Come contrastare il consumo di suolo

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Perché è necessario contrastare il consumo di suolo?
Credo che in primo luogo occorra assumere piene consapevolezza del fatto che il suolo è un bene prezioso per ciò che esso è, per le sue caratteristiche proprie:
–     è la pelle del pianeta, substrato delle comunità biologiche, l’infrastruttura della vita,
–     è il palinsesto della storia delle civiltà umane,
–     è l’habitat della società umana, il suo sistema insediativo.
Da queste sue caratteristiche discendono le molteplici potenziali utilizzazioni del suolo per la razza umana:
– il ciclo della biosfera,
– il deposito di risorse naturali utili all’uomo,
– la produzione degli alimenti,
– l’habitat dell’uomo,
– la testimonianza e l’insegnamento della storia delle civiltà.
Le trasformazioni della civiltà umana hanno prodotto, soprattutto negli ultimi secoli, un pesante processo di trasformazione che ha privilegiato, l’uso del suolo come habitat dell’uomo nella forma dell’urbanizzazione: abbiamo inventato ed esteso la città, che è divenuta al tempo stesso gloria e dannazione della civiltà umana. Oggi constatiamo che il suolo si sta gradatamente ma velocemente trasformando in quella che Antonio Cederna definiva la «repellente crosta di cemento e asfalto».
Decisivi in questo mortifero processo sono stati due elementi:
– la mancata consapevolezza del valore del suolo come bene (come patrimonio da gestire con parsimonia), e non come merce,
– il ruolo che ha, via via assunto, la rendita urbana, come spiegato su questa rubrica il mese scorso: più precisamente, la sua appropriazione privata.
La potenzialità economica della rendita nell’economia capitalistica, esclude via via più decisamente, le altre possibili utilizzazioni (oltre a cancellare la “città dei cittadini”: quella cioè finalizzata al ben-essere e ben-vivere dei suoi abitanti).
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Per contrastare il consumo di suolo dobbiamo tener conto che esso ha molte forme ma è su una in particolare che vorrei soffermarmi, tenendo conto che non è l’unico, che anche gli altri vanno combattuti e che solo una visione complessiva può consentire il formarsi le alleanze necessarie per vincere.
Cominciamo dunque da quello che è l’enorme problema della distruzione materiale della naturalità, della bellezza e della storia, cioè la sostituzione della pelle del pianeta con la “repellente crosta di cemento e asfalto”.
Partiamo ponendoci una domanda: Quando il consumo di suolo è diventato un problema, un aspetto rilevante dei processi di degrado dell’ecosistema planetario?
Il punto di svolta è stato rappresentato dagli orribili anni 80, le cui prime radici si sono potute vedere in Italia nelle “controriforme” del decennio precedente.
Ecco allora le cinque parole chiave del degrado:
•    La “perequazione”, intesa e praticata come spalmatura dell’edificabilità,
•    l’invenzione dei “diritti edificatori”, termine fino ad allora completamente estraneo sia al linguaggio corrente che al mondo del diritto,
•    la “vocazione edilizia” come attributo del suolo,
•    il trionfo della “rendita urbana”,
•    l’abbandono della pianificazione, il cui emblema è costituito dalla la legge Lupi.
Il punto di svolta è stato insomma determinato dall’onda globale del neoliberismo aggravata nella sua versione italiana a causa di due elementi nostrani:
– il ruolo della rendita nel nostro paese,
– la debolezza della pubblica amministrazione dello Stato unitario,
Ma perché allora la gravità del fenomeno è stata avvertita così tardi?
È una domanda che bisognava assolutamente porsi quando ci siamo accorti che cultura, politica e amministrazioni non consideravano lo sprawl un grave pericolo da combattere e che tutto ciò con molta probabilità è addebitabile soprattutto a 4 cause:
•    L’egemonia conquistata dall’ideologia della crescita indefinita (lo “sviluppismo”)
•    La decadenza della politica e il suo appiattimento sul giorno per giorno,
•    La distrazione della gran parte dei saperi specialistici dagli aspetti propri della pianificazione delle città e del territorio,
•    Il prevalere nell’accademia della formazione di tecnici per la gestione dei processi in atto (facilitatori) anziché di intellettuali dotati di spirito critico e quindi propositori di strade alternative.
Oggi il “No al consumo di suolo” è diventato uno slogan di massa: il peggioramento delle condizioni materiali, i risultati del saccheggio in nome della rendita hanno suscitato reazioni estese di protesta e di puntuale proposta alternativa
Ma “No al consumo di suolo” è diventato anche una parola passepartout, come è accaduto per le parole sostenibilità, sviluppo, e perfino con la parola democrazia. Dobbiamo porre la massima attenzione attenti ai falsi profeti, ai lupi mascherati da agnello.
La confusione non è un buon segno, perché allontana dalla buona soluzione. Eppure la situazione e gravissima ed è urgente dire “stop al consumo di territorio” nella pratica.
Molto si può già fare, a tutti i livelli. Ma è in primo luogo necessario disporre di una visione strategica, quindi alternativa rispetto alla miopia prevalente oggi, dotarsi di un dispositivo che leghi tra loro i diversi livelli di governo: le istituzioni della Repubblica, stato, regioni, città metropolitane e province o ciò che ne sarà, comuni. Senza dimenticare l’attivazione di procedure che consentano di dare voce informata e consapevole al “popolo sovrano”, coinvolgendolo nel processo di decisione.
70 71 CITTA SOSTENIBILE:Layout 1 A livello comunale esistono già alcune buone pratiche ed esperienze di autocontenimento del consumo di suolo con gli strumenti della pianificazione urbanistica: Il Prg di Napoli del 2004 e, in Toscana il piani di Lastra a Signa e quello di Sesto fiorentino nel 2004 e 2005: ma ce ne sono certamente altri.
A livello regionale si possono certamente spendere due parole sulla proposta di modifica della legge 1/2005 approvata dalla giunta regionale della Toscana, un testo esemplare soprattutto per tre aspetti:
•    assegna priorità alla tutela e al riconoscimento del valore del patrimonio comune rispetto alle trasformazioni,
•    esprime in termini chiari le buone intenzioni confusamente espresse nella legge precedente e, soprattutto, le traduce in dispositivo efficace e tassativo,
•    pone in termini corretti e produttivi l’integrazione delle competenze dei vari livelli di governo.
È un testo normativo che merita di essere indicato come modello per ogni legge regionale in materia e di essere assunto (soprattutto per le sue definizioni) come matrice di una nuova legislazione nazionale.
A livello nazionale è certamente necessario un intervento normativo, non solo perché non tutta l’Italia è come la Toscana ma anche perché ci sono nodi che solo a livello della Repubblica possono essere risolti.
Per tutelare il territorio non urbanizzato, a livello nazionale si dovrebbe:
•    stabilire regole valide per tutte le regioni avvalendosi delle competenze statali in materia di paesaggio.
•    Applicare le leggi esistenti, e procedere tempestivamente alla individuazione delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione”, come prescrive il Codice del paesaggio.
•    Ribadire il principio che l’edificazione è una facoltà che appartiene alla collettività e alle sue rappresentanze democratiche (ripartendo da Bucalossi) e fare piazza pulita con le teorie e le pratiche dei “diritti edificatori” e delle connesse compensazioni e perequazioni.
•    Ultimo ma non marginale impegno, si dovrebbe affrontare la questione della formazione di una pubblica amministrazione competente, motivata, autorevole, in assenza della quale nulla di serio e di durevole si potrà fare nel territorio.
Un’ultima considerazione. Nel contrastare o meno il consumo di suolo dobbiamo tener presente che le nostre scelte coinvolgono orizzonti molto più ampi.
La corsa all’urbanizzazione dei paesi del terzo mondo, promossa e incentivata dalle agenzie internazionali, avviene utilizzando i modelli offerti dalla civiltà dominante. Dobbiamo essere capaci non tanto di proporre modelli alternativi a quelli correnti, ma di fornire l’esempio di logiche e strategie rispettose dei patrimoni e delle identità locali.

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