In un vortice di intrighi politici e avventure, la sfida fra cinici e idealisti

Alberto Cassani, già assessore alla cultura a Ravenna, parla del suo nuovo romanzo “Una giostra di duci e paladini”, con qualche battuta sulla politica e la sua città

Alberto Cassani Nuovo LibroIn questi giorni è sugli scaffali delle librerie e online il nuovo romanzo di Alberto Cassani (356 pagine, 18 euro) intitolato Una giostra di duci e paladini, dopo la prova narrativa d’esordio, L’uomo di Mosca, pubblicato nel 2018 sempre dall’editore Baldini+Castoldi.
Cassani, 55 anni, già assessore alla cultura e anche per un periodo al bilancio, a Ravenna, dal 1997 al 2011, poi coordinatore della candidatura della città a Capitale Europea della Cultura 2019, da alcuni anni, oltre al lavoro come capo segreteria dell’assessorato al turismo, commercio, trasporti e infrastrutture della Regione Emilia-Romagna si dedica alla passione della scrittura. Di questa ultima creazione letteraria parliamo con l’autore, con alcune divagazioni anche sul passato e presente della sua vita politica e culturale.

Diversamente dalla tua prima opera, L’uomo di Mosca, che evocava il periodo della guerra fredda e una spy story, questo nuovo romanzo ha un titolo che contiene una componente giocosa, sembra preludere a un’avventura tragicomica, dove spunta l’ironia,
«Il titolo in effetti è stato molto meditato. Il romanzo ha vari ingredienti, si alternano atmosfere diverse, si mescolano momenti drammatici ad altri vicini alla comicità. Serviva un titolo capace di rappresentare questa complessità. La costruzione narrativa non ha un’unica dimensione, è movimentata, intreccia diverse azioni. L’immagine della giostra poteva dare l’idea di questo movimento che ha più significati. C’è il senso ludico, quello della giostra dei bambini, quella del luna-park, ma c’è anche quello della giostra medievale, quindi della sfida, del duello, del conflitto; dunque, l’aspetto giocoso ma anche quello spericolato, rischioso, potenzialmente fatale. Poi ci sono i “duci e i paladini” che rappresentano questa sfida fra “buoni” e “cattivi”, tra cinici e idealisti. Qui mi sono ispirato alla traduzione di un passo del Faust di Goethe che, riflettendo sullo spirito dei tempi, chiama in gioco, per l’appunto, le “tragedie di duci e paladini” e la finzione teatrale, che potrebbe essere anche letteraria».

La trama parte da un intrigo di duci appunto, e da un disgraziato equivoco, che ricongiunge e porta in scena un manipolo di paladini. Non sono proprio degli eroi, ma questo non gli impedisce di entrare in scena in un campo imprevisto, ben più grande e pericoloso della loro routine un po’ provinciale.
«Sì, di fronte a un amico braccato da forze potenti e costretto suo malgrado a scappare, alcuni vecchi compagni si mettono in moto per aiutarlo e cercare di salvarlo. Di fronte a questo drammatico imprevisto subentra il tema delle “grandi” virtù – del coraggio, dell’onesta, della solidarietà –, la necessità di scegliere da che parte stare, che ricompatta un antico sodalizio nel verso di un’autentica amicizia. Poi fra i paladini c’è anche chi trova l’occasione, in questa avventura, di ridare senso a una vita un po’ spenta e depressa. E anche chi riflette sul rimpianto o le conseguenze di non avere fatto nella stessa vita certe scelte o di essersi adattato a “piccole” virtù, per convenienza o indolenza».

Come nel precedente lavoro anche in questo emerge prepotente, lacerante e contraddittorio il ruolo della politica.
«Certo, anche perché nella mia biografia personale, la politica, avendola vissuta e praticata, ha avuto un ruolo importante. E quando sono arrivato alla creazione letteraria non ho potuto fare a meno di attingere a questa esperienza. Detto questo resto convinto che la politica è il terminale, l’interruttore di vari processi umani. È una dimensione che può avere una rilevanza esistenziale, anche simbolica, capace di influire sensibilmente sulle vite delle persone, stimolando, in determinate situazioni, pulsioni e passioni, vizi e virtù. Non è solo gestione e manipolazione del potere, ma, nel bene o nel male, magari anche solo come reazione a se stessa, stimola una ridda di sentimenti umani. D’altra parte, e vale anche per il mio primo romanzo, mi interessava raccontare come il piccolo e il grande mondo, le vicende politiche di provincia e quelle, per dire, delle “alte sfere”, all’interno di un orizzonte globale, si possono intrecciare. Nel romanzo, l’intrigo che racconto e i personaggi che vi ruotano attorno fanno un vorticoso giro del mondo, da una cittadina di provincia a Milano, poi da Parigi a Bangkok, fino a Roma, per poi sciogliersi e risolversi nel punto di partenza. Tanto per rievocare la dinamica della giostra che è della politica ma anche della vita stessa».

Nei tuoi romanzi spicca la figura di un grande vecchio, un anziano ai limiti del vissuto. Cos’è, un riferimento al valore della memoria, alla saggezza?
«Mi interessava il punto di vista di una persona che si trova a vivere la parte finale della propria esistenza. E questo perché se ha vissuto bene la propria vita, cioè in modo pieno e consapevole, è in grado di averne una visione prospettica. Ha i suoi acciacchi e le sue paure, ma è più distaccato e libero dalle beghe del qui e ora. Se si volta indietro, e ha conservato una sufficiente lucidità, può collocare le cose della vita nel loro posto, valutare meglio le azioni degli uomini e i casi della Storia. Da questa prospettiva è possibile fare confronti tra esperienze e generazioni. Vediamo uomini e donne che hanno attraversato il ferro e il fuoco del Novecento e hanno vissuto passioni politiche brucianti. Così lontane dal nostro sentire da rischiare l’oblio. Perché là dove noi non riusciamo ad andare oltre il disincanto, loro hanno fondato una morale, una visione del mondo e un’idea del futuro per le quali mettersi in gioco».

Svelaci qualcosa del “fare” e della poetica con cui costruisci un romanzo: metti prima a fuoco la storia o il carattere dei personaggi?
«Sono partito dalla volontà di raccontare la storia di un gruppo di amici che si ritrovano dopo essersi allontanati. E mi stuzzicava l’idea di fargli vivere un’avventura che, nell’adrenalinico vortice degli eventi, li portasse a recuperare un’energia e uno slancio che avevano abbandonato».

Cassani Giostra Duci PaladiniAnche in questo romanzo non mancano i riferimenti, per quanto non espliciti, alla tua città, al tuo impegno nella politica e nel mondo culturale.
«È naturale che si attinga al bagaglio delle proprie esperienze, che l’invenzione romanzesca s’incarica di trasfigurare. È la forza di questa trasfigurazione, così lontana e così vicina alla realtà, che attiva quella funzione catartica che può intrecciare il destino di lettore e scrittore. È un meccanismo vecchio come il mondo. La creazione letteraria ti offre l’immenso potere di costruire mondi e persino l’illusione di poter pareggiare i conti con la vita. E così, ad esempio, quando nel romanzo un personaggio racconta la vicenda di una candidatura a “Città del Teatro”, a qualche lettore può venire in mente qualche altra candidatura. Così come quando si parla delle celebrazioni per il più grande Poeta di tutti i tempi…».

Questa tua passione per la scrittura avrà un seguito, hai altri progetti nel cassetto?
«Ho qualche idea, non progetti nel cassetto. Ma, certo, quella per la scrittura non è una passione effimera. Anzi è una passione che si alimenta continuamente. Così come la spinta a migliorarsi, ad adeguare la propria capacità espressiva, il proprio stile. Poi naturalmente, perché tutto questo abbia sbocchi e venga valorizzato, bisogna avere la fortuna di incontrare una casa editrice affidabile, che creda in te e ti aiuti a crescere».

Continuiamo a parlare un po’ di te non solo come autore di romanzi ma anche della tua personalità strettamente legata all’attività politica e culturale.
«Sono sempre stato legato a queste due passioni, che in qualche modo si sono incrociate nel corso della mia vita, anche se, a fasi alterne, una ha sempre avuto la prevalenza. La mia attività a Ravenna è iniziata con il circolo Gramsci, organizzando iniziative culturali, poi mi sono trovato spendermi direttamente in politica con l’incarico di assessore comunale, con una parte finale di quella vicenda amministrativa, durata quasi vent’anni, dedicata alla sfida della Capitale Europea della Cultura. Dopo anni di impegno politico in prima linea, in una fase lunga in cui questa passione è stata dominante, totalizzante, le circostanze della politica e della vita mi hanno portato a fare altre scelte, personali e professionali. E si sono presentate le condizioni per riprendere in mano l’altra mia grande passione che è quella letteraria, e provare a esprimerla scrivendo dei romanzi».

A proposito di passione e impegno politico il tuo romanzo riporta un’unica dedica, al compianto ex sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci…
«Fabrizio mi ha insegnato la politica e con lui ho condiviso tante esperienze. E’ stato un amico leale e, a quasi un anno dalla sua scomparsa, ho voluto ricordarlo dedicandogli il libro.

Comunque oggi lavori come capo segreteria in un assessorato della Regione, distaccato a Bologna. Come vedi da questa prospettiva, magari meno provinciale, la “tua” Ravenna, per la quale ti sei speso tanto per gran parte della tua carriera professionale?
«Certo che Ravenna ora la vedo più da lontano. So quanto è difficile impegnarsi come amministratore e quindi sono solidale con chi continua a svolgere un lavoro politico e con chi è impegnato nel cercare di governare al meglio la città. In ogni caso, Ravenna dal punto di vista culturale e turistico ha conquistato, non da ora, un rango significativo. In ambito regionale, e non solo, sicuramente è una città stimata, rispettata, tenuta in notevole considerazione».

Nella tua carriera amministrativa hai partecipato in prima fila a migliaia di conferenze, inaugurazioni, prime teatrali… Da qualche anno sei scomparso dai radar della vita pubblica ravennate, non è che ti manca un po’ quella mondanità?
«Quel ruolo che ho svolto per lungo tempo si è esaurito, e bisogna saper cambiare, esplorare altre dimensioni. Ma io in quel ruolo ho dato tutto me stesso e apparire pubblicamente faceva parte del compito. Poi si scopre che partecipare ad eventi tutti i giorni o essere continuamente sui giornali, nel bene e nel male, è anche logorante. Per certi versi solletica la propria autostima, ma d’altra parte ci si espone senza alcuna protezione e si diventa vulnerabili. È evidente che anche promuovendo un romanzo si torna al centro dell’attenzione, visibili per un certo periodo, ma è il valore del libro che conta, non l’ego dell’autore».

Dante Albe

La Commedia di Dante “partecipata” del Teatro delle Albe, fra i principali eventi delle celebrazioni dantesche 2021, ideato a suo tempo per “Ravenna capitale europea della cultura 2019”

Nel caos che stiamo vivendo con la catastrofe della pandemia, il mondo della cultura, delle arti e dello spettacolo, che tu conosci bene, che rischio corre?
«Una volta sconfitta la pandemia tutto ritornerà come prima. Semmai con uno slancio anche superiore… Da questo punto di vista sono abbastanza fiducioso. Certo ora bisogna tenere duro e ridurre quanto più è possibile i danni psicologici, sociali ed economici. Purtroppo, a pandemia conclusa, temo che torneranno anche tutte le problematiche e le arretratezze di prima. D’altra parte il nostro mondo, compreso quello culturale, anche senza virus non era certo idilliaco».

Concludiamo con due temi locali e di attualità, pensando al 2021. Cosa ne pensi della ricandidatura a sindaco di Michele De Pascale, che ha avviato il suo mandato quando tu sei uscito dalla scena politica locale?
«Penso che De Pascale abbia lavorato bene e quindi sia giusto e naturale che si ricandidi. E sono convinto abbia ottime possibilità di vincere le prossime elezioni. Riuscire a dare continuità ad un impegno amministrativo è condizione importante e necessaria per ottenere più risultati per il bene della città».

E sul piano culturale e di immagine a livello internazionale, come valuti il programma ravennate delle celebrazioni dantesche, visto che poi sono evidenti alcune idee nate in occasione del progetto di Ravenna 2019 di cui eri coordinatore?
«Al di là delle difficoltà derivate dall’emergenza Covid, che purtroppo hanno indebolito le prospettive dell’anniversario del 2021, indubbiamente alcuni progetti pregevoli del programma sono, in qualche modo, figli di un lavoro di lunga data. Se posso permettermi un’osservazione, continuo a ritenere che – in genere parlando di cultura a Ravenna e anche per quanto riguarda le iniziative dantesche – si dovrebbe considerare prioritaria la necessità di introdurre sempre maggiori elementi di innovazione, di dialogo con la contemporaneità e di internazionalizzazione delle proposte culturali. Credo sia l’unica strategia per emanciparci in maniera definitiva da un retaggio di provincialismo che alligna ancora qua e là nell’orizzonte “antropologico” ravennate».

 

 

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