La parola “crisi” nelle sue declinazioni adatta a descrivere (anche) l’editoria

Scrittrice e ghostwriter di Alfonsine, Manuela Mellini, oggi a Berlino, riflette sul mondo dei libri in parallelo tra Italia e Germania, ma anche sul senso della lettura e del linguaggio attuale

Libreria NegozioRomagnola di nascita (1979), Manuela Mellini oggi vive fra Milano e Berlino. Lavora dal 2004 come redattrice, autrice e ghostwriter, occupandosi di diversi argomenti: dallo spettacolo allo sport, dall’arte alla storia. Realizza giochi di enigmistica per varie testate e, cosa generalmente più gradita, piadine per vari amici. Il colore dei papaveri è il suo primo romanzo, il suo secondo libro Tutta colpa di mia nonna, è uscito nel 2019 per Baldini+Castoldi.

«C’è un racconto di Dino Buzzati, grande maestro di inquietudine, che mi viene in mente di continuo in questi giorni. Si intitola “Qualcosa è successo” ed è raccolto nel volume Il crollo della Balinverna. Parla di un convoglio che, negli anni Cinquanta, lascia il sud per dirigersi a Milano: un treno direttissimo, che con un viaggio di dieci ore attraversa il Paese senza soste. Poco dopo la partenza, i passeggeri si accorgono che, fuori, sta succedendo qualcosa di spaventoso. La gente delle campagne e delle città è in preda a una forte agitazione: tutti si affannano, preparano le valigie, partono (in macchina, in bici, a piedi) verso il meridione; e lo fanno per sfuggire a una minaccia che arriva dal nord – da quel nord verso cui il convoglio continua a sfrecciare. Più la meta si avvicina, più i segnali all’esterno sono tangibili. Nelle stazioni c’è chi cerca di avvicinarsi ai vagoni, di urlare qualche avvertimento. Una signora riesce ad afferrare un giornale che, dal finestrino, un ragazzo le porge. Ma la pagina si strappa e a lei restano in mano solo quattro lettere: “IONE”. Il treno sta correndo verso qualcosa di terribile; qualcosa che finisce per «ione», e che costringe tutti gli altri a scappare. Nella carrozza, i passeggeri sono paralizzati dall’ansia. Ed è così per ore, fino all’arrivo in una Milano spettrale da cui nessuno sa cosa aspettarsi, se non che sarà qualcosa di tremendo.
Ecco, credo che noi ora stiamo vivendo una situazione simile. Siamo chiusi dentro un treno, lanciato verso una meta che nessuno conosce e che, però, fa paura. Nuotiamo, letteralmente, nell’incertezza: ce l’abbiamo addosso, tutto intorno e, quel che è peggio, dentro. L’incertezza ci nutre e ci divora. Ci porta a ripiegarci su noi stessi e a chiederci cosa ne sarà di noi, quando tutto questo finirà. Se finirà. E come finirà.

“Cosa succederà, dopo?”. Forse nessuno riesce a dirlo ad alta voce, ma in tanti, credo, lo pensiamo di continuo. Perché è chiaro che ci sarà un dopo, così com’è chiaro che c’è stato un prima. Siamo nel mezzo di una frattura fra un passato a suo modo rassicurante, che magari non ci piaceva ma che, comunque, conoscevamo, e un futuro che non riusciamo ancora a immaginare.
“Abbiamo bisogno di scenari alternativi” scrive Gianluca Briguglia su “il Post”. E, siccome nessuno ce li dà, cerchiamo allora di inventarceli noi, con un esercizio di fantasia che, lo intuiamo bene, probabilmente non ci porterà a nulla (nessuno può sapere davvero cosa succederà da qui a uno, due, sei mesi), eppure ci appare necessario. E lo è, a mio avviso. Perché, come emerge con sempre maggiore chiarezza, alla fine di questa storia saremo pieni di macerie, dentro e fuori di noi, e da qualche parte dovremo pur partire per ricostruire il mondo – mondo che difficilmente sarà uguale a quello di prima.

Manuela Mellini

La scrittrice Manuela Mellini

Raccontare l’emergenza
Ci appelliamo, allora, agli strumenti a nostra disposizione, senza sapere se potranno davvero servirci. Usiamo le parole che conosciamo per tentare di descrivere una situazione completamente inedita. Andiamo avanti per approssimazioni, come una pallina da flipper che trova la sua traiettoria solo rimbalzando da una parte all’altra. Alcuni hanno il grande merito di tentare di far ordine in questa Babele. È il caso fra l’altro della Treccani che, a partire da un articolo della linguista Vera Gheno a inizio marzo (“Coronavirus: una parola infetta”), continua a pubblicare approfondimenti interessanti: “Il lessico globale della distanza”, di Daniela Pietrini; “La peste il terremoto e altre metafore”, di Stefania Spina; “Le parole del Coronavirus”, un elenco di dieci termini stilato in collaborazione con l’Istituto superiore della Sanità, che può forse aiutarci a definire i termini dell’emergenza sanitaria in corso.
La parola che affiora più spesso sulle labbra di tutti è “crisi”, concetto che si presta alla perfezione a indicare sia il profondo turbamento che ha investito la nostra vita individuale e collettiva, sia il disordine, il disequilibrio, la disorganicità sui piani economico e sociale. Merito del Coronavirus è forse quello di aver finalmente zittito i sostenitori della favolina secondo cui “crisi”, in cinese, si scriverebbe con due ideogrammi, il primo dei quali significa “pericolo” e il secondo “opportunità”. Prima di tutto, non è vero: in cinese la questione linguistica è molto più complessa rispetto a questa visione motivazionale da coach occidentali (semplificando al massimo: sarebbe come dire che la parola “tavolo” evoca il fluttuare liberi nell’aria perché contiene “volo”). Secondo, le opportunità nella crisi le trova solo chi, alla crisi, sopravvive rimanendo tutto intero. Chi resta sepolto sotto le macerie per questioni personali, affettive, lavorative, di salute fisica o mentale (“stress” è una delle parole del Coronavirus scelte dalla Treccani), fa fatica a vedere tutte queste mirabolanti opportunità. Andrà tutto bene per chi sa e può stare bene. E gli altri?

L’editoria in Italia e in Germania
Nel settore di cui mi occupo, l’editoria libraria, “crisi” è la parola che gira di più non solo ora, ma da almeno vent’anni a questa parte. Siamo tutti sempre in crisi, con una costanza che a suo modo ha dell’ammirevole. Le case editrici sono perennemente in difficoltà. Fanno debiti, faticano a pagare gli affitti (e i fornitori, e i collaboratori), aspettano il bestseller da centinaia di migliaia di copie vendute che possa permettere loro di tirare un po’ il fiato – lo aspettano, va da sé, come Vladimiro ed Estragone aspettano Godot. Spesso vanno avanti solo grazie alla passione e alle competenze di chi sceglie questo mestiere consapevole del fatto che soldi e soddisfazioni non lo sfioreranno mai, neppure lontanamente, eppure non vorrebbe fare null’altro.
I dati delle ultime settimane sono oggettivamente terrificanti: si parla di un crollo delle vendite pari al 75%. Le librerie sono chiuse, e solo alcune possono organizzarsi con un servizio di consegne a domicilio. Gli eventi saltano; le fiere sono rimandate a data di destinarsi; i titoli già previsti in uscita vengono cancellati. Si calcola che nel 2020 verranno stampati 50 milioni di libri in meno rispetto agli anni scorsi, con un danno che, partendo dagli editori, toccherà anche stampatori, magazzini, distributori, librerie. E i lettori, naturalmente.
A dimostrazione del fatto che tutto il mondo è paese, situazioni simili si stanno verificando non solo nel già traballante ecosistema dell’editoria italiana, ma un po’ ovunque. Persino nel mondo editoriale tedesco, uno dei più solidi al mondo, l’Eldorado per i professionisti nostrani, il disagio è evidente. Ma è evidente anche lo squilibrio delle condizioni di partenza, che rende difficile ogni paragone. In Italia, Paese di circa 60 milioni di abitanti, il mercato del libro genera un fatturato di circa 2,8 miliardi di euro l’anno; in Germania, 83 milioni di abitanti, si parla di più di 9,3 miliardi di euro (fonte: Aie). In Italia il 60% circa dei cittadini si approccia almeno una volta all’anno a un libro, un e-book, un audiolibro, senza necessariamente arrivare fino in fondo; in Germania, il 60% delle persone legge almeno una volta al mese (fonti: Istat ed Eurostat).
A complicare ulteriormente la situazione c’è il fatto che la Germania è divisa in Länder, stati federali che, anche in questo momento, conservano una certa autonomia decisionale. Per esempio a Berlino, dove vivo, le librerie, proprio come i supermercati e le farmacie, sono rimaste aperte: non tutte e non sempre; la maggior parte solo per 3-5 ore al giorno, ma comunque esiste la possibilità concreta di ordinare e ritirare dei libri, o anche di perdere qualche minuto a osservare, scegliere e comprare quelli presenti in negozio. Questa, va detto, è un’eccezione: Berlino e la Sassonia-Anhalt sono gli unici due Länder sui sedici complessivi a offrire una tale possibilità. Possibilità che, a conti fatti, non porterà certo chissà quali ricchezze all’editoria tedesca in questo contesto. Ma qui si parte da una realtà stabile, se non proprio florida. In Italia, invece, no. E non è un discorso qualitativo, per carità. Ma i numeri sono questi.

Libreria Karl Marx Berlino

La libreria Karl Marx di Berlino

Leggere ai tempi del Coronavirus
Un altro dato di fatto di cui tenere conto è che molti di noi lettori (non tutti, per fortuna: per alcuni è vero l’esatto contrario) stanno vivendo attimi di grande difficoltà. Smart working e, per chi ha figli, home schooling, oltre forse a una più accanita frequentazione dei social network, bastano a riempire le giornate – e la testa. La ricerca di informazioni sull’attualità, vissuta come necessaria per provare a mettere qualche punto fermo nel caotico magma in cui ci troviamo, fa il resto. Leggiamo di meno perché non abbiamo la serenità, la lucidità e la concentrazione che ci consentirebbero di immergerci in una storia nuova, in una realtà inventata. Spesso, piuttosto, rileggiamo: cerchiamo una rassicurazione nelle pagine che conosciamo, quelle che abbiamo già letto e amato, che ci evocano emozioni note e che magari, fra sgualciture e sottolineature, ci portano quel conforto di cui abbiamo bisogno. Gli unici testi che sembrano offrire risposte ai nostri interrogativi presenti appartengono al passato: La peste di Albert Camus, Cecità di José Saramago.
E quindi: tutto finito? Tutto perduto? Forse no. Anche in un momento così difficile, è possibile intravedere qualche piccola buona notizia. Il mercato degli e-book (che certo, è ancora tutto sommato ridotto, e da solo non basterà a salvare nessuno) è dato in aumento del 50%; gli audiolibri si stanno rivelando, per molti, una valida alternativa alla lettura. Gli utenti delle biblioteche online sono cresciuti in maniera esponenziale: nella sola Milano, nel mese di marzo, il numero delle iscrizioni è aumentato del 641%.
“La letteratura è una difesa contro le offese della vita” scriveva Cesare Pavese nel Mestiere di vivere. E Philip Pullman sottolinea come l’essere umano abbia, per sua natura, necessità di libri. ”Non devi è presto dimenticato, c’era una volta durerà per sempre”. Ecco: a questo suo “per sempre” io credo molto. Voglio pensare che l’amore per il “c’era una volta” non ci abbandoni nonostante l’uragano che ci ha travolti, e che magari tornerà a essere più forte quando tutto questo, finalmente, passerà. E a quel punto, oltre a rimettere insieme i pezzi e a leccarci le ferite, potremo continuare a leggere, scrivere, raccontare e ascoltare quelle storie di cui tutti noi, ognuno a suo modo, abbiamo bisogno».

Manuela Mellini

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