Due torri portuali

 

La secentesca torraccia a guardia dell’interrato canale Panfilio e la contemporanea torre di “Marinara” a Marina di Ravenna

Scavato nel 1652, il lungo canale Panfilio, la cui darsena fronteggiava l’omonima porta cittadina, aveva l’imboccatura a scirocco di Ravenna, molto lontana e isolata.  Questo luogo, denominato nuovo Porto Candiano, era protetto da “palade”, ma privo di qualsiasi elemento di difesa e d’avvistamento.
Si rese necessario costruire una nuova torre al posto di quella precedente denominata “Gaetana”, che in meno di mezzo secolo era stata sopravanzata dal continuo protrarsi della linea di costa. Tale opera fu promossa  dal Cardinale Legato Savelli che ne affidò il progetto al perito Pietro Azzoni nel 1667.
Due anni dopo, alla fine dei lavori, alla sinistra della bocca portuale,  troneggiava la bella torre alta 13 metri e larga alla base 13,20 metri come scrive il Bernicoli.
Con un “breve” di Papa Clemente X del 5 dicembre 1671 ne ebbe l’investitura la famiglia Cavalli che ottenne in cambio dazi e regalie sui traffici portuali, oltre al titolo nobiliare di “Marchesi”.
La costruzione ospitava una piccola guarnigione di fanti e cavalieri per vigilare sul litorale: la sua posizione sopraelevata consentiva di effettuare segnalazioni con bandiere e, di notte, con fuochi.
Il completamento della diversione del Ronco e del Montone e l’escavo del nuovo corso dei Fiumi Uniti, taglieranno l’idrovia, impedendo completamente l’attività portuale.
La torre viene abbandonata e il porto Candiano s’interrisce rapidamente, la linea di riva viene rimodellata dalla nuova cuspide fociale che cancella tutti i segni della portualità tranne la torre dei Cavalli che resiste agli insulti del tempo.

La classica immagine della torre con il pino. Purtroppo nell’estate 2014 un fulmine ha colpito l’albero con irreparabili conseguenze. Questa potrebbe essere una delle ultime foto di un angolo “classico” della campagna ravennate verso il mare. La torre portuale sul basso orizzonte dei coltivi è un manufatto appartenuto fino al 26 settembre 2007 alla famiglia Cavalli.In quella data la torre è stata incorporata, con rogito notarile, nell’azienda di proprietà della Cooperativa Agricola Ter.Ra. che è impegnata a tutelarne e valorizzarne la presenza.
Nella seconda foto da sinistra particolare di una “bocca da fuoco” per archibugieri nel lato della torraccia

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La “Fabbrica Vecchia” e il “Marchesato”

Le cronache ottocentesche la descrivono «mozza e solitaria, in misere condizioni fra la pineta e praterie abbandonate».
Nel 1745 viene inaugurato il nuovo Naviglio, che collega il Porto della Fossina ribattezzato Porto Corsini con la darsena sotto le mura orientali della città. Ogni attività portuale viene trasferita nel punto dove le due grandi lagune costiere trovano sbocco a mare per mezzo del nuovo canale portuale intitolato al papa Corsini.
Vengono approntati alcuni edifici in quella località “spersa sulla limosa spiaggia marina”: un casone di Sanità Marittima (la Fabbrica Vecchia) e, un anno dopo, nel 1765 viene completato (dai Cavalli) un edificio di servizi provvisto di osteria: il Marchesato. E’ per questo che la famiglia viene investita dal Papa del titolo nobiliare? O vengono soltanto “trasferiti” i privilegi precedenti?
Le fonti non permettono di dare risposte, in un senso o nell’altro…I marchesi Cavalli continuano a godere di privilegi derivanti dallo sfruttamento dei traffici del porto di Ravenna.
Eugenio Montale descriverà il lento andare del tempo nella poesia Dora Markus, che presenta alcuni elementi del borgo marinaro di  Porto Corsini, poi rinominato dal 1930 Marina di Ravenna.
La palizzata dei ravennati ha duplicato le prospettive, ma dalla piazza intitolata a Dora Markus agli ormeggi di un grande “marina” si sviluppa uno spazio nuovo.
È una proiezione verso il mare di quella terra che si spinge in un’ansietà d’Oriente capace di sovrapporre strati d’argilla padana in una cassa di colmata che rimodella la costa.
Gli assi di quel villaggio si spingono a mare, come la foce di un fiume, creando una rottura dei cordoni dunosi “disegnati” dalla matita dell’architetto Bruno Minardi.

La torre per uffici che domina il villaggio di “Marinara” e le banchine da diporto, a servizio del porto turistico di Marina di Ravenna, realizzato una decina di anni fa su progetto dell’architetto ravennate Bruno Minardi (con gli architetti Caterina Fuchi e Vanni Rossi).
Un simbolo quello della torre portuale, come stratificazione della memoria  e snodo fra la terra e il mare.

A proteggere quell’insediamento portuale, una torre, stratificazione della memoria: un cilindro dai riflessi metallici e dai colori aeronautici. È un segno, alto 25 metri, sostenuto da una base circolare con un diametro che supera i 15 metri.
Nell’accumularsi di sedimenti c’è la misura del tempo che propone elementi tipici della propria epoca.
Gli aspetti funzionali del porto turistico di  “Marinara”, il cui progetto esecutivo è di dieci anni fa, nascono in “alzato” e si «rivela in questa fase la mano felice del progettista». Così sottolinea l’architetto Caterina Fuchi, impegnata nel progetto, che osserva: «La  progettazione urbana di Bruno Minardi si esprime come composizione di solidi, tridimensionali e definiti nella materia costitutiva».
Il disegno affascinante come un’opera d’arte, è tradotto in “pianta”.  Righe tracciate con cura che suddividono, organizzano e aprono spazi nuovi, ma potrebbero essere tratti disegnati sopra una vecchia mappa: la linea di costa, le palizzate, la bocca del porto e una torre di guardia.

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