso modo. Ma al di là dei Comuni, sono tantissimi gli enti che potrebbero seguire queste prassi, dagli enti Parchi alla Sovrintendenza…».

darsena ravennaCosa accade quando la partecipazione non sembra dare frutti? Per esempio, qual è il suo bilancio, a distanza di anni, del processo “La Darsena che vorrei”?
«Se la partecipazione non dà risultati in tempi ragionevoli può diventare un boomerang per chi l’ha promossa, perché le persone a quel punto hanno l’impressione di aver sprecato tempo e competenze. Sulla Darsena, ricordo annunci che di certo non hanno fatto bene alla causa, però allora emersero molte idee che stanno almeno in parte prendendo vita. Penso ad esempio alla bella esperienza del Darsena Pop Up: la prima volta che si parlò di riusi temporanei a Ravenna fu proprio durante “La Darsena che vorrei”. E in generale, il quartiere, seppure faticosamente, sta prendendo la direzione di un luogo dedicato alla cultura e al tempo libero. Inoltre, si stanno facendo investimenti importanti grazie a bandi internazionali, anche recenti. Certo i tempi sono più lunghi di quanti molti si sarebbero aspettati, anche per le caratteristiche dell’area. Ma qualcosa ora si sta muovendo».

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