sabato
12 Luglio 2025
Rubrica Controcinema

L’esordio fiction di Joshua Oppenheimer non è perfetto, ma entra nell’anima

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Tra le poche uscite in sala interessanti di questi giorni c’è The End del regista angloamericano Joshua Oppenheimer, fantascienza e musical in una storia post apocalittica. Oppenheimer divenne celebre con i suoi fulminanti documentari The Act of Killing (2012) e The Look of Silence (2014), entrambi imperniati sul massacro di un milione di persone in Indonesia tra 1965 e 1966 da parte della spietata dittatura del generale Suharto, e raccontati dal punto di vista dei capi dei carnefici.

The End è la prima opera di fiction di Oppenheimer. La Terra è stata sconvolta da un imprecisato cataclisma climatico che ha sterminato la quasi totalità dell’umanità. Sono passati 20 anni dalla catastrofe, ma un piccolo gruppo di superstiti è sopravvissuto in un grande bunker sotterraneo dentro una miniera di sale. Sono una famiglia: il Padre (Michael Shannon), la Madre (Tilda Swinton) e il Figlio (George McKay), che di fatto è cresciuto solo dentro il bunker; oltre al Dottore, al Maggiordomo e alla Cuoca, amica della Moglie. In tutto questo tempo, non hanno mai visto altri umani superstiti. Il Padre era un ricco magnate del petrolio, il che gli ha permesso la costruzione del bunker, e di tutto ciò che serve a produrre cibo ed energia; la Madre era ballerina classica, e ha salvato alcuni quadri famosi, ora appesi nel salotto; il Figlio è istruito dal Dottore e scrive una fantomatica biografia del Padre; e tutti vivono da sempre in una noiosa ricchezza. Spesso gli abitanti hanno incubi notturni, quello sì… Ma un giorno succede l’imprevisto: poco fuori dalla miniera, nel gelo della Terra, trovano una Ragazza stremata e quasi morente. Inizialmente vorrebbero cacciarla, quello è sempre stato il loro “protocollo”: non accogliere nessun altro per non compromettere l’equilibrio della casa; ma poi si convincono a prenderla con loro. La Ragazza racconta il suo trauma peggiore: essere sopravvissuta alla sua famiglia, che ha abbandonato e lasciato morire giorni prima, e con lei, emergono i traumi di tutti gli abitanti del Bunker, di chi hanno scelto di lasciare morire e di non accogliere… The End non ha nulla del classico dramma survival dell’Apocalisse. La forma musical sicuramente dilata la durata del film e non sembra molto funzionale al cuore della storia né a una regia molto pittorica, debitrice al Lars Von Trier di Dogville e Melancholia. Della Fine del Mondo sono rimasti i quadri “salvati” e appesi – i migliori ricordi del Mondo scomparso, migliori delle foto perché trasfigurati, non vincolati al dolore della memoria. Ogni personaggio vive il dolore attraverso la Rimozione assoluta del passato, del fatto che tutti hanno scelto di abbandonare qualcuno alla morte, e i traumi ritornano negli incubi notturni, quelle Colpe che tutti hanno e che tutti devono oltrepassare attraverso Il Perdono. Un film non perfetto, ma che entra nell’anima.

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