Il fantastico di “Prodigy Kid”, narrazione rizomatica di Pivi e Cavaliere

La mostra dei due artisti al Mar di Ravenna, in occasione della Biennale del Mosaico, è più complessa di quello che appare

Cavaliere Pivi “Atto Di Preghiera”

Francesco Cavaliere – Leonardo Pivi, “Atto Di Preghiera”

Una mostra apparentemente semplice eppure complessa quella appena inaugurata al Mar di Ravenna – come spiega fin dalle prime battute Daniele Torcellini, curatore di “Prodigy Kid” – a cominciare dal fatto che si presentano i lavori di due artisti, Leonardo Pivi e Francesco Cavaliere, che dal 2019 lavorano insieme, ma non sempre perchè continuano a operare anche in totale autonomia. A Ravenna sono quindi esposti al primo piano del Mar i loro lavori individuali precedenti alla loro collaborazione mentre al secondo quelli realizzati come insieme artistico. La complessità aumenta se si considera la distanza genera- zionale dei due artisti e dal fatto che nessuno dei due utilizza in modo esclusivo la tecnica musiva. Quest’ultimo aspetto in realtà è poco influente, anche se si tratta della mostra di rilievo della Biennale del Mosaico: chi si occupa di arte contemporanea sa che l’ibridazione e il nomadismo tecnico e linguistico è una porta varcata da molto tempo così come lo è l’esperienza di lavoro a varie mani, sdoganata ormai in tutti campi espressivi e creativi.

Detto questo, è interessante vedere i lavori dei due artisti eseguiti negli anni precedenti al loro incontro a Milano, avvenuto nell’ambito di un progetto di residenze d’artista che li ha resi da allora collaboratori simbiotici.

Leonardo Pivi si è formato negli anni ’80, in pieno dibattito postmoderno. Per quanto la sua traiettoria di lavoro sia tenuta ben salda da un immaginario onnivoro che si nutre di immagini pubblicitarie e di cronaca, tratte da fiction, videogiochi, sci-fi movie e fumetti, cartoni animati e fantascienza, e imbastardite con reperti immaginari ispirati in modo vario – dalle civiltà precolombiane ai particolari dei dipinti di Bosch, dai dipinti medievali ai Transformers –, in realtà la costante è costituita da un andamento oscillatorio: il livello delle opere si alza grazie ad esempio alla sapiente tecnica del mosaico oppure si abbassa mediante l’inserimento di materiali biologici come denti, l’utilizzazione di objets trouvés o di tecniche che mescolano cemento armato a materiali organici.
La risultante di questa oscillazione è una tensione continua interna al lavoro di Pivi, disposta a spiazzare lo spettatore con immagini conosciute – provenienti dall’infanzia o dalla memoria collettiva – ma sempre poco rassicuranti. L’emissione di un sapore sgradevole si rileva nella posa di una figura colta nell’agonia, in alcune tessere a forma di dente, nel particolare di un sesso che appare partorire un sesso opposto, nell’insieme di ossi impiegati in una scultura.
La lezione appresa dal postmoderno legittimava la possibilità di usare qualsiasi elemento dal passato – presente – futuro e constatava come dato di fatto il collasso del senso: l’esito dei lavori di Pivi porta invece in altra direzione, in territori dove si affrontano temi come il dolore, la nostalgia, la differenza, gli effetti della dimensione mediatica e la morte, soggetti carichi di senso ma recitati con un distacco adamantino. La passione c’è, ma è del tutto controllata formalmente.

Francesco Cavaliere è figlio culturale della seconda metà degli anni ’90, un periodo che apre gli orizzonti a un nomadismo espressivo e culturale che si legge fisicamente negli spostamenti abitativi dell’artista, nelle sue collaborazioni, nel modo di operare in modo concettuale trattando di politica con Lejla Hassan, attraversando poi il campo della musica come compositore e come sperimentatore performativo, in solitaria o in collaborazione – ad esempio con Tomoko Sauvage –, ampliando senza porsi limiti i media espressivi che comprendono ad oggi scrittura, disegno, scultura, allestimento, performance, calembour linguistici e opere concettuali. La passione c’è e si vede anche se i temi, meno drammatici che in Pivi, derivano semplicemente da un processo di creatività diffusa e continua, con esiti di alto e basso, di lavoro preciso o sporco, di esperimento giocoso o cerebrale.

I due artisti si incontrano a Milano e da questa sorta di illuminazione sulla via di Damasco ha inizio una collaborazione proficua che si basa su un’intesa personale, un affidamento reciproco. Come aspetti comuni si possono considerare la matrice surrealista dei lavori di entrambi, l’ispirazione condivisa a realtà, sogno e finzione, la disinvoltura nel mescolare passato, presente e futuro, nell’utilizzo di registri linguistici e tecniche diversi.

Nel primo ciclo prodotto in collaborazione dal titolo Solimandantes (esposto a Ravenna) il motivo ispiratore è stato la lettura di un romanzo di Raymond Roussel, scrittore amato da Breton e dai Surrealisti. La trama di Locus Solus – sinceramente non riducibile ad un plot coeso – dà luogo alla creazione di personaggi e oggetti che aderiscono al romanzo ma vanno contemporaneamente oltre, essendo frutto del processo immaginifico dei due artisti. Le opere che nascono da questa cascata creativa – mosaici accompagnati da titoli che sono giochi linguistici, sculture in argilla o resina – restituiscono un sistema labirintico di specchi in cui i fili conduttori sono la produzione fantastica dei due artisti e la loro attività performativa.

Analogo è il progetto ispirato all’antico mosaico riminese di epoca imperiale, integrato esso stesso nell’installazione Anubis vs Baboon del 2019. I due artisti dilatano lo spazio interno all’opera recuperando alcuni particolari naturali che si trasformano in opere autonome, realizzare in materiali plastici; producono una copia dell’originale senza rispettarne l’originale, riprendono dettagli senza vincoli di nessun tipo, o realizzano pesanti armature di terracotta (utilizzate nelle performance da Cavaliere) per proseguire un’affabulazione che ha lo scopo di coinvolgere, stupire, ammaliare lo spettatore, in una sorta di replica esperienziale di quanto è già accaduto ai due artisti.

La mostra nella mostra al Mar prende il nome di Prodigy Kid, un progetto site specific che si collega alla città. L’ispirazione infatti è data dalla storia del mostro di Ravenna, un bimbo deforme nato (forse) a Ravenna nel 1512, la cui apparizione venne interpretata come presagio al terribile saccheggio della città da lì ad un mese di distanza. L’incertezza documentaria rimescola le carte: il bimbo forse nacque a Ravenna, ma forse a Firenze o a Ratisbona, nel 1512 ma anche qualche anno prima; la creatura aveva due gambe di cui una deforme ma viene attestata anche con un solo arto inferiore, ali al posto delle braccia, doppio sesso uno accanto all’altro oppure – non si sa con certezza – uno sopra all’altro. I dubbi e i vari utilizzi dell’avvenimento in senso oracolare, religioso e politico, non fermano l’invasione di testi e immagini teratologici che irrompe in tutta Europa e trapassa dal Cinque al Seicento. L’interesse verso il mostro è testimoniata da centinaia di immagini fra cui – opportunamente messe in mostra come parte dell’allestimento – il disegno del codice Ambrosiano attribuito a Leonardo e i disegni e le stampe del bolognese Aldrovandi. Ma non è tanto la verità storica sul mostro a essere sottoposta ad analisi quanto il senso dell’immaginazione, la sua capacità di cavalcare secoli e paesi dispiegando un’indomita potenza creativa.

Per Pivi e Cavaliere, la storia, i documenti, le iconografie del passato, costituiscono uno schermo bianco su cui proiettare un’azione fantastica che può riprodurre luoghi e oggetti in cui i protagonisti redivivi narrano performativamente la loro storia ai posteri. Dalla narrazione documentaria per via rizomatica nascono mosaici di fondali occupati da alghe e animali unicellulari, sorgono mostriciattoli da videogiochi dimenticati, spuntano scenografie create da frantumazioni di conchiglie fossili, un materiale che riconferma le profondità dell’immaginazione. Le opere archeologiche esposte provenienti dal “Napoli in mostra”, a corredo di Prodigy Kid, non sono che ulteriori riprove della suggestione potentissima e incompresa del passato, della loro perfetta futilità storica, almeno qui, nel paese delle Meraviglie.

“Prodigy Kid”. Francesco Cavaliere e Leonardo Pivi; Mar Ravenna; fino a 8 gennaio 2023; orari di apertura: Mar-Sab 9-18; Dom e festivi 10-19; per aperture speciali controllare mar.ra.it; ingresso a pagamento.

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