L’emozione della Creazione del “padre della sinfonia”

Parla il Maestro Ottavio Dantone, direttore dell’accademia bizantina alle prese con l’oratorio sacro di Haydn

Ottavio DantoneL’oratorio sacro è un genere musicale poco frequentato nelle sale da concerto, tuttavia, soprattutto nel periodo compreso tra metà Seicento e l’Ottocento fu assai diffuso grazie alla sua caratteristica, ossia di descrivere e diffondere vicende bibliche. Nella XXXV edizione del Ravenna Festival ci sarà la possibilità di ascoltare uno dei più importanti oratori di tutti i tempi, Die Schöpfung (la Creazione), composto da Franz Joseph Haydn. Nella cornice della Basilica di Sant’Apollinare in Classe il 24 maggio alle 21.30 sarà l’Accademia Bizantina a interpretare questa formidabile composizione, alla cui guida sarà, come di consueto, il direttore e clavicembalista Ottavio Dantone.

Maestro, come si inseriscono gli oratori nella produzione haydniana?
«La produzione di un compositore nel Settecento dipende dalla vita che egli ha condotto. Haydn ha avuto poche commissioni di questo tipo. All’epoca, infatti, si componeva non per ispirazione, ma per committenza o per ragioni pratiche. Se gettiamo uno sguardo alla vita di Haydn si nota come fosse un musicista riverito e sostanzialmente soddisfatto della propria vita. Lavorare alla corte del principe Esterházy, poi, gli aveva aperto possibilità precluse ai più, tanto che, in seguito, poté permettersi di fare ciò di cui aveva voglia, indipendentemente dalla committenza o dalla contingenza».

Com’è la struttura dell’orchestra in questo oratorio?
«Sono impressionanti gli effetti descrittivi che Haydn riesce a ottenere: dalla creazione del Sole, del mare e di tutti gli effetti della natura grazie a questa massa orchestrale, soprattutto vista la quantità di fiati. Haydn è un maestro dell’orchestrazione, questo è evidente anche nelle sinfonie, specialmente le ultime, per le quali aveva a disposizione un’orchestra più corposa. Non per nulla viene definito come il padre della sinfonia».

Quanti sarete sul palco?
«Tanti, ma non tantissimi. Si tenga comunque in considerazione che ci saranno molti fiati, trombe, tromboni, corni, flauti, oboi, eccetera. L’orchestra composta dagli archi sarà grande, ma non enorme, sempre nell’ottica di un organico settecentesco, con sei primi e sei secondi violini per esempio. Ciò è permesso anche dal fatto che i fiati antichi hanno un impatto differente rispetto ai moderni nell’equilibrio dell’orchestra.

Capitolo cantanti. Basteranno tre cantanti per cinque ruoli?
«Certo, era prassi comune all’epoca che, soprattutto negli oratori, ci fossero cantanti che ricoprissero più ruoli. In questo caso, data anche l’esecuzione in forma di concerto, il basso e il soprano interpreteranno rispettivamente Raffaele/Adamo e Gabriele/Eva dando, così, voce sia agli arcangeli sia ai primi esseri umani».

Haydn dal punto di vista vocale, specialmente in Italia, è un po’ trascurato, non trova?
«Purtroppo, essendo tedesco lo eseguiamo meno. Nonostante sia una pietra miliare della musica, la stessa Creazione è poco eseguita. Haydn, inoltre, ha scritto diverse opere, anche in italiano, tuttavia, viene eseguito meno perché è considerato “difficile”. In realtà la sua musica ha bisogno di un approccio musicale molto attento. È talmente raffinata la sua scrittura che, se non si fa attenzione a tutte le cose interne il rischio che possa passare inosservato è dietro l’angolo».

Lavorando per il principe Esterházy Haydn aveva galantemente raffinato la propria scrittura?
«Indubbiamente. Lavorare alla corte del principe fu una grande opportunità, poi, nel periodo londinese, ebbe la possibilità di un’orchestra più nutrita con la quale la grande maestria della scrittura e dell’orchestrazione si esaltò. La mia speranza è che questa sua grandezza sia sempre più recepita».

Non è la prima volta della Creazione al Festival.
«Non lo sapevo, anche se potevo immaginarlo perché tra i brani di Haydn è tra i più eseguiti, in fondo, è un lavoro monumentale. Forse addirittura più delle stesse sinfonie che, invece, sono meno considerate rispetto a quelle di Mozart. Trovo, inoltre, che soprattutto le ultime sinfonie di Haydn, per costruzione, per idee musicali, per utilizzo dello sviluppo, siano quasi superiori a quelle di Mozart».

Visto l’argomento sacro, qual è la visione teologica che traspare da questa composizione?
«Ciò che Haydn descrive è assolutamente aderente alla dottrina dell’epoca. Quello che meraviglia è il modo in cui rappresenta musicalmente le immagini. Riesce, infatti, a donare questa solennità nella creazione degli elementi ancora prima dell’apparizione dei primi esseri umani sulla Terra. Si può dire che sia la descrittività del testo al di là del testo stesso che sorprende».

Di recente ha preso parte, in terra faentina, a un concerto insieme agli studenti della scuola di musica Sarti. Che esperienza è stata?
«Davvero molto simpatica. È stata una faticaccia arrivare perché ho inserito questo concerto tra due impegni europei, ma sono stato molto felice perché è sempre bello lavorare con i ragazzi».

Non solo Romagna, ma tutto il mondo. Quali sono i progetti futuri?
Domanda impegnativa. Tanti, tanti, tanti! Faremo con Accademia Bizantina il Vespro della Beata Vergine a Cremona, ma a luglio-agosto comincerà la residenza al festival di Innsbruck del quale sono diventato direttore per cinque anni e di conseguenza l’orchestra sarà in residenza per un lustro. In questo festival avremo l’occasione di riscoprire i compositori attivi alla corte di Vienna. In questo primo anno eseguiremo un’opera di Geminiano Giacomelli, che oggi pochi conoscono, ma che all’epoca era assai stimato tanto che nel pasticcio Bajazet di Vivaldi le arie più belle sono proprio quelle composte da Giacomelli. Poi, nei prossimi anni, eseguiremo musica di Antonio Caldara e Antonio Cesti scoprendo titoli, non a caso, ma per dimostrare che esistono tantissimi capolavori ancora tutti da ritrovare».

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