Mattarella tiene a battesimo l’anno dantesco fra la tomba e piazza San Francesco

Il Presidente della Repubblica ha inaugurato a Ravenna il sacello di Dante appena restaurato. Il discorso del sindaco De Pascale LE FOTO

Mattarella De Pascale Dante Come da protocollo, con una visita a Ravenna del tutto riservata a poche autorità, peraltro rigorosamente “bardate” con le mascherine anti-covid, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha tenuto a battesimo le celebrazioni per il settecentenario della morte di Dante Alighieri. Ha “tagllato il nastro“ dell’appena restaurata tomba del Poeta  e partecipato al concerto e al recital dell’attore Elio Germano in una piazza San Francesco praticamente “blindata” per motivi di sicurezza e dedicata solo alla presenza di rappresentanti del Governo e delle istituzioni e pochi invitati, fra cui i sindaci delle città di Firenze e Verona.
I cittadini ravennati hanno affollato invece la platea allestita in piazza del Popolo con un grande schermo per assistere alla cerimonia inaugurale in diretta video.

Mattarella non ha rilasciato nessuna dichiarazione ufficiale mentre per l’occasione, il sindaco di Ravenna Michele De Pascale, ha rivolto alla platea un discorso inaugurale per l’anno dantesco, che riportiamo integralmente.

«Signor Presidente della Repubblica, gentili ospiti, è un immenso onore per la Città di Ravenna aprire ufficialmente le celebrazioni per il Settimo Centenario della morte di Dante e vi ringrazio di cuore uno ad una per aver accettato il nostro invito a essere presenti nelle piazze della nostra città o ad assistere a distanza a questa cerimonia.
In particolare però mi permetterete un saluto e un ringraziamento particolare al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Presidente, grazie di cuore, a nome di tutti i cittadini e le cittadine del Comune e della Provincia di Ravenna per essere nuovamente qui con noi in questo momento così importante nella storia della nostra città e ancora una volta grazie per l’ennesimo altissimo servizio che ha saputo dare al nostro Paese in questi dieci mesi che ci separano dalla sua ultima visita a Ravenna, sicuramente fra i più complessi dell’Italia Repubblicana.
Siamo tutti consapevoli dell’immenso onore che ci viene offerto nel celebrare il più grande poeta che la cultura occidentale abbia saputo esprimere, il padre della lingua italiana.
Dante il poeta, il teologo, lo storico, il filosofo e il politico, ma anche Dante l’uomo, con la sua sofferenza e il suo cammino verso la salvezza, e Dante il simbolo, proiettato fuori dal suo tempo e, spesso piegato, alle esigenze, nobilissime o tragiche, della contemporaneità.
Ogni riflessione sulla vita di Dante è ricchissima di interesse ma, su ogni altra chiave di lettura, si staglia il Poeta con la sua Poesia e, parafrasando il poeta Orazio, solo la Poesia, fra le arti, può ergere monumenti “più eterni del bronzo”.

La poesia di Dante, dopo settecento anni non solo non è minimamente scalfita nel suo fascino e nella sua attualità, ma la sua fama si è diffusa nei secoli in ogni angolo del pianeta, con oltre sessanta traduzioni, che hanno coinvolto poeti e traduttori di fama mondiale, rendendo la Commedia l’opera poetica più amata e conosciuta del mondo.
Ma nemmeno questo fiume poetico in decine e decine di lingue ha intaccato l’amore e la curiosità di cimentarsi con il testo originale e questo fa sì che, nei secoli, ma anche oggi, si studi la nostra lingua con il desiderio di poter apprezzare l’opera del Poeta.
L’opera di Dante, e in particolare la Commedia, non si pone esclusivamente una finalità estetica o morale, ma reca in se l’urgenza dell’esperienza concreta affinché anche nell’abisso della fragilità il nostro essere pellegrini sia un cammino di salvezza.
Ovviamente le terzine dantesche ci conducono poi nell’Italia e nell’Europa tardomedievale, nelle sue dispute fra potere temporale e potere spirituale, nel procedere dei canti fino all’incontro con l’anima beata di Giustiniano, dove emerge con forza la visione politica dantesca del suo tempo.
È evidente che alle nostre orecchie suona dolorosa, “L’invettiva all’Italia”, vista serva e priva di nocchiere durante una tempesta, con le proprie città armate l’una contro l’altra e, spesso, anche al loro interno.
Ma quella denuncia, nei secoli diventa poi fonte d’ispirazione per generazioni di intellettuali, artisti e patrioti e se il rinascimento trae forte ispirazione dall’opera di Dante, il Risorgimento eleva Dante a simbolo dello spirito che ci regala finalmente l’Italia riunificata, basti pensare al clamore legato al ritrovamento delle ossa di Dante a Ravenna nel 1865.
Vengono poi gli anni bui dove ai valori patriottici dell’Ottocento, vanno sostituendosi i disvalori di supremazia nazionalistica propagandati dal Fascismo che erge Dante a uno dei simboli dell’italianità, e che promuove significativi investimenti qui nella zona dantesca.
Ma l’appropriazione indebita in questo caso fallisce, l’amore per Dante degli italiani, supera qualsiasi barriera e a simbolo di questo, voglio ricordare Gino Gatta, Zalét, primo Sindaco eletto dopo la liberazione, che, in un Ravenna semidistrutta, mentre sistema i senza tetto nell’ex caserma Garibaldi o si preoccupa di fornire latte e farmaci alla popolazione, da immediato riavvio alle letture dantesche.
L’Italia, serva e divisa ai tempi di Dante, ha saputo, con tante difficoltà, nei secoli dimostrare che non aveva torto Giuseppe Mazzini nel ritenere che “la terra che ha fecondato un’anima così potente (quella di Dante) è terra singolare e cova una vita che non può spegnersi”.
Ma il Dante poeta ci offre anche, come solo la sua poesia sa fare, la sofferenza del Dante uomo, per il dramma dell’esilio: “Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle /lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”.
È difficile immaginare una nostalgia più forte di quella che si può nutrire per una città meravigliosa come Firenze, ma l’esilio politico di Dante, anticipa il destino di milioni di italiani che nel secolo scorso sono stati esuli in tutto il mondo e hanno portato con se la lingua, l’opera e l’amore per Dante. Molti di loro e dei loro discendenti, insieme a tanti altri cittadini italiani all’estero per ragioni di studio o di lavoro possono seguire in diretta questa serata grazie alle moderne tecnologie e al prezioso lavoro degli Istituti di Cultura Italiana all’estero che hanno promosso l’apertura ufficiale delle celebrazioni. A loro va il nostro saluto e il nostro pensiero, in fratellanza con tutti i popoli del pianeta che vivono oggi il dramma dell’esilio per ragioni politiche, sociali o economiche.
Dalla tragedia dell’esilio però, come spesso accade, nasce la fortuna delle città che Dante incontra nel suo cammino, tutte meravigliosamente operose in questo anno a celebrarlo, e in particolare quella di Ravenna, che da settecento anni ne ospita le spoglie mortali.
Dante trova qui l’ultimo rifugio, protezione, amicizia, ma soprattutto ispirazione, attraverso lo straordinario patrimonio musivo dell’antica capitale, per la composizione del Paradiso. Era la Ravenna di Guido Novello da Polenta, signore illuminato, e di Rinaldo da Concorezzo, arcivescovo di Ravenna, che, nel celebre processo in cui assolve i Cavalieri Templari, primo in Europa, condanna la Tortura.
Proprio in questa piazza nel Settembre del 1321 la città celebrò le esequie di Dante, rientrato malato e moribondo da un viaggio a Venezia attraverso le terre del Delta del Po. Ma quel tributo non fu “ultimo”, come si suole dire, perché da quel giorno la presenza di Dante a Ravenna è quanto mai viva ed emozionante.
Lo sono sicuramente gli interventi architettonici che nei secoli si susseguono per la Tomba del Poeta, ora restituita all’immagine più prossima possibile che le volle donare Camillo Morigia nel 1780, e per tutta la zona dantesca, fino alla Biblioteca Classense, ma ancora di più è viva l’ispirazione che Dante offre a generazioni di intellettuali ed artisti e il sentimento di amore per il Poeta che si tramanda di generazione in generazione, fino a giungere ai giorni nostri.
L’antica capitale ritrova, per tramite di Dante, la grandezza perduta nei secoli e può mostrare al mondo, oggi, cosa può significare per una comunità l’amore diffuso e potente per un Poeta, per il Poeta.
In tutta Italia, questo anno vedrà una ricchezza incredibile di eventi e celebrazioni, per noi in particolare, un nuovo Museo Dantesco, la nascita di Casa Dante, con un nuova e storica collaborazione con la Galleria degli Uffizi, il completamento della Commedia di Ravenna Festival e del Teatro delle Albe che hanno portato in scena in questi anni più di mille cittadini-attori, un fatto unico e irripetibile, e poi eventi espositivi di primissimo piano in rete con quanto avverrà in tutto il territorio nazionale, poesia, letteratura, danza musica, mosaico non ci sarà arte che nel prossimo anno non si cimenterà con Dante.
Arriveranno a Ravenna anche i più prestigiosi studiosi di Dante del pianeta grazie all’Università di Bologna che dopo aver invitato, infruttuosamente, Dante presso la sua sede tramite Giovanni del Virgilio, nel 1319, ha ben pensato, circa 650 anni dopo, di raggiungere il Poeta qui a Ravenna con il suo Campus.
Avremo anche il grande onore, insieme all’Arcivescovo Ghizzoni, di essere ricevuti, il prossimo 10 di Ottobre, da Papa Francesco, che apporrà la sua benedizione alla Croce che Paolo VI nel settimo centenario della nascita di Dante donò alla città per la Tomba del Poeta, in occasione del suo Altissimi Cantus, tutt’ora il più rilevante tributo della Chiesa Cattolica al poeta della cristianità.
Chiuderemo fra dodici mesi insieme alle città sorelle nell’amore per Dante, Firenze e Verona, con uno straordinario concerto del più grande maestro ed artista italiano del nostro tempo, il Maestro Riccardo Muti, a cui siamo riconoscenti, oltre che per la sua opera straordinaria, per il continuo monito a difesa della cultura italiana.
Qual è quindi la via giusta per onorare Dante a 700 anni dalla sua morte? Se lo chiese anche Benedetto Croce un secolo fa, in occasione del sesto centenario, e proprio da Ravenna, ci ha indicato una via che risulta quanto mai attuale anche oggi:
La conclusione, insomma, è che il più alto e vero modo di onorare Dante è anche il più semplice: leggerlo e rileggerlo, cantarlo e ricantarlo, tra noi e noi, per la nostra letizia, per il nostro spirituale elevamento, per quell’interiore educazione che ci tocca fare e rifare e restaurare ogni giorno, se vogliamo “seguir virtute e canoscenza”, se vogliamo vivere non da bruti, ma da uomini. E da donne
Viva Dante, Evviva l’Italia!».

Servizio fotografico di Massimo Argnani

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