Indagando il mistero di Alberti

Il libro del ravennate Alberto Giorgio Cassani lavora sugli enigmi nel lavoro dell’architetto

Pubblichiamo in versione integrale un testo di Michel Paoli (Professore Ordinario di Italianistica, Université de Picardie “Jules Verne” di Amiens, Direttore del centro di ricerca “A.E.4284 – TRAME”), recensione del libro dell’architetto ravennate Alberto Giorgio Cassani, presentato alla biblioteca Classense di Ravenna da Massimo Cacciari, giovedì 21 maggio, all’interno del festival Scrittura.

«L’obiettivo primario dell’iconografia dovrebbe essere catartico». Così si legge in uno dei numerosi eserghi che costellano il volume di Alberto Giorgio Cassani, L’occhio alato. Migrazioni di un simbolo (con uno scritto di Massimo Cacciari, Torino, Nino Aragno Editore, 2014). Uno dei tanti, ma forse quello che più spiega questa insistenza dell’autore su un tema che l’ha visto impegnato sin dal convegno parigino del 1995, quello della rinascita degli studi albertiani. Dunque, da ben vent’anni, l’autore, a più riprese, è tornato a indagare il “mistero” dell’impresa di Leon Battista Alberti, un personaggio che degli enigmi ha fatto spesso la cifra della sua opera. Lo attesta, se ce fosse bisogno, la più “personale” fra le intercenali, Anuli, in cui l’alter ego del protagonista, Philoponius, incide dodici anelli con altrettante immagini geroglifiche, che uno dei coprotagonisti, Consilium, s’incarica di decifrare. Il primo di questi anelli riproduce, significativamente, un occhio alato. Perché l’Alberti ha scelto quest’immagine come sua “divisa” e perché, successivamente, vi ha aggiunto un motto, Qvid tvm, che, anziché chiarire l’immagine, aggiunge ulteriore mistero all’insieme? L’Alberti ha scritto che «Explicanda […] sunt mysteria?». E, seguendo questa indicazione del grande umanista, alcuni degli esegeti della sua opera si sono sentiti in dovere di tentare di rispondere a questo imperativo. Come ricorda Cassani, due sono state le interpretazioni più accreditate dell’impresa: l’occhio alato come l’occhio dell’Alberti, «del grande artista che ha indagato le occulte cose terrene e che ora attende soltanto a contemplare quelle celesti»; e l’occhio alato, apparentemente all’opposto, «come simbolo della giustizia divina, un ammonimento volto a ricordare l’imminenza del giudizio finale». Wind, finora il più acuto esegeta dell’emblema albertiano, aveva tenuto insieme, per la prima volta, entrambi gli aspetti, come le due facce di una stessa medaglia, nell’ottica della “terribilità” dell’immagine albertiana, in cui «l’onniscienza di Dio e la circospezione nell’uomo sono rappresentate dalla stessa immagine». L’occhio dell’Alberti è perciò un “simbolo”, duplice, e non un banale “indovinello”. Tutto risolto, dunque? Non per l’autore, che ha voluto compiere un tour de force ermeneutico, andando a ricercare, all’interno di tutte le opere letterarie dell’Alberti, i passi in cui compaiono immagini di occhi, ali, corone, che sono le parti che compongono l’impresa. In questo processo analitico sono emerse possibili interpretazioni che l’autore non ha scartato, ma posto una accanto all’altra, ben sapendo della difficoltà di un’unica spiegazione dello straordinariamente complesso pensiero albertiano. Sono dunque emersi l’occhio alato del pittore, dell’architetto, del massaio, di Argo, di Fama, Polifemo, e, persino… del bue. Lo stesso è stato fatto per le ali e per la corona d’alloro. A questo punto l’autore ha voluto aggiungere alle due interpretazioni citate la notevole scoperta di David Marsch di una possibile fonte lucianea dell’occhio alato: l’Icaromenippo. Se il merito va tutto allo studioso americano, l’autore ha però letto con grande attenzione lunghi brani del testo di Luciano, arrivando a confermare questa come la fonte più probabile dell’idea dell’occhio alato. Ma, al tempo stesso, Cassani ha aggiunto, questa volta tutte sue, altre possibili fonti, prese da quell’Antico Testamento che l’Alberti, in base ai suoi studi e al suo ruolo di “abbreviatore apostolico” ben conosceva: i Salmi, ma, soprattutto, il Libro di Giobbe. Entrambi questi testi, per l’autore, tengono insieme l’immagine dell’occhio volante (di ascendenza lucianea) con il motto Qvid tvm (che Wind riconduceva, a sua volta, al Quid tunc del Dies Iræ). C’è un passo di Giobbe, in particolare, che, seppur non citando esplicitamente il Qvid tvm, ne riassume perfettamente l’interrogativo: «sapientia vero ubi invenitur et quis est locus intellegentiæ / abscondita est ab oculis omnium viventium volucres quoque cæli latet». In una stessa frase, dunque, compaiono i pronomi «ubi», «quis», e il termine «oculus», che non possono non far rimandare all’impresa albertiana. Il libro potrebbe terminare qui. Ma l’autore, in omaggio al “metodo” del grande storico dell’arte Aby Warburg, procede cercando di ricostruire le “trasmigrazioni” di questo simbolo attraverso i secoli, ritrovandone citazioni colte, più o meno letterali, in Filarete (nell’immagine della Fama), in un ritratto del Vasari (?), in un quadro di Dosso Dossi (Giove, Mercurio e la Virtù), e poi, con un balzo di alcuni secoli, in un capolettera di Giovanni Battista Piranesi, nelle spille e nelle sculture di Gabriele D’Annunzio, nell’emblema dell’architetto Tomaso Buzzi (che costella quasi tutte le porte – luoghi di attraversamento di dimensioni spirituali – dell’incredibile “città ideale” alla Scarzuola (in Umbria). A questa cultura alta, segue la ricerca nella cultura, ancora purtroppo considerata di serie B, della grafica pubblicitaria e del fumetto. È proprio in quest’arte “popolare” che l’occhio alato ha visto una vera e propria fortuna (dagli artisti psichedelici Kenny Howard e Rick Griffin, alle maggiori matite del fumetto giapponese (i “manga”) o di quello italiano (l’episodio intitolato Armageddon della fortunata serie “Dylan Dog”). Qvid tvm? Dopo tanto labirintico girovagare alla ricerca di possibili risposte ai «mysteria» albertiani, il libro sembra rilanciare e non voler risolvere (perché forse irresolubile) la questione del significato dell’impresa. L’impresa “è” l’Alberti. Studiate dunque quest’ultimo e forse saprete di più della prima.

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