Nelle intercettazioni dell’indagine Robbed Cheese, condotta dalla squadra mobile della polizia di Ravenna, gli episodi più significativi che hanno portato al sequestro di 23 kg di droga e un’ordinanza cautelare per undici persone
Tra i recuperi effettuati vanno citati anche 4 grammi di cocaina in un barattolo. Non tanto per la quantità, piuttosto per la dinamica. Ungaro li aveva messi fra l’erba nel retro di casa: «Beh, la mattina dopo mi alzo e non c’è il barattolo. Erano sette-otto bustine dentro. Non so che cazzo mi sta succedendo». Sì, era passata la polizia anche lì fra l’erba e aveva mandato di nuovo in confusione il 50enne.
Lo spunto investigativo da cui è partito tutto arrivò da cinque arresti in due distinti episodi a distanza di sei giorni nel settembre del 2018. In un caso vengono recuperati 250 grammi di cocaina e nell’altro un etto. La polizia vuole capire se c’è qualcuno che sta smerciando droga in grosse quantità e individuano il gruppetto dei tre albanesi. Mettono i loro telefoni sotto intercettazione e nascondono microspie nelle auto che usano. Anche grazie alle risultanze raccolte ascoltando i malviventi a maggio 2019 la polizia assesta tre colpi pesanti al sodalizio criminale. Ficcati nel ruotino di scorta di un’auto arrivata dall’Austria a Villanova con due giovani a bordo – non coinvolti in quest’ultima tornata di arresti – c’erano 550 grammi di cocaina. Poi le manette sono scattate per Nistor e Grembi: nella loro Giulietta c’erano 6,2 kg di cocaina, centomila euro in contanti e un revolver (nell’appartamento di Bagnacavallo che faceva da base operativa c’erano altri 30mila euro e 15 kg di marijuana). E infine, a completare il maggio da celebrare per le divise, il già ricordato episodio del boschetto di Mezzano. Interventi messi in scena come controlli casuali – i due austriaci furono fermati da una pattuglia della polfer con la regia della Mobile – per non insospettire più di tanto il resto del gruppo.
I numeri di soldi e pesi fin qui citati danno l’idea dello spessore criminale degli indagati. Un’altra conferma arriva da alcune intercettazioni in cui si parla di armi. Baldini è in auto con il fratello e parlano dell’arresto di Nistor avvenuto pochi giorni prima e si chiedono dove abbia messo le armi: «Meno male che non le hanno trovate. Chissà dove sono, se lo do a imparare lo vado a chiavare subito: ogni tanto ci penso, voglio quello da cecchino». Secondo il gip nella disponibilità di Nistor c’erano una mitragliatrice, un kalashnikov e un fucile di precisione. Armi però non ritrovate. Il revolver invece era in auto quando i due vengono fermati. E c’è da pensare che non fosse la prima volta che giravano armati. Tre settimane prima dell’arresto con la droga nel cruscotto della Giulietta, Nistor e Grembi sono in auto. La conversazione lascia intendere che sia il caso di portarsi dietro la pistola, «così ce l’hai pronta». L’arma era spesso a portata di mano: chi ha ascoltato le intercettazioni dice che spesso si sente il rumore inconfondibile del tamburo libero che viene fatto ruotare.
Anche altri rumori captati dalle cimici giocano un ruolo importante in questa indagine. L’orecchio fino del poliziotto, ad esempio, riconosce il suono del cellophane e capisce che in auto ci potrebbero essere dosi di droga, ma anche il suono dei congegni meccanici che azionano il nascondiglio elaborato nel frontale.
Mesi di registrazioni ambientali dentro e attorno alle auto dipingono uno scenario già visto in altri sodalizi di narcotraffico. A scendere dal vertice a ogni gradino c’è qualcuno che prova a ricavarsi la sua fetta con un posticino al sole e finisce per trovarsi a insistere per avere i soldi dai suoi clienti e a prendere tempo per i debiti con i fornitori. Poi c’è quello che si lamenta per la qualità della roba, c’è quell’altro che apprezza l’odore di acetone come sinonimo della qualità del principio attivo. Tutti elementi di cui gli accusati dovranno rispondere. Per una ragione: «Ci parliamo al telefono e poi…».