Cercando il luogo degli Dei

Intervista a Mariella Busi De Logu

Marinella Busi De Logu, Passus, 2012, tempera su cartone, cm 18×8

Nel mese di agosto sono stata invitata a una riunione presso lo studio d’artista di Mariella Busi De Logu. Uno spazio inaspettato, che si affaccia su una spettacolare terrazza panoramica che abbraccia una vista aerea di Ravenna, spingendosi a 360 gradi fino alle colline. Mi sono presentata a Mariella – non la conoscevo – e ho provato verso di lei un’istantanea simpatia. Al termine dell’incontro ci siamo accordate per un’intervista. Nel mese di settembre sono tornata nel suo studio osservando con più attenzione le sue opere, tavole, scudi e scritti, per poi ascoltarla raccontare. L’iniziale simpatia si è mescolata a un senso di sorellanza, un sentimento di reciproca solidarietà femminile, basato su una comunanza di condizioni, esperienze, aspirazioni.
«Per raccontarsi è necessario partire da lontano. Da quando eravamo bambine/i, ci sono luoghi e situazioni che lasciano un’impronta. Poi, per tutta la vita, cerchiamo di comprendere come confrontarci con queste tracce, questi segni, che portiamo in noi. I luoghi della mia infanzia e della mia adolescenza sono Cesena e Fano. A Cesena sono nata, a Fano ho trascorso molto tempo a casa dei miei nonni. La mia natura era silenziosa, appartata, ero brava in educazione fisica, mi piaceva la danza, suonare il pianoforte e recitare, ma non riuscivo mai a finire i compiti in classe. Da ragazzina tenevo dei quaderni che riempivo di storie; erano quei quaderni di una volta con la copertina di cartoncino nero e con i fogli interni a righe e con il bordo rosso, con la tabella dell’orario settimanale nella pagina iniziale e la tavola pitagorica in quella finale. A scuola non andavo tanto bene e così, mentre i miei trascorrevano le vacanze estive in montagna, io passavo quei mesi con i nonni di Fano (ho sempre pensato che questa fosse una cosa crudele). In realtà il nonno Nazareno, ingegnere e uomo colto, trascorreva molto tempo con me leggendomi favole, alcune anche in francese ed è a lui che devo la mia prima educazione-formazione. Sempre a Fano c’era anche la zia Maria che passava l’estate a dipingere acquerelli. Nella stanza dove trascorrevamo diverse ore, chi a leggere, chi a dipingere, chi, come me, ad ascoltare i racconti del nonno e a guardarmi attorno, c’era anche un tavolo con la base di marmo rosa con sopra diversi fossili e io ci giocavo, cambiavo le loro posizioni, li allineavo in modi differenti, creavo nuovi insiemi. Nel giardino della casa dei nonni rimanevo anche ore e ore seduta su un ramo di un grande pino scrutando con attenzione la natura che mi circondava. L’osservazione della natura e della vita che si svolgeva nei campi mi ha portato a sviluppare una coscienza ecologica che ho poi trasferito anche in campo artistico. È una passione e quindi anche un patire. È in questo periodo dell’infanzia, tempo delle verità assolute, che mi sono formata. L’adolescenza è invece stata più proiettata all’esterno e la ricordo come un periodo di maggior fragilità. Appena diplomata, ho iniziato immediatamente a insegnare Storia dell’Arte al Liceo Classico “Dante Alighieri” e, successivamente, Discipline pittoriche al Liceo Artistico “Pier Luigi Nervi”.

Poi nella mia vita è avvenuto l’incontro della mano con la mente, della conoscenza con la coscienza e l’istinto si è saldato con essa.

Ho cominciato con la tecnica dell’incisione. Nel tempo, le storie e le figure tracciate nei quaderni dalla copertina nera, da un’iniziale Scrittura Visiva, si sono trasformate in Manoscritti. Ed è nei Manoscritti che sono riuscita a mettere insieme nello spazio del foglio scrittura e immagini: un mio modo per lavorare intorno al concetto di vuoto e di assenza. Ho incontrato le opere di Ildegarda di Bingen, di Anicia Giuliana e di altre grandi donne del passato e del presente e ho iniziato a lavorare alle Grandi Pagine. Il gioco nella mia vita ha avuto una grande rilevanza, dando origine ai lavori più complessi che ho realizzato. Nei primi anni ’80, mi sono imbattuta in un libro che parlava della civiltà Nazca; il mistero e la potenza di questa civiltà colpirono profondamente la mia immaginazione e iniziai a sperimentare tecniche e forme artistiche quasi impossibili come il tentativo di far convivere fogli di acetato con gli inchiostri di china. Elaboravo gli animali tracciati dal popolo Nazca: scimmie, balene, lucertole, colibrì, condor, ragni, cani. I cicli del mio lavoro, fino agli anni ’90, sono “Il magico primario” o, come li chiamavo allora, “Il luogo degli Dei”, i “Tre scudi”, le “Vulcanologie”, la “Mano sinistra” e gli “Intoccabili”: piccole o grandi aggressioni ai fogli di acetato o di carta, al vetroresina, al cartone. In quel periodo la mia anima era nera e andava a fondo in compagnia del mio lavoro. Anzi oscillava tra il bianco e il nero perché m’immergevo nella polvere nera, poi, con panni bianchi, pulivo. Il mio tempo si consumava in un ciclo continuo: nero, bianco e di nuovo nero. La luce nei miei “Scudi” e negli “Intoccabili” nasce dal rovescio. A un certo punto ho cominciato, però, a rilevare sfumature e circostanze anche minime del mondo naturale intricato e luminoso; ho dato vita così alle Tavole Botaniche. Contemporaneamente, ho continuato la strada del manoscritto. Dal desiderio di far convivere nello stesso lavoro, in reciproche intimità, scrittura e vocabolario botanico, sono germogliate grandi pagine che evocano le antiche miniature. Nel 2011, con l’aiuto di amiche e amici, ho realizzato presso la Manica Lunga della Biblioteca Classense la mostra personale Nero scarlatto, pensata come una foresta nella quale convivevano scrittura e immagini che avevano origine dalla ricerca di antichi codici miniati e tavole botaniche. L’artista Gerardo Lamattina ne ha interpretato poeticamente il carattere in un video. I miei lavori si sono via via mescolati anche a un’arte visibile delle relazioni. Giuliana Anicia è qui?, Gli alberi erano dei, Splendore oscurità, Come quel fiume… che si chiama Acquacheta sono performance artistiche in cui ho lavorato con decine e decine di artiste e artisti, docenti e allievi del Liceo Artistico “Nervi-Severini” di Ravenna. In tali opere sono partita da una memoria personale e, insieme, collettiva di tempi in cui era ancora possibile vivere in una natura non degradata fino a giungere alle devastazioni contemporanee. In questi giorni ho appena finito di smontare una mia mostra antologica dal titolo Il dritto e il rovescio all’Aula Piana della Biblioteca Malatestiana di Cesena. Sono soddisfatta perché sono riuscita a far conversare il mio lavoro con uno spazio così prestigioso. È stata una bell’impresa. Ora devo riprendere le prove di un evento che ho realizzato l’anno scorso al circolo Mama’s di Ravenna, e che, il 25 novembre alle 21 e 30 verrà ripresentato, sempre lì, arricchito di nuovi elementi. Il titolo è “Ritratti di donne” e il sottotitolo “Concerto a più corpi”. In questo lavoro penso di aver fatto qualcosa di rivoluzionario. La rivoluzione parte dalla prima scena quando Gigi Tartaul appoggiata la mano sulla spalla di Cristiana Zama con la sua voce autorevole dice: “Sono Silvana e vengo da Novi Ligure…”; e mentre il concerto prosegue con azioni di più corpi e suoni, Gigi continua a leggere in prima persona la vita di donne che hanno fatto scelte coraggiose e hanno tracciato un percorso autonomo e libero da ruoli prestabiliti: tutte ricche di solidarietà umana. Desidero così che un uomo, senza travestimenti, s’immedesimi nella vita di una donna e ne riconosca l’irripetibile soggettività. Gli elementi condivisi nell’ordine reale e simbolico sono la bicicletta e il frutto del peccato, la mela. Naturalmente se non avessi avuto la collaborazione di Monica Marcucci, Paola Barbaro e Cristiana Zama per le Azioni, di Federica Maglioni per i Suoni, di Catia Gori per la direzione del Coro di bambine e bambini, di Gianluigi Tartaull per la Voce, questo lavoro non avrebbe potuto prendere corpo, voce e suono. Sarebbe rimasto nella mia mente. A loro e a Valeria Nonni devo quasi tutto. Tutto qui».

Sopra opere di Mariella Busi De Logu (tutte le foto, tranne quella dell’opera “Tre scudi”, sono di Alberto Giorgio Cassani)

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