«Egisto Minguzzi ha costruito la sua impresa con tanto lavoro e onestà»

La figura dell’imprenditore dell’ortofrutta di Alfonsine, scomparso nel 1985, è entrata nel processo per l’omicidio del figlio Pier Paolo dopo alcune lettere anonime inviate ai giudici. I familiari rompono il silenzio per cancellare ogni ombra

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I familiari di Pier Paolo Minguzzi: da sinistra la sorella, la madre e il fratello

Aspettano una verità da 34 anni e negli ultimi sette mesi hanno partecipato a tutte le undici udienze in corte d’assise a Ravenna, chiamati anche al banco dei testimoni, mantenendo poi il riserbo assoluto con i media fuori dall’aula. Ma ora i familiari di Pier Paolo Minguzzi – il 21enne di Alfonsine rapito e ucciso nel 1987 – hanno deciso che è arrivato il momento di rompere il silenzio. La madre Rosanna Liverani e i fratelli Giancarlo e Anna Maria si sono rivolti alla stampa per non lasciare che delle lettere anonime, confluite negli atti del processo, rovinino il nome di Egisto Minguzzi, il padre di Pier Paolo morto in un incidente stradale nel 1985 all’età di 55 anni: «È stato un uomo onesto partito da zero e ha creato un’impresa grazie al tanto lavoro e alle sue intuizioni pur avendo solo la seconda elementare». Quell’azienda è ora nelle mani degli eredi: produzione e commercio di ortofrutta con duecento persone occupate nel periodo estivo e un fatturato di 14 milioni di euro nel bilancio 2020-21.

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Maggio 1984. La famiglia Minguzzi in partenza per la Nuova Zelandia per andare a conoscere meglio la coltivazione di kiwi. Il secondo da sinistra è il padre Egisto. Gli altri tre sono i figli: da sinistra Anna Maria Giancarlo e Pier Paolo

Per capire le parole della famiglia Minguzzi però occorre spiegare in sintesi di che lettere si tratta. Tre missive dall’identico contenuto recapitate alla fine di novembre ai due giudici togati del processo e alla redazione locale de Il Resto del Carlino. È stato il presidente della corte, Michele Leoni, a portarle a tutti gli effetti dentro al dibattimento, non solo comunicando alle parti in aula una sintesi del loro contenuto ma anche disponendo la convocazione di un teste per interrogarlo in merito. Circostanze che i cronisti in aula non potevano che riportare.

Il contenuto delle buste è la copia di una relazione firmata dal maresciallo dei carabinieri Claudio Murace in data 31 maggio 1987 (un mese dopo il ritrovamento del corpo di Pier Paolo nelle acque del Po di Volano in provincia di Ferrara nei pressi della località Vaccolino). Il militare era comandante della stazione di Godo e quel giorno raccolse una testimonianza di un informatore che chiese in cambio di restare anonimo perché vicino alla famiglia Minguzzi. Quest’ultima circostanza dell’anonimato negli atti non è più possibile oggi per gli investigatori. «Abbiamo un’idea di chi possa essere stato – ammette oggi Anna Maria – ma non è il momento di preoccuparci di roba che vale zero». In sintesi l’anonimo, che lo stesso Murace inquadra per iscritto come “delatore”, traccia un profilo di Egisto Minguzzi con molti aspetti oscuri nella carriera imprenditoriale e modi tutt’altro che affabili. La relazione faceva già parte del fascicolo del pubblico ministero, noto anche agli imputati. Anzi, le pagine inviate per posta sono indicizzate in alto e quindi proprio copie del fascicolo. Appare evidente il senso dell’operazione: non avete indagato abbastanza attorno alla famiglia. Testi anonimi non posso far parte delle prove ma possono meritare approfondimenti: Murace è atteso in aula il 7 febbraio.

IMG 4809«Ci ha fatto malissimo sentire quelle illazioni sul conto di nostro padre – dicono in coro Anna Maria e Giancarlo Minguzzi –. Non è quella la verità e non possiamo lasciare che qualcuno le prenda per vere. È stato doloroso come familiari e fastidioso per chi lavora nella nostra impresa».

Di viaggi a Malta e di conoscenze con coniugi maltesi ospitati nella propria abitazione di Alfonsine – uno degli aspetti adombrati dal delatore – la famiglia non sa nulla: «Non è mai andato a Malta e non aveva amicizie con maltesi. Ha viaggiato molto perché era curioso di conoscere più possibile e ogni viaggio era un misto di turismo e lavoro perché cercava sempre di andare dove si poteva studiare qualcosa in più per il nostro lavoro».

La vedova Liverani ricorda gli inizi della storia imprenditoriale: «Era nato a Boncellino, veniva da una famiglia di allevatori di animali. Iniziò a commerciare bestiame e poi nel 1958-59 diventò mediatore per una grossa ditta di ortofrutta di Cesena». Poi in un piccolo magazzino comincia l’attività in proprio: «Mi ricordo gli anni con mio figlio Giancarlo che era piccolo e lo mettevo nelle cassette della frutta mentre lavoravo».

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Gian Carlo Minguzzi

È stato l’imprinting per il primogenito. Il resto l’ha fatto la passione: «È un lavoro che ti deve piacere perché non è mica tanto leggero – dice Giancarlo –. Ho fatto Ragioneria e poi Agraria e sono entrato in azienda. Ma è da quando avevo dieci anni che stavo attaccato ai pantaloni di mio babbo e lo seguivo dappertutto. La sua intuizione fu quella di diventare anche produttori e non solo lavoratori dei prodotti. I terreni che oggi possediamo sono stati comprati investendo i guadagni del commercio, non c’è altra provenienza dei terreni. Ci offende pensare che qualcuno possa credere a delle illazioni di una lettera anonima».

Nell’azienda di famiglia era già entrato anche Pier Paolo anche se frequentava l’università e faceva il militare di leva: «Da noi non era previsto che si cominciasse a lavorare solo finiti gli studi – sorride il fratello maggiore –. E Pier Paolo si stava dimostrando molto bravo. Pochi giorni prima del rapimento io ero in partenza per una vacanza in Spagna e gli lascia alcune consegne per il lavoro».

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L’aula di corte d’assise per il processo Minguzzi

Il processo riprenderà nel 2022, già programmate le udienze del 7 e del 21 febbraio. Poi sarà il momento di requisitoria e arringa per arrivare alla sentenza a quasi 35 anni dal delitto: «Abbiamo aspettato tanto e sentiamo che siamo vicini ad avere una risposta. Abbiamo fiducia nei giudici e nel pm».

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