«Mi sta piangendo il cuore»: la disperazione di chi ha perso 20mila euro di cocaina

Nelle intercettazioni dell’indagine Robbed Cheese, condotta dalla squadra mobile della polizia di Ravenna, gli episodi più significativi che hanno portato al sequestro di 23 kg di droga e un’ordinanza cautelare per undici persone

«Se non la trovo sono ventimila euro che devo dare a loro. Mi sta piangendo il cuore». Ecco tutta la disperazione di un uomo che ha perso mezzo chilo di cocaina che aveva nascosto. Non la trova più una settimana dopo averla seppellita vicino a uno dei sette-otto alberi che compongono un boschetto nelle campagne di Ravenna, in via della Lumiera a Mezzano, per tenerla al sicuro per conto di altri. Lo sventurato, un 50enne di Piangipane, non sa che la polizia ha messo una cimice nella sua Mercedes: gli agenti dell’Antidroga di Ravenna lo ascoltano mentre si dispera per la perdita con un complice e lo ascoltavano anche mentre interrava la roba con un altro complice. Non è il 50enne che ha dimenticato l’albero giusto, è la squadra mobile che l’ha presa a sua insaputa: 581 grammi, per la precisione.

Siamo a maggio del 2019 e quel blitz nel boschetto darà il nome all’inchiesta (“Robbed Cheese”, formaggio rubato) cominciata a settembre 2018 e arrivata a conclusione il 12 maggio scorso con un’ordinanza di custodia cautelare per dieci uomini e una donna tutti residenti in provincia di Ravenna (sei italiani, tre albanesi, un ucraino, un marocchino): otto in carcere, uno con obbligo di dimora e due con obbligo di firma. «Per cercare la droga sepolta – ricorda oggi il capo della Mobile, Claudio Cagnini, mettendo in fila i passaggi fondamentali dell’indagine – hanno rivoltato tutto il terreno del boschetto, sembrava fosse passato un aratro».

Nel centinaio di pagine del provvedimento cautelare firmato dal gip Janos Barlotti, su richiesta del pm Lucrezia Ciriello, si ricostruisce l’organizzazione del gruppo di narcotrafficanti. Al vertice tre albanesi: Florian Nistor (36 anni) e i suoi cugini Xhuljian detto Giulio (26) e Denaldo (28) Grembi. I primi due convivono a Bagnacavallo, il terzo sta a Mezzano. Appena un gradino sotto di loro c’è Roberto Forcelli detto “Boccia”, 55enne cervese da tempo noto nei giri dello spaccio locale: era coinvolto nell’inchiesta del 2014 che è costata 13 anni di condanna per due carabinieri. I collaboratori più stretti sono Massimo Ungaro (quello a cui piangeva il cuore) e Ivan Baldini (40enne di Russi). Poi ci sono Jamal Sajri detto Marco (43) che gestisce un bar nel quartiere Zalamella e Nicola Zanotti (26) di Villanova di Bagnacavallo. E infine tre incensurati – tra cui il cugino e la compagna di altri due già citati – che si limitavano a dare una mano agli affari con qualche consegna di droga o qualche favore.

Nel corso delle indagini i poliziotti hanno recuperato e sequestrato in totale 8 kg di cocaina, 15 di marijuana, 130mila euro in contanti e un’Alfa Romeo Giulietta preparata con un vano nascosto al posto dell’airbag per trasportare droga.

Tra i recuperi effettuati vanno citati anche 4 grammi di cocaina in un barattolo. Non tanto per la quantità, piuttosto per la dinamica. Ungaro li aveva messi fra l’erba nel retro di casa: «Beh, la mattina dopo mi alzo e non c’è il barattolo. Erano sette-otto bustine dentro. Non so che cazzo mi sta succedendo». Sì, era passata la polizia anche lì fra l’erba e aveva mandato di nuovo in confusione il 50enne.

Lo spunto investigativo da cui è partito tutto arrivò da cinque arresti in due distinti episodi a distanza di sei giorni nel settembre del 2018. In un caso vengono recuperati 250 grammi di cocaina e nell’altro un etto. La polizia vuole capire se c’è qualcuno che sta smerciando droga in grosse quantità e individuano il gruppetto dei tre albanesi. Mettono i loro telefoni sotto intercettazione e nascondono microspie nelle auto che usano. Anche grazie alle risultanze raccolte ascoltando i malviventi a maggio 2019 la polizia assesta tre colpi pesanti al sodalizio criminale. Ficcati nel ruotino di scorta di un’auto arrivata dall’Austria a Villanova con due giovani a bordo  – non coinvolti in quest’ultima tornata di arresti – c’erano 550 grammi di cocaina. Poi le manette sono scattate per Nistor e Grembi: nella loro Giulietta c’erano 6,2 kg di cocaina, centomila euro in contanti e un revolver (nell’appartamento di Bagnacavallo che faceva da base operativa c’erano altri 30mila euro e 15 kg di marijuana). E infine, a completare il maggio da celebrare per le divise, il già ricordato episodio del boschetto di Mezzano. Interventi messi in scena come controlli casuali – i due austriaci furono fermati da una pattuglia della polfer con la regia della Mobile – per non insospettire più di tanto il resto del gruppo.

I numeri di soldi e pesi fin qui citati danno l’idea dello spessore criminale degli indagati. Un’altra conferma arriva da alcune intercettazioni in cui si parla di armi. Baldini è in auto con il fratello e parlano dell’arresto di Nistor  avvenuto pochi giorni prima e si chiedono dove abbia messo le armi: «Meno male che non le hanno trovate. Chissà dove sono, se lo do a imparare lo vado a chiavare subito: ogni tanto ci penso, voglio quello da cecchino». Secondo il gip nella disponibilità di Nistor c’erano una mitragliatrice, un kalashnikov e un fucile di precisione. Armi però non ritrovate. Il revolver invece era in auto quando i due vengono fermati. E c’è da pensare che non fosse la prima volta che giravano armati. Tre settimane prima dell’arresto con la droga nel cruscotto della Giulietta, Nistor e Grembi sono in auto. La conversazione lascia intendere che sia il caso di portarsi dietro la pistola, «così ce l’hai pronta». L’arma era spesso a portata di mano: chi ha ascoltato le intercettazioni dice che spesso si sente il rumore inconfondibile del tamburo libero che viene fatto ruotare.

Anche altri rumori captati dalle cimici giocano un ruolo importante in questa indagine. L’orecchio fino del poliziotto, ad esempio, riconosce il suono del cellophane e capisce che in auto ci potrebbero essere dosi di droga, ma anche il suono dei congegni meccanici che azionano il nascondiglio elaborato nel frontale.

Mesi di registrazioni ambientali dentro e attorno alle auto dipingono uno scenario già visto in altri sodalizi di narcotraffico. A scendere dal vertice a ogni gradino c’è qualcuno che prova a ricavarsi la sua fetta con un posticino al sole e finisce per trovarsi a insistere per avere i soldi dai suoi clienti e a prendere tempo per i debiti con i fornitori. Poi c’è quello che si lamenta per la qualità della roba, c’è quell’altro che apprezza l’odore di acetone come sinonimo della qualità del principio attivo. Tutti elementi di cui gli accusati dovranno rispondere. Per una ragione: «Ci parliamo al telefono e poi…».

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