lunedì
07 Luglio 2025
Intervista

«Dante è sia rivoluzionario che conservatore e serve per capire l’identità italiana»

Aldo Cazzullo, saggista e opinionista del Corriere della Sera, da anni divulga la figura del Sommo Poeta, di cui parlerà a Ravenna con una lectio magistralis al teatro Alighieri domenica 8 settembre in occasione dell'Annuale (ingresso libero): «Tra i motivi che lo rendono ancorta attuale c’è l’amore critico verso la patria»

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CazzulloLa comprensione dell’identità italiana di oggi passa (anche) dalla lettura di Dante Alighieri, morto da 703 anni. Ne è convinto Aldo Cazzullo, saggista e opinionista del Corriere della Sera che alle 10 dell’8 settembre terrà una la lectio magistralis sul Sommo Poeta al teatro Alighieri nell’ambito delle celebrazioni per l’annuale della morte (programma nell’articolo a fondo pagina).

Cazzullo, da dove nasce la sua passione per Dante?
«Ai tempi delle scuole superiori, come per tantissimi italiani diventati amanti di Dante. Al liceo del mio paese, Alba, avevamo una professoressa molto brava. Poi quando più tardi riprendi in mano i libri per piacere e non più per obbligo ti appaiono anche in una luce diversa».

Cosa l’ha spinta a scrivere di Dante?
«Tutti i libri che ho scritto prima di dedicarmi a Dante andavano alla ricerca dell’identità italiana: le guerre mondiali, il Risorgimento, Mussolini, la ricostruzione, la Resistenza… Poi mi sono reso conto che per ricostruire l’identità italiana bisognava partire da più indietro. In fin dei conti siamo uno Stato giovane e vediamo lo Stato ancora come un nemico e consideriamo un eroe chi non paga le tasse. Però crediamo nella patria…»

Dopo aver maneggiato tanto i suoi scritti, capita ancora di trovare nuovi dettagli?
«Succede come con i grandi film di cui scopri qualcosa ogni volta che li rivedi».

Ha un passaggio della Commedia che preferisce più di altri?
«Se devo indicarne uno solo allora scelgo il XVI canto dell’Inferno in cui compare Ulisse, l’eroe della conoscenza, il primo uomo moderno che si mette in viaggio oltre i confini perché sa di non sapere».

Il titolo della lectio che terrà è “Da Virgilio a Dante: nascita di una patria”. Il concetto di patria torna spesso nell’attualità, addirittura è un tema dell’educazione civica nella riforma scolastica pensata dal ministro Valditara.
«Non sono molto preso dalle proposte di questo governo di cui non sono un grandissimo estimatore. È chiaro che Dante centra con la patria anche se per Dante l’Italia non era uno Stato ma un nucleo di valori, un patrimonio di bellezza e cultura. Per Dante l’Italia aveva una missione: conciliare la Roma dei Cesari e la Roma dei Papi, un ponte tra classicità e cristianità. Non a caso come guida nella Commedia sceglie Virgilio, il più grande poeta dell’età classica».

Dante è di destra, come ha provato a dire il ministro Sangiuliano?
«Dante non appartiene a nessuno e prima di dire certe cose bisognerebbe pensarci. Per certi aspetti è un conservatore: per esempio era già allora ostile agli eccessi della finanza e mette gli usurai accanto ai bestemmiatori perché fanno violenza a Dio facendo soldi con altri soldi sulla pelle della gente. Ma al tempo stesso è stato anche un rivoluzionario come dimostra la scelta di scrivere la sua opera più importante usando il volgare».

Per tenere viva la conoscenza di Alighieri oggi servirebbe una divulgazione con metodi più moderni rispetto ai classici?
«L’importante è farlo vivere. L’idea sarebbe non solo a scuola: andrebbe portato nella vita, bisognerebbe fare letture in tutte le chiese. Abbiamo un patrimonio culturale meraviglioso, ma  abbiamo timore ad accostarci. Per esempio il recente film di Pupi Avanti con Sergio Castellitto è molto bello, ma forse poco visto. È difficile pensare a un prodotto sulla vita di Dante perché dai pochi dettagli che si hanno è una vita triste, malinconica. La sua vera autobiografia è l’Inferno dove mette personaggi in cui si rispecchia».

Dante è tra i padri della nostra lingua. L’italiano è una lingua in salute?
«L’italiano è una lingua meravigliosa, gli stranieri lo conoscono poco ma molti lo amano. Ed è necessario per approcciarsi a Dante: leggere le traduzioni non trasmettono la stessa musicalità dei versi. L’italiano è una lingua che si è mantenuta relativamente intatta perché è stata poco usata per via dei tanti dialetti. Se ci pensiamo, ci rendiamo conto che l’italiano di Dante ci è comprensibile oggi molto meno di quanto lo sia l’inglese di Shakespeare. L’italiano di Dante mi sembra molto più vivo di quello di Leopardi».

Ai cambiamenti della lingua contribuisce anche il giornalismo. In che modo lo stanno facendo?
«Il discorso ci porterebbe molto lontano. Diciamo che sarebbe importante tornare ad avere più attenzione alla scrittura. Non crediamo che i lettori sfoglino solo i giornali, li leggono e più attenzione a come si scrivono sarebbe importante».

Che ruolo avrebbe Dante in una redazione?
«Al Corriere della Sera abbiamo avuto Montale e non ne eravamo degni, tanto meno lo saremmo con Dante».

In cosa Alighieri è attuale?
«Mi vengono in mente due cose. Innanzitutto il lamento verso l’Italia, l’amore critico verso la patria: anche noi non dobbiamo essere soddisfatti dell’Italia di oggi. La seconda cosa è la sua capacità di interrogarsi sul mistero del male. Quando Dante metta in scena i tre diavoli e inventa i loro nomi sembra Maradona che palleggia scalzo con le arance: i diavoli di Dante non fanno paura, sono grotteschi, perché il male è dentro di noi, non è scindibile dal bene e questo mi sembra molto attuale».

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