Le indagini dei carabinieri sull’omicidio del 21enne Pier Paolo Minguzzi di Alfonsine, nel 1987, furono fatte male e gli uomini dell’Arma che provarono a farle bene si scontrarono contro gli ostacoli di colleghi in divisa. È l’estrema sintesi della testimonianza dell’ex brigadiere Antonio Di Munno rilasciata oggi, 18 settembre, nella seconda udienza dell’appello per la morte dello studente di Agraria e carabiniere di leva rapito il 21 aprile di 38 anni fa per estorsione e trovato morto dieci giorni dopo.
In corte d’assise d’appello a Bologna è in corso il processo di secondo grado dopo l’assoluzione, arrivata il 22 giugno 2022, dei tre imputati (qui le motivazioni): il 60enne Orazio Tasca, originario di Gela (Caltanissetta), il 61enne Angelo Del Dotto di Palmiano (Ascoli Piceno) e il 69enne Alfredo Tarroni di Alfonsine. All’epoca dei fatti i primi due erano carabinieri in servizio alla stazione di Alfonsine, il terzo era un loro amico che faceva l’idraulico nello stesso paese.
All’epoca dei fatti Di Munno era in forza alla squadra di polizia giudiziaria della pretura di Comacchio e venne trasferito al nucleo operativo dei carabinieri di Ravenna anche per partecipare alle indagini sul sequestro-omicidio. La deposizione resa a luglio del 2021 in assise a Bologna mostrò un ex carabiniere particolarmente coinvolto dal ricordo degli eventi e oggi, se possibile, il testimone è tornato a ribadire gli stessi concetti con ancora più veemenza. Di Munno afferma di essere andato di fronte al comandante provinciale dell’epoca, il colonnello Masciullo, per proporre approfondimenti su due carabinieri, Tasca e Del Dotto: «Il comandante mi disse “Brigadiere, non ha capito che più si gira la merda e più puzza?”. Di fronte a quella frase rassegnai immediatamente le mie dimissioni e lasciai l’Arma perché non erano quelli i valori in cui credevo».
Su richiesta della procura generale, il teste ha nuovamente riconosciuto la sua calligrafia su un pezzo di carta che non finì mai in un fascicolo di indagine a quel tempo, ma ora sì: «Era una bozza per un rapporto giudiziario, avevo appuntato con sedici indizi da approfondire per appurare la posizione dei due carabinieri sospetti».
Nell’aula Bachelet di piazza dei Tribunali, Di Munno ha esternato tutta la sua incredulità avendo saputo che la magistratura dell’epoca intercettò più di un anno un millantatore piuttosto inverosimile e non dispose mai intercettazioni a carico dei due carabinieri.
Ascoltato dalla corte anche un altro carabiniere, Mario Renis: era vicecomandante della stazione di Alfonsine quando Minguzzi fu ucciso. E anche Renis è torno a ribadire quanto già pronunciato in primo grado a Ravenna: «Non mi fecero mai ascoltare le registrazioni delle telefonate estorsive ricevute dai familiari di Minguzzi nell’aprile del 1987. Però a luglio di quell’anno mi fecero ascoltare le telefonate di un altro tentativo di estorsione a un’altra famiglia di Alfonsine e riconobbi subito il timbro inconfondibile della voce siciliana di Tasca con cui condividevo la caserma da tre anni». Perché non gli fecero ascoltare le registrazioni di rapitori di Minguzzi? Una risposta non c’è. Ma è stata la procura generale a sottolineare che il comandante della stazione di Alfonsine, Aurelio Toscano, affermò che tutti in quella caserma partecipavano ai briefing degli investigatori.
I tre imputati, nuovamente assenti in aula, si sono sempre dichiarati innocenti, negando collegamenti con l’altra vicenda ricordata. A luglio 1987 avvenne l’omicidio di un altro carabiniere che portò a tutti condanne ultraventennali (già scontate). Tarroni, Del Dotto e Tasca furono arrestati in flagranza a Taglio Corelli, frazione di Alfonsine, dopo una sparatoria in cui rimase ucciso il 23enne Sebastiano Vetrano, raggiunto da un colpo sparato da Del Dotto con un revolver di Tarroni.
La sentenza d’appello potrebbe arrivare il 30 settembre. Per quel giorno, infatti, è in calendario un’udienza a partire dalle 9.30 con le discussioni finali di procura, parti civili e difese. Al termine la corte potrebbe ritirarsi in camera di consiglio per il verdetto.