Tenere a bada il tempo uccidendo chimera

Sugli scavi e i mosaici nell’area del Palazzo di Teodorico

 

Vedute degli scavi in foto d’epoca

La scoperta dei mosaici dell’area prossima alla basilica di Sant’Apollinare Nuovo, «in Palacio quondam Theodorici regis in ragione S.Salvatoris», risale agli scavi diretti da Gherardo Ghirardini fra il 1908 e il 1914, quando venne alla luce un vasto complesso palaziale, caratterizzato da sovrapposizioni di fasi edilizie e pavimentazioni musive e in opus sectile, dall’età romano imperiale al periodo esarcale.
Il quartiere nord dell’area porticata presentava caratteristiche strutturali simili alla Villa tardo antica di Piazza Armerina e si distingueva per una grande sala absidata al centro del peristilio impreziosita da un pavimento a mosaico scandito in riquadri geometrici. Nel riquadro principale è rappresentato il prode Bellerofonte sul cavallo alato Pegaso, che affronta la chimera, mentre ai lati  si trovano quattro rettangoli con putti che sostengono corone e tabulae ansatae.
Completano la composizione quattro medaglioni posti agli angoli con i busti, molto frammentari, delle stagioni. La rappresentazione delle stagioni e il mito di Bellerofonte che uccide la chimera, ispirati al mondo classico, contribuivano a conferire un’intonazione fastosa alla pavimentazione insieme alle preziose lastre marmoree che Teodorico aveva richiesto a Roma per abbellire la sua reggia, esaltata da Cassiodoro proprio per la bellezza dei marmi e dei preziosi mosaici.
Per quanto riguarda l’architettura del palazzo l’unica immagine tramandataci dall’antichità è compendiata nel mosaico nella basilica di Sant’Apollinare Nuovo che la presenta «come una costruzione a sviluppo orizzontale formata da un corpo centrale emergente e timpanato, sottolineato dalla scritta PALATIUM e da due ali porticate».1 Tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere il mosaico una raffigurazione realistica della reggia di Teodorico, e Cassiodoro, parla delle Vittorie reggenti festoni «poste a testimoniare la gloria del sovrano».2

Il Palatium, custodito dai sorveglianti e precluso a chi non era degno, era simbolo monumentale del sovrano e per la sua magnificenza doveva suscitare stupore e sbalordimento.

In uno dei pannelli posti sul lato lungo del riquadro centrale si trova una coppia di putti alati che sostengono una tabula ansata con la scritta: SUME QUOD AUTUMNUS QUOD / VER QUOD BRUMA QUOD ESTAS/ ALTERNIS REPARANT ET /TOTO CREANTUR IN ORBE.  La scritta beneaugurale, perfettamente consona al triclinium, è un esplicito invito rivolto dal padrone di casa agli ospiti perché godano di tutti i frutti che le quattro stagioni, rappresentate nei medaglioni angolari, possono offrire.
La chimera, mostruoso animale fantastico, figlia di Echidna, donna serpente e del mostro infernale Tifone e sorella di Cerbero, il cane custode dell’inferno, è ricordata da Omero nell’Iliade,3 e descritta come una singolare combinazione di leone, capra e serpente; e Isidoro di Siviglia, nelle Etimologie, la definisce «triformis bestia, ore leo, media caprea, postremis partibus draco». Ciascuna parte del suo corpo può terminare con una testa, così chimera diviene tricefala come il cane Cerbero.
Nelle Teogonie Esiodo scrive: «Chimera che spira invincibile fuoco, terribile e grande, veloce e forte; tre teste aveva: una di leone dagli occhi ardenti, l’altra di capra, di serpe la testa, di drago possente: davanti leone, drago di dietro, nel mezzo era capra, spirando tremendo ardore di fiamme brucianti; costei l’uccisero Pegaso e il prode Bellerofonte».
Questo interessante  complesso musivo venne strappato nel 1912 dai tecnici del regio Opificio delle Pietre Dure di Firenze, in trentaquattro lacerti e le uniche testimonianze della corretta posizione dei frammenti è costituita da un disegno, firmato e datato, “Alessandro Azzaroni 1909”, e da alcune piante del sito tracciate dallo stesso Azzaroni.
All’estrazione dei frammenti è seguita la collocazione su malta cementizia e la sistemazione in un vano porticato nel piano terreno del cosiddetto Palazzo. Il disegno di Azzaroni e le foto di scavo hanno rivestito un ruolo fondamentale per la ricostruzione dei diversi riquadri geometrici e per avviare il progetto di restauro, dal momento che col tempo la superficie musiva era gravemente alterata da depositi di polvere, guano di piccioni e macchie di ruggine provocate dai ferri che armavano il cemento utilizzato come nuovo supporto.
A partire dagli anni settanta si procede al distacco e alla ricollocazione su nuovi pannelli di dieci frammenti costituenti il lato settentrionale del triclinio e si affida il restauro alla Cooperativa Mosaicisti di Ravenna.
All’inizio del 2000 le rimanenti sezioni vengono trasferite nei laboratori della Scuola per il Restauro del Mosaico della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna, sezione distaccata dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, per intraprendere uno studio più puntuale e redigere il progetto ricostruttivo dell’intera sala. L’attività didattica della Scuola si dedica in maniera sistematica al restauro dei lacerti del triclinium, con approfondimenti specifici coronati dall’elaborazione di tesi di fine corso,4 e nel 2006 ci si concentra sul riquadro centrale con Bellerofonte e la chimera, il cui simbolismo (leone, quindi forza, calore, quindi estate; serpente sinonimo d’inverno; capra passaggio, quindi metafora della primavera e dell’autunno5) bene si lega alla rappresentazione delle stagioni e alla scritta benaugurale. Se chimera e le stagioni significano il perenne e inesauribile fluire del tempo, Bellerofonte è immagine del dominus che lo controlla e lo governa.
Concluso il restauro è ancora da risolvere il problema della sistemazione finale dei frammenti che prima degli interventi, assemblati su lastre di cemento, occupavano un’estensione minore: il restauro infatti ha rispettato le reali dimensioni della sala del triclinio e l’esatta posizione di ogni lacerto. Ne consegue quindi che tutte le sezioni si trovano nei depositi della Soprintendenza in attesa di una auspicabile musealizzazione.

Un’altra foto d’epoca degli scavi

NOTE

1. Paola Porta, Il centro del potere: il problema del Palazzo dell’Esarco, in Storia di Ravenna, II.1, 1991,Venezia.
2. Piero Piccini, Immagini d’autorità a Ravenna, in Storia di Ravenna, II 2, 1992, Venezia , pp.31-78.
3. «Era il mostro di origine divina/ leone la testa, il petto capra, e drago/ la coda, e dalla bocca orrende vampe/ vomitava di foco: e nondimeno/ col favor degli Dei, l’eroe la spense» Iliade,VI,180-184, trad. V.Monti.
4. Nencini, 2002; Commandatore 2007.
5. Secondo altri questa triade è interpretata come simbolo di tre parti dell’anno: il leone rappresenta la primavera, la capra l’estate e il serpente l’inverno. Una delle sue più famose rappresentazioni ci è data da un bronzo etrusco di Arezzo esposto al Museo Archeologico di Firenze. La chimera era spesso presente in antefisse scolpite come figura di evidente valore apotropaico.

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