Non serve più un luogo fisso dove farsi trovare: consegne a domicilio. Le operazioni della Narcotici (squadra mobile) svelano lo scenario ravennate: mercato locale diviso tra la criminalità albanese che muove i grossi carichi e la manovalanza tunisina per il dettaglio sul marciapiede
Con una fiammata nel forno dell’inceneritore è andato in fumo un milione di euro. Una decina di giorni fa nell’impianto F3 in via Baiona sono stati distrutti 40 kg di eroina e 80 kg di sostanza da taglio, sequestrati a febbraio in un appartamento di Ravenna. La distruzione col fuoco è l’epilogo – dopo eventuali campionamenti da conservare a fini processuali – di tutta la droga recuperata dalle forze dell’ordine.
In quel caso l’operazione Pike fu condotta dagli uomini dell’Antidroga, sezione della squadra mobile della polizia. Un viaggio che tocca i dettagli delle principali indagini della Narcotici, che negli anni hanno occupato le pagine della cronaca locale e non solo, può dare uno spaccato del mercato dello spaccio di droghe pesanti nel Ravennate e di come si sia evoluto.
La prima evoluzione è figlia della tecnologia. L’oggetto che abbiamo tutti in tasca ha fatto sì che le cosiddette piazze di spaccio si siano svuotate: non serve più un luogo fisico, magari appartato, dove il pusher si fa trovare dai clienti perché ora il pusher ha un numero di telefono e su Whatsapp ci si accorda per la consegna, magari addirittura a domicilio con una bicicletta come fosse una Capricciosa da asporto. I giardini Speyer rimangono l’angolo di Ravenna dove circola il piccolo spaccio, scenario simile agli spazi attorno alle stazioni ferroviarie di molte città. Il giardino di via Pola e il parco Manifiorite al quartiere Gulli sono stati osservati speciali nell’ultimo periodo. In passato ci furono l’area dell’ex Callegari (oggi diventata zona residenziale di pregio in via Fiume Montone abbandonato), l’ex piscina di Fornace Zarattini, la zona del fosso Fagiolo alle Bassette (dove due spacciatori finirono anche ammazzati) e piazza San Francesco all’inizio degli anni Ottanta.
Cosa si consuma su piazza? I numeri dicono che sta tornando l’eroina. Per la più classica delle ragioni del mercato: è calato il prezzo. Un calo che va di pari passo con il calo della qualità. Oggi si smercia per lo più roba al 3-4 percento (la quantità di principio attivo è anche quella per cui si è chiamati a rispondere di fronte all’autorità giudiziaria), le partite che arrivano all’8-9 sono considerate roba eccelsa ma non tutti si azzardano a buttarla sul mercato a queste percentuali perché è una bomba a mano: troppo pura per le abitudini dei consumatori abituali, potrebbe essere un rischio. Ma l’eroina è diventata più diffusa anche perché è cambiata la modalità. Meno aghi e più stagnola: farsi in vena richiede una capacità maggiore e le malattie fanno ancora paura, fumarla invece è più agile. Oggi un chilo a qualità da strada viaggia tra settemila e novemila euro (per un grammo possono bastare 20 euro e si riescono a fare 4-5 fumate). Se la qualità è più elevata possono volerci anche 50mila euro ma in questi casi a comprarla è chi poi si occupa di tagliarla per rivenderla. Nel caso della partita recentemente distrutta la sostanza da taglio era paracetamolo.
La cocaina invece ha conosciuto un processo diverso. Con un grammo si fanno 5-6 righe da pippare: una volta servivano 200mila lire e oggi siamo attorno a 100 euro ma nel frattempo il potere di acquisto delle buste paga è cresciuto e la pista di neve da tirare è uno sballo che si possono permettere non solo i ricchi. La misura che va di più sul mercato è il cosiddetto “mezzino”: una pallina da mezzo grammo a 50 euro, una misura comoda sia per la spesa che per il consumo.
È vulgata comune che il porto sia un canale di ingresso della droga non solo in città ma più in generale in Italia. I dati dicono che grandi carichi sulle banchine non sono stati sequestrati. Più spesso la roba viaggia su gomma. La sostanza più pura arriva dal nord Europa e dal sudest asiatico.
I signori della droga alle nostre latitudini sono soprattutto i criminali di origine balcanica, soprattutto la malavita albanese. Che si è affermata negli anni Ottanta prima mettendosi in affari con il crimine autoctono e poi quando ha imparato il lavoro si è affrancata. Non si è ancora vista la mafia nigeriana o del centro Africa che in altre zone italiane ha il monopolio. Ma qui stiamo parlando del livello alto, di quelli che spostano i carichi pesanti. Perché poi sul marciapiede sono soprattutto nordafricani, in particolare tunisini: l’esercito di chi non ha nulla da perdere e diventa manovalanza per la criminalità.