Il ponte, fra metafore e architetture

Un nuvo libro di Alberto G. Cassani. Presentazione del volume sabato 17, alle 18, al Tribeca Lounge Café

infinity bridgeIncontro “speciale“, sabato 17, alle ore 18, al Tribeca Lounge café di via Trieste, per la rassegna “Librando“. L’occasione è la presentazione del libro Figure del ponte. Simbolo e architettura (edizioni Pendragon) dello studioso e storico dell’architettura Alberto Giorgio Cassani. Si tratta di una colta e curiosa ricognizione sui significati metaforici e sugli esiti storici e progettuali di uno dei manufatti più antichi e ambivalenti ideati dall’umanità. L’autore dialogherà sul tema con Gigi Canestrari.

Di seguito, per saperne di più, pubblichiamo una “sintesi“ della ricerca, firmata dallo stesso Cassani e pubblicata nell’aprile del 2014 sulla rivista Trovacasa Premium.

ponte mondiIl ponte come “simbolo” . «Invero, generalmente si pensa che il ponte sia anzitutto e propriamente solo un ponte». L’aforistica sentenza di Martin Heidegger (Costruire, abitare, pensare, 1951) coglie in pieno il carattere prettamente “simbolico” di una figura – «forse la più nobile fra quelle create dall’uomo» (Giulio Pizzetti, Alcune considerazioni sulla evoluzione del ponte, in “Casabella“, XLV, n. 469, maggio 1981) – che ha, da sempre, accompagnato l’uomo, come imago e come struttura. Il ponte non è soltanto quell’oggetto che permette di superare un ostacolo. Il ponte è molto altro. Mai figura architettonica è stata, nella storia, tanto carica di significati metaforici. Uno straordinario racconto di Kipling, I costruttori di ponti (1893), mette sul tavolo tutti i temi principali che fanno della figura del ponte un vero e proprio “simbolo”, cioè una figura ancipite, doppia, dissós. Per poter parlare di simbolo, è necessaria quest’ambivalenza, questa compresenza di opposti, secondo l’originaria etimologia greca: simbolo era una tavoletta che veniva spezzata in due e consegnata a due persone che si sarebbero riconosciute, ricongiungendola. Dunque: una sola e, al tempo stesso, due. Questa la ricchezza e l’ambiguità del simbolo, che non mostra mai, semplicemente, una sola faccia, ma è come una medaglia che ha un recto e un verso. Il ponte “riunisce” in sé molti aspetti contrastanti: “unisce” e, al tempo stesso, “divide”, come ha compreso benissimo, un secolo fa, Georg Simmel (Ponte e porta, 1909); è stabile, apparentemente, ma anche fragile, pericoloso, come ci hanno raccontato Nietzsche (Così parlò Zarathustra) e Kafka (Il ponte, 1916) – e questo elemento di pericolosità rimane anche e soprattutto nell’età della Tecnica; è “sospeso” tra due mondi, può essere “isolato” e “abitato”, può “crollare” e persino “muoversi”. È strumento della conquista del mondo da parte dell’uomo e, al tempo stesso, l’opera più sacrilega di tutte, perché intacca, oltre la terra, anche l’acqua, l’elemento sacro per eccellenza in tutte le culture antiche, come ci ha ricordato, magistralmente, Anita Seppilli (Sacralità delle acque e sacrilegio dei ponti, Palermo, Sellerio, 1977).
Tutte le culture antiche hanno compreso il carattere simbolico e perturbante del ponte e ne hanno fatto una delle figure ricorrenti nei loro racconti mitici e nelle leggende e favole che quei miti hanno sostituito, apparentemente normalizzandoli. Ma la “secolarizzazione” non ha cancellato del tutto quell’aspetto “numinoso” che ha aleggiato per secoli intorno all’immagine del ponte. Questo lato oscuro emerge a volte, inaspettatamente, anche nell’età dei Lumi e nel secolo breve o lungo che dir si voglia. C’è da aspettarsi che lo faccia anche nell’attuale terzo Millennio.

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