Interessante ricognizione a Ravenna sulle arti visive al tempo di Dante

Guida alla mostra nella chiesa di San Romualdo, curata da Massimo Medica, aperta fino all’11 luglio

Le Arti Al Tempo Dell'esilio Allestimento

Allestimento della mostra nell’ex chiesa di San Romualdo

Per celebrare il centenario della morte di Dante ad aprile è stata inaugurata a Ravenna la mostra Le arti al tempo dell’esilio nell’antica chiesa camaldolese di San Romualdo: realizzata dal Comune – Assessorato alla Cultura e MAR in collaborazione con la Galleria degli Uffizi di Firenze, la piccola ma interessante esposizione – aperta fino all’11 luglio – si concentra sul tema della vivacità artistica contemporanea al poeta e si avvale di alcuni prestiti internazionali.

Il curatore Massimo Medica è uno fra i maggiori esperti di arte medievale in Italia: allievo di Carlo Volpe, da 20 anni dirige il complesso dei Musei civici di Bologna dove ha allestito numerose mostre dedicate all’arte del Due e Trecento. La curatela è una garanzia e la selezione delle opere in mostra una conferma, a cominciare dalla scultura in bronzo dorato di Bonifacio VIII di Manno di Bandino da Siena che come un guardiano apre il percorso espositivo ravennate. Dopo “il gran rifiuto” e l’abdicazione di Celestino V, Bonifacio della potente famiglia dei Caetani assunse il ruolo di guida della Chiesa: era il Natale del 1294 e mai scelta fu così infelice data la corruzione e la mancanza di scrupoli che caratterizzavano la personalità del nuovo pontefice. Odiato da Dante al punto da predirgli un posto all’Inferno fra i simoniaci quando il Caetani era ancora in vita, le motivazioni appaiono giustificate: il papa lo aveva attirato con l’inganno a Roma mentre a Firenze veniva rovesciato il governo dei Guelfi bianchi – a cui il poeta apparteneva – avverso al papato. A questi avvenimenti era seguita poi nel 1302 la confisca dei beni e la condanna all’esilio perpetuo dalla propria città natale per i figli e per Dante stesso che forse, nel suo passaggio come esule a Bologna attorno al 1304, vide l’effigie del proprio nemico sulla facciata del Palazzo della Biada, oggi Palazzo comunale in Piazza Maggiore. Ordinata a Manno di Bandino, la scultura del Caetano in tiara e mozzetta è presentata attraverso una volumetria semplice e quasi squadrata mentre benedice con la mano destra – probabilmente non originale – e tiene nell’altra le chiavi, oggi perdute. Altrettanto probabile è che Alighieri abbia potuto vedere una seconda opera – il busto ritratto di Bonifacio eseguito dal famoso scultore Arnolfo di Cambio fra il 1296 e il 1299 – presente oggi in mostra grazie ad un calco dell’originale in marmo nei Palazzi Vaticani. Di nuovo, il papa si presenta in tiara e mantello mentre tiene le chiavi in una mano e con l’altra accenna una benedizione. La posa ieratica della scultura venne poi riproposta dallo scultore toscano sia nel tuttotondo predisposto per la facciata del Duomo di Firenze che nel ritratto del monumento funebre a Roma, ordinato dal Caetani mentre era ancora in vita.

Negli ultimi anni vissuti a Firenze Dante aveva sicuramente visto i lavori di Cimabue e di Giotto, citati nella Commedia in modo lapidario e moraleggiante per chiarire l’alternarsi di una personalità all’altra nel successo ottenuto fra i mortali. Il suo occhio guardava al mondo ultraterreno mentre decideva il silenzio sulle novità introdotte dai due grandi artisti. Nelle due miniature a penna e colore di Cimabue rappresentanti i santi Abbondio e Crisante, ritagliate e applicate ad un tabernacolo-reliquiario, le figure mantengono la frontalità e staticità tradizionali bizantine ma manifestano una volumetria inedita, ripresa poi nella cosiddetta Madonna di Castefiorentino, un’opera arricchita da una gestualità affettuosa ancora poco praticata nell’arte medievale.

Questa ricerca spaziale e volumetrica insieme all’indagine sul mondo delle emozioni calate in un contesto più prossimo al vero diventa il fulcro della ricerca del nuovo astro nascente Giotto: nella Madonna di San Giorgio alla Costa la monumentalità della figura e l’evidenza tridimensionale superano in fretta il mondo simbolico bizantino mentre i quattro santi del Polittico di Badia creano un’alleanza emotiva con lo spettatore attraverso un semplice gioco di sguardi. Da Firenze – su cui è incentrata la prima sezione della mostra ravennate – a Roma, prima del forzato esilio, Dante avrà la possibilità di vedere non solo i lavori di Arnolfo ma anche le ricerche di Jacopo Torriti, un artista senese di formazione romana che preparava la stessa rivoluzione volumetrica già imbastita a Firenze da Cimabue.

Dopo Roma, sono le ricche città del nord e del centro ad ospitare l’esule, rette da signori che fanno delle arti un mezzo per essere ricordati dai posteri. Dopo i forlivesi Ordelaffi – al cui periodo rimanda un trittico con le Storie della Vergine realizzato dal Maestro di Forlì nell’ultimo decennio del ‘200 – sono gli Scaligeri di Verona ad accoglierlo per due volte, nel 1303-04 e poi nel 1313-18. Per la città si tratta di un momento di forte rilancio artistico segnato dalla produzione di tessuti, oreficerie, dipinti e sculture fra cui si distingue il Cristo crocefisso del Maestro di Sant’Anastasia: qui l’urlo del dio morente si unisce ai volti sfigurati e quasi grotteschi della Vergine e san Giovanni in un linguaggio quasi vernacolare che mantiene intatta una potente forza espressiva.

Per quanto volutamente silenzioso sugli accrediti dell’arte di questi tempi, Dante si reca a Padova proprio nel momento in cui Giotto finisce le pagine indimenticabili della Cappella degli Scrovegni, potenti per il realismo inedito che coinvolge l’analisi dello spazio, delle espressioni, dei contesti urbani e naturali. L’avvolgente mondo giottesco non passa inosservato a Francesco da Barberino, letterato amico di Dante che con lui condivide la stessa sorte dell’esilio da Firenze e che incontra proprio a Padova. In mostra è il suo prezioso Offiziolo, attualmente il più antico Libro d’Ore italiano che si conosca, in cui Francesco cita per la prima volta la Commedia: le preziose miniature del codice – affidate a maestri romagnoli e veneti – si alimentano delle forti suggestioni della Commedia mentre studiano e riprendono le novità giottesche appena introdotte nel ciclo padovano.

Ma per il poeta il successo degli uomini non è che un sole che tramonta sul sorgere di un successivo astro nascente: anche il soggiorno a Bologna (1304-06) e la conoscenza del lavoro di un grande miniatore – Oderisi da Gubbio – diventa un motivo di appunto morale nel ritenere la sua fama superata nel breve spazio di una generazione dalla bravura di Franco bolognese. L’arte della miniatura – con prestiti eccezionali come la Bibbia proveniente dall’Escorial di Madrid – è quindi centrale nella sezione dedicata alla città felsinea che fra Due e Trecento gareggia con Parigi proprio per questa preziosa produzione specialistica.

Di nuovo girovago fra la Marca Trevigiana, la Lunigiana, il Casentino, poi Lucca e Pisa, Dante ritorna ad ammirare le opere dei grandi scultori toscani come Nicola e Giovanni Pisano. E’ una scelta di campo a favore delle arti plastiche che più volte vengono meglio considerate nella Commedia a discapito delle altre tecniche artistiche. Di Nicola in mostra è il calco della lunetta con la Deposizione dalla Croce proveniente da Pisa mentre del figliolo si può ammirare la personificazione della Giustizia, eseguita per il monumento funebre di Margherita di Brabante, moglie di Enrico VII di Lussemburgo, incoronato imperatore col nome di Arrigo VII. Proveniente da Genova dove Margherita muore nel 1311, la scultura rende le fattezze reali della imperatrice, venerata come una santa per le sue virtù mostrate in vita, ripresa nell’ancheggiamento suggerito dalle tendenze della scultura francese. Due anni dopo la morte della moglie, anche l’imperatore scompare e con lui tutti i sogni di Dante di vedere ristabilita in Italia una pace duratura fra le fazioni sotto l’egida imperiale.

L’ultima sezione della mostra è dedicata a Ravenna – dove il poeta giunge nel 1319 ponendosi al servizio del benevolo signore Guido Novello da Polenta – così come a Venezia che proprio in questi anni comincia ad stringere i rapporti con la città romagnola in previsione del futuro controllo. Ravenna non può competere con le corti venete per commissioni artistiche anche se la presenza di opere di Giovanni, Giuliano e Pietro da Rimini sottrae la cittadina ad una eccessiva marginalità artistica consegnandole alcune rivisitazioni delle novità giottesche fra slanci espressivi e alcune semplificazioni linguistiche. Venezia invece prepara il suo salto artistico da qui a pochi decenni ma l’esule, al lavoro come diplomatico in laguna, non avrà tempo di accorgersene finendo i suoi giorni in una notte di settembre del 1321. Sepolto nella Cappella della Madonna lungo il muro del convento francescano, sulle sue spoglie mortali vigilava una splendida Madonna col Bambino, una scultura realizzata tra la fine del Due e l’inizio del Trecento, oggi tornata a Ravenna grazie al Louvre, che omaggia il poeta con questo prestito eccezionale.

Le arti al tempo dell’esilio; fino all’11 luglio 2021; Chiesa di San Romualdo (via Baccarini e via Rondinelli), Ravenna; orari: 9/18, chiuso lunedì.

 

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