La verità sull’omicidio di Minguzzi passa dalla perizia sulle voci delle telefonate

Un ex carabiniere imputato per il delitto del 1987 ha ammesso di essere stato il telefonista di un episodio analogo nello stesso anno ma solo nel 2018 c’è stata una comparazione tra le registrazioni. Eppure gli spunti per il confronto non mancavano

Pexels 幻影多媒体 D 3435213Se foste alla ricerca dei colpevoli di un rapimento per estorsione finito in omicidio con telefonate minatorie ai parenti del sequestrato e nello stesso paesotto di appena diecimila anime venissero arrestate tre persone per un fatto analogo con uno che dice di essere l’autore delle telefonate del secondo caso, non fareste una comparazione tra le registrazioni delle chiamate per vedere se la voce è la stessa? Nel 1987 non lo fecero gli inquirenti che indagavano sulla morte del 21enne Pier Paolo Minguzzi. È stato fatto solo di recente nelle indagini preliminari alla riapertura del fascicolo. Il prossimo 6 dicembre si terrà l’undicesima udienza del processo per l’omicidio del terzo genito di una famiglia di imprenditori di Alfonsine. Tre imputati: due ex carabinieri e un idraulico.

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I familiari di Pier Paolo Minguzzi: da sinistra la sorella, la madre e il fratello

Il consulente tecnico della procura, l’ingegnere Sergio Civino, ha analizzato i nastri e nelle sue conclusioni scrive: “La prova d’ascolto e la valutazione linguistica spingono verso l’identità delle voci”. Per dare una dimensione alla cosa c’è un numero: “La tesi di identità delle due voci è 2.884 volte più probabile della tesi opposta”.

La corte d’assise (presidente Michele Leoni, a latere Federica Lipovscek) ha incaricato un suo consulente per eseguire la stessa perizia. Il compito è andato poco tempo fa al professor Luciano Romito, docente di Linguistica all’università della Calabria, chiamato a sostituire Gian Piero Benedetti che a distanza di due mesi dall’incarico ha rinunciato dopo aver realizzato di non avere gli strumenti adatti per l’attività. Romito si è preso novanta giorni di tempo (che scadranno a fine gennaio e potrebbero essere prorogati) per il deposito della relazione. Le difese hanno nominato i consulenti di parte. A quel punto si andrà al confronto fra esperti. E da lì passerà un bel pezzo della sentenza.

Pexels Hitesh Choudhary 340152La perizia sulle voci può essere considerata la prova regina del processo. Perché si tratta di fatti di 34 anni fa: non ci sono cellulari da passare al setaccio, non ci sono immagini di videocamere di sorveglianza, non ci sono varchi stradali che leggono targhe, non ci sono tracce di dna da analizzare. Ci sono solo le voci su quei nastri. Il resto lo fanno l’incrocio tra le varie testimonianze.

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In sette giorni di metà luglio del 1987 l’imprenditore Roberto Contarini ricevette quattro telefonate con minacce (di cui due registrate). «Avevo avuto la sensazione che si trattasse di un dilettante – disse Contarini all’epoca – perché parlava piuttosto a lungo e anche se si sforzava di essere duro in sostanza non ci riusciva». Si sa chi c’era alla cornetta: Orazio Tasca, per sua stessa ammissione dopo l’arresto del 13 luglio. L’autore delle chiamate di tre mesi prima invece è rimasto finora ignoto. Nei dieci giorni di fine aprile del 1987 tra il rapimento e il ritrovamento del cadavere di Minguzzi sono arrivate dieci telefonate nelle abitazioni dei familiari.

Le legittime perplessità che può avere il lettore di fronte alla mancata comparazione delle intercettazioni trovano una spalla in Antonio Di Munno, un carabiniere della pretura di Comacchio trasferito a Ravenna nel 1987 anche per indagare sul caso Minguzzi e sentito in aula lo scorso 12 luglio: «Sono rimasto sconvolto quando ho scoperto di recente dai giornali che all’epoca non si fece una comparazione fonica. Ma al tempo non riuscivo nemmeno a capire perché non vennero fatte intercettazioni sui carabinieri o sui loro familiari». Ma anche nel 2018, alla riapertura delle indagini, il gip non ha concesso l’autorizzazione per intercettare i cellulari di cinque carabinieri.

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La viceispettrice Anna Rita Andraghetti

La telefonata del 27 aprile 1987 sembra uscire dal copione di un pessimo film comico. La solita voce siciliana parte con un errore: “Contarino?”, chiede. Poi si corregge parzialmente: “Contarini?”. E infine azzecca quella giusta: “Minguzzi?”. Ma in molte altre occasioni dice “Minguzzo”. La poliziotta Anna Rita Andraghetti che ne ha parlato in aula ha definito il tutto con l’unica parola che calza: fantozziano. Non sarà che i sequestratori di Minguzzi avevano già in mente di colpire la famiglia Contarini? E poi Orazio Tasca, uno dei tre imputati, ha il vizio di storpiare l’ultima vocale dei cognomi: lo ha fatto addirittura in tribunale durante l’udienza preliminare dicendo Tarrone anziché Tarroni, un altro degli imputati.

Due comparazioni foniche però vennero fatte 34 anni fa. Le telefonate ai familiari di Minguzzi vennero confrontate con la voce di un siciliano sorvegliato speciale intercettato nell’ambito di un’altra indagine per traffico di droga e non emersero convergenze. Emersero invece quando si analizzò la voce dell’anonimo che alla mezzanotte del 12 maggio chiamò il 113 per gettare ombre sull’innocenza del fratello della vittima. L’accertamento disse che la voce era la stessa. La bobina con quell’audio è andata persa.

IMG 4809Sulla voce del telefonista del sequestro Minguzzi fu fatto anche un accertamento per stabilire la provenienza geografica della voce. Questo l’esito: “Caratteristica dialettale di origine siciliana verosimilmente delle province di Catania, Ragusa e Siracusa”. La città di origine di Tasca è Gela, in provincia di Caltanissetta, a pochi km dal confine con quella di Ragusa.

Ma se si parla di voci – e in questo processo sono un elemento cruciale – va ricordato che il 10 luglio 1987 il vicecomandante della stazione di Alfonsine, Mario Renis, ascoltò la registrazione di una telefonata ricevuta il giorno prima da Contarini e non ebbe dubbi: «Questo è Tasca», disse. Allora fecero una telefonata dalla caserma di Ravenna a quella di Alfonsine per registrare il sospettato. Il confronto a orecchio non venne ritenuto fattibile perché vennero usati due registratori diversi. Ma perché non usare lo stesso visto che era nella disponibilità dell’Arma?

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