La Ravenna romana e i cultori del Rinascimento

66 70 ARTE STORIA:Layout 1

Ravenna, Museo Nazionale, Rilievo dell’Apoteosi di Augusto, I Sec. d.c

Un volume a cura di Antonella Ranaldi indaga su alcune opere classiche della città che hanno attratto architetti e studiosi di antichità fra Quattrocento e Cinquecento

La Ravenna dei mosaici non perde il proprio smalto internazionale, ma studi più recenti hanno dimostrato che la città presentava contesti culturali vivaci anche in altre epoche, alcune delle quali ingiustamente dimenticate. In questo senso, il libro Porta Aurea, Palladio e il monastero di San Vitale curato da Antonella Ranaldi – già Soprintendente a Ravenna, appena trasferita a Milano con le stesse funzioni – apre il sipario sull’epoca romana e rinascimentale, riaggiornando vecchie tesi, verificando ipotesi e fornendo materiale del tutto inedito.
I contributi di Sandro De Maria, Paola Novara e Angela Donati arricchiscono il testo che mantiene uno sguardo privilegiato su alcune opere della Ravenna romana e i passaggi in città di grandi architetti e studiosi di antichità nel Quattro e nel Cinquecento, attratti sia dalle emergenze monumentali classiche, che dalla vitalità edilizia dei centri monastici.

Chiostro grande di San Vitale, 1562-1597 / Chiostro grande di San Vitale (simulazione del colore originale)

66 70 ARTE STORIA:Layout 1

Frammento di rilievo

Fra le memorie che interessano i classicisti un posto di riguardo è destinato a due bassorilievi di età imperiale raffiguranti l’Apoteosi di Augusto e un segmento di una processione, ritrovati presso il Mausoleo di Galla Placidia probabilmente verso la metà del ‘500.
Conservati fino agli inizi del secolo scorso nel vestibolo della sagrestia del monastero di San Vitale e poi trasferiti presso il Museo nazionale agli inizi del ‘900, le due opere hanno concentrato a lungo gli interessi degli studiosi moderni per l’analisi dei soggetti e la collocazione originaria. Quasi sicuramente databili all’età di Claudio, raffigurano Augusto divinizzato e alcuni personaggi della famiglia imperiale, ma sulla loro provenienza si va più cauti: De Maria ipotizza una collocazione su un podio a tre lati che doveva essere inserito in un Caesareum o in un Augusteum, templi adibiti ai culti imperiali.
Un’altra opera antica oggi scomparsa è il cosiddetto Ercole orario, la cui storia e fortuna critica vengono ripercorse in modo analitico da Paola Novara. Rimangono dell’antica scultura solo due rilievi di un coniglio e di un cane, appartenenti alla base di questa statua-orologio, che attrassero l’attenzione di Pirro Ligorio (1513-1583), architetto e fra i maggiori studiosi di antichità del tempo.
Ligorio si appassionò anche alla famosa Porta Aurea, collocata un tempo nella cinta muraria vicino alla moderne carceri ed ancora visibile fino al 1582, data in cui venne smantellata per riutilizzare parte dei materiali nelle Porte Adriana e Giulia (detta poi Serrata).

Antonio da Sangallo ,Mausoleo di Teodorico,Firenze,Uffizi  /  Giovanni Maria Falconetto,Mausoleo di Teodorico, Mantova,Palazzo D’Arco / Giovanni Maria Falconetto, Porta Savonarola a Padova, 1530

Donata alla città dall’imperatore Claudio nel 42 d.C., di questo ingresso monumentale rimangono oggi una trentina di frammenti conservati al Museo nazionale, sopravvissuti alla dispersione, al riutilizzo e all’interesse collezionista dei nobili locali. Ma per immaginare come fosse la Porta in origine occorre affidarsi alle parole di De Maria, che ci ricorda come la struttura – accesso principale alla città dalla via Emilia e dal porto di Classe – fosse probabilmente a cavedio, con una corte interna fra due ingressi in funzione di atrio, coronata nella parte superiore da una galleria o una loggia, come risulta dalle immagini presenti negli antichi sigilli comunali di Ravenna. I due piloni laterali erano sede dei due bellissimi clipei oggi al Museo nazionale, che forse recavano un tempo le teste di divinità protettrici dell’urbe oppure due dischi di bronzo, forse sostituiti nel Rinascimento da marmo colorato.
Ligorio considerava la Porta una degli oggetti più interessanti di Ravenna, di cui ammirava simmetria e invenzione: in effetti, fra i tanti personaggi famosi passati in città, le testimonianze si concentrano su questo monumento e sul Mausoleo di Teodorico, quasi che i sacelli e le basiliche bizantine possedessero un fascino minore. Imprescindibili per lo studio della Porta sono gli studi degli storici e degli epigrafisti del XV e XVI secolo così come i disegni coevi che riportano il prospetto e i particolari del monumento: si segnala ad esempio un foglio datato al 1526 circa e attribuito alla cerchia del Sangallo, in cui viene trascritta la dedica inscritta nel fregio della trabeazione. I disegni di Palladio e di un anonimo cinquecentesco riportano in dettaglio le misure, i capitelli, il cassettonato della ghiera dell’arco, la decorazione a motivi vegetali delle lesene, testimoniando così la ricca e complessa decorazione dell’antico ingresso.

Pirro Lagorio, Port’Aurea, Torino Archivio di Stato / Port’Aurea ricostruzione, Roma, Museo della Civiltà Romana

La prima testimonianza grafica della Porta va fatta risalire ad un architetto veronese, Giovanni Maria Falconetto (1468-1534), appassionato studioso dei monumenti ravennati: oltre a Porta Aurea, il suo sguardo si sofferma sul mausoleo di Teodorico e San Vitale, documentati nei bellissimi affreschi che realizza a Palazzo d’Arco di Mantova. L’ispirazione tratta dalla Porta ravennate si concretizza in architettura quando Falconetto realizza a Padova Porta Savonarola (1530), in cui la disposizione complessiva e gran parte della decorazione, compreso i clipei con testine inserite, tradiscono suggerimenti chiaramente tratti da Ravenna.
Nonostante il progetto del Consiglio dei Savi di restaurare la Porta e il quartiere interno, il monumento giaceva in uno stato di abbandono già nel 1526, quando Antonio da Sangallo il giovane viene incaricato dal papa al controllo di tutte le rocche della Romagna. L’occasione è ghiotta e il giovane architetto trova il tempo di studiare i monumenti antichi locali, con particolare riguardo alla basilica di San Vitale – disprezzata per la composizione, ma stimata per la fantasia – e al Mausoleo di Teodorico, al tempo interrato per tutta la parte inferiore. Al seguito del Sangallo sono numerosi architetti fra cui due familiari – il cugino Giovanni Francesco e il fratello Giovanni Battista detto il Gobbo – ad uno dei quali si deve un disegno di Porta Aurea sul quale è evidenziata anche la parte interrata e quella che si trova “sotto aqua de fosi”. Alquanto malmesso, il monumento produce comunque un grande fascino e le sue decorazioni e membrature diventano nuovi suggerimenti per il monumento funebre di Piero de’ Medici, realizzato dai Sangallo a Montecassino.

Andrea Palladio, Porta Aurea, Vicenza, Museo Civico /  Giovanni Battista Passeri, La statua dell’Ercole orario nella  Dissertazione, 1765

Direttamente rilevata dal vero, Porta Aurea ricompare nei disegni del Palladio (1508-1580), che per primo traccia anche la veduta della parte verso la città. Probabilmente di passaggio a Ravenna assieme al Trissino nel 1545, l’architetto padovano poteva essere la persona giusta per affrontare il nuovo progetto di smontaggio e riallestimento della Porta in Via di Roma, davanti alla chiesa di S. Maria in Porto ancora da innalzare. Il progetto fallì, ma – di nuovo – i rilievi realizzati a Ravenna influenzarono nuove costruzioni palladiane come Palazzo Porto a Vicenza e le chiese di San Francesco delle Vigne e San Giorgio Maggiore a Venezia.
Palladio si interessò anche alla trascrizione di iscrizioni, oltre all’asportazione di lapidi – un’abitudine purtroppo mai dismessa – e all’intrattenere rapporti professionali in città. Già Corrado Ricci riportava della consegna di un disegno di Palladio ai monaci benedettini di San Vitale nel 1565. La commissione avveniva in un contesto di grandi opere di rinnovamento edilizio eseguito per vari monasteri benedettini, uniti sotto la congregazione di Santa Giustina di Padova: da Brescia a Ravenna, da Venezia a Parma, il fervore delle costruzioni aveva un orientamento preciso di gusto e linguaggio.
A San Vitale, i benedettini decisero di iniziare la costruzione dei dormitori, di un secondo e di un terzo chiostro e del refettorio a partire dal 1562, affidando il progetto complessivo all’istriano Andrea della Valle e al suo figliolo. È su una base documentaria che Ranaldi ipotizza che questi architetti abbiano diretto le maestranze locali e venete solo fino al 1564, interrompendo la collaborazione prima dell’esecuzione di alcune parti di fabbrica, fra cui il chiostro nuovo, probabilmente realizzato per la maggior parte fra il 1566 e il 1572 nel colore rosso che contraddistingueva gli edifici benedettini di questa epoca. Se quindi non fu questo maestro ad eseguire il chiostro – di una fattura talmente elegante da essere poco compatibile con le altre sue opere – è sulla base di confronti stilistici e di collegamenti fra le varie abbazie beneettine che Ranaldi propone il nome di Palladio per il disegno e l’impostazione generale del chiostro nuovo.
Le colonne e i capitelli realizzati dallo scultore Antonio Maria de Cola di Padova – estranei al gusto dell’architetto padovano poiché di fattura più arcaica – potevano trovarsi in cantiere già eseguiti o semilavorati. Sulla base di altre ricerche, aggiungiamo che la loro decorazione che reitera il concetto della pace tramite simboli ed epigrafi, poteva essere vincolata dalla necessità di celebrare la fine del conflitto fra guelfi e ghibellini ravennati (1562). Si spiegherebbero in questo modo le divergenze fra l’esecuzione del chiostro ravennate e le progettazioni del Palladio, a cui invece rimanderebbero l’idea complessiva e la scansione degli spazi ravennati, ripresa dallo studio degli antichi ginnasi e palestre greci.

AGENZIA MARIS BILLB CP 01 01 – 31 12 24
NATURASI BILLB SEMI CECI FAGIOLI 19 – 28 04 24
AGENZIA CASA DEI SOGNI BILLB 01 01 – 31 12 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24