L’arte come decolonizzazione dello sguardo. Al Mar la “testa” di Victor Fotso Nyie Seguici su Telegram e resta aggiornato All’interno del progetto curato da Giorgia Salerno, l’allestimento di una scultura dell’artista camerunense i cui riferimenti amplificano il percorso identitario nei confronti del proprio paese Da decenni il tema dell’alterità ha avuto e mantiene una posizione centrale nella cultura ravennate: chi è l’altro è la domanda di partenza che definisce per logica e reciprocità chi sono io. Fin dalla fine degli anni ‘80, il Teatro delle Albe, oggi Ravenna Teatro, inizia una collaborazione stabile con alcuni artisti e griot senegalesi: da questo sguardo incrociato e strabico fra Romagna e Africa – praticato mediante uno stretto confronto dialogico fra tutti gli attori della compagnia sotto la guida di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari – sono nati spettacoli indimenticabili, fra cui Ruh. Romagna più Africa uguale, Siamo asini o pedanti, I ventidue infortuni di Mor Arlecchino. Mandiaye N’Diaye, indimenticabile attore della compagnia e poi regista, dopo anni di lavoro e di visibilità internazionale ha avviato diversi progetti artistici anche in Senegal, producendo spettacoli in collaborazione con le Albe, Ravenna Festival e il Camerun. Scomparso purtroppo ancora giovane, oggi sono gli attori di Ravenna Teatro e altri di nazionalità senegalese a continuare la relazione e la creazione di spettacoli teatrali presso il KËR Théâtre Mandiaye N’diaye nato nella periferia di Dakar. Altri ambiti culturali hanno seguito questo percorso di decolonizzazione dello sguardo, una parola praticata a Ravenna prima ancora del suo utilizzo più recente in ambito culturale e dell’avviamento di pratiche di decostruzione degli sguardi: sia la musica – vedi la bellissima rassegna Transcaucasia di Franco Masotti per Ravenna Festival – che la letteratura, attraverso ad esempio i numerosi e interessanti testi prodotti da Tahar Lamri. Anche le arti visive in passato si sono fatte carico di questa ricerca: agli inizi del nuovo millennio il progetto espositivo no border – costruito all’interno della programmazione del Mar – ha prodotto mostre in cui risultava prioritaria la reciprocità degli sguardi, spinti fino all’indagine reciproca degli stereotipi proiettati da una cultura sull’altra e viceversa. Nell’edizione del 2002 erano presenti a Ravenna, oltre ad artiste italiane, altri e altre provenienti da Albania, Bosnia, Nigeria e Ghana. Fra questi una giovane e già bravissima Fatimah Tuggar, che abbiamo rivisto ospite l’anno scorso alla Biennale di Venezia. In linea quindi con questa apertura che ha radicato a Ravenna da più di tre decenni in netto anticipo rispetto a molti altri territori italiani, vediamo l’attuale progetto di Spazio neutro a cura di Giorgia Salerno, allestito in una sala a pianoterra del Mar. Dopo l’interessante allestimento di Diego Miguel Mirabella, si è recentemente inaugurata la personale di Victor Fotso Nyie (1990), artista camerunense legato ormai da anni al nostro territorio. Dopo una prima formazione artistica in una scuola d’arte italiana in centro Africa, nel 2013 Fotso Nyie ha iniziato a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Ravenna, anticipando e proseguendo la sua grande passione per la ceramica a Faenza. Il progetto Io sono l’altro presentato al Mar ospita l’allestimento di una grande testa scultorea installata sopra un basamento di mattoni operati e un tappeto di argilla, due materiali che possiedono una forte attrattiva per l’artista. L’argilla è per lui una materia organica e viva che mantiene una forte malleabilità espressiva. A Fotso Nyie piace pensare che nelle sculture continuino ad abitare le forze ed energie messe in campo grazie al lavoro creativo, le stesse che possono entrare in contatto con lo spettatore. Per portare questi campi energetici a una dimensione non solo simbolica, in un angolo è stato reso disponibile al pubblico un blocco di argilla non lavorata che potrà essere manipolata dal pubblico e che verrà restituita per essere riutilizzata in un’altra opera futura. Il basamento di mattoni mantiene invece la sua portata di allusione a un processo di ricostruzione, una parola che entra in rapporto dinamico con la questione identitaria: entrambi i concetti risultano importanti per numerosi intellettuali africani – sia che operino nei campi dell’arte, della letteratura, dell’architettura – allo scopo di decolonizzare gli immaginari stereotipi che l’Occidente ha calato sulle culture del continente africano. La ricostruzione di un immaginario proprio – libero anche dai limiti del Modernismo di un Occidente che spesso ha collaborato alla ricostruzione dei paesi africani in epoca postcoloniale – è un’opera ancora in corso e che ha bisogno di una forte attività di indagine, di decostruzione e rilettura della propria storia e cultura. I basamenti di mattoni per questo mostrano fessure come ferite, cicatrizzate in oro, un espediente che evidenzia visivamente le rotture e le difficoltà di un’opera autonoma di ricostruzione. Di queste ne parla anche il giornalista e scrittore di origine nigeriana Dipo Faloyin nella sua recente pubblicazione L’Africa non è un paese. Istruzioni per superare luoghi comuni e ignoranza sul continente più vicino, dove ripercorrendo la storia recente di numerosi stati africani propone una rilettura della storia delle ferite e dei meccanismi di funzionamento del colonialismo e delle sue eredità, attive ancora oggi. Al Mar, Fotso Nyie riutilizza il proprio viso nella testa presentata al museo, realizzata in ceramica imitando l’argilla cruda, esasperandone l’espressività fra riso e pianto in una sorta di rimando – consapevole o no – alle teste di Franz Xaver Messerschmidt. Il legame col continente di provenienza, in questo viaggio a ritroso verso le proprie radici, viene testimoniato dall’inserimento sopra alla testa di varie piccole sculture provenienti dal Camerun, dal Gabon, dalla Costa d’Avorio, ritrovate o reperite nei mercatini dall’artista. I riferimenti amplificano quindi il percorso identitario nei confronti non di un paese – quello unico, appiattito e sterminato che immaginano gli occidentali – ma di un intero continente che, come ricorda di nuovo Faloyin, è abitato invece da numerosi popoli che parlano più di 2.000 lingue e che possiedono storie, usanze e tradizioni molto diverse fra loro. Victor Fotso Nyie. “Io sono l’altro”; Ravenna, Mar, fino al 2 giugno; orari: ma-sa 9-18; do 15-19; festivi 10-19; ingresso compreso nel biglietto del museo Total0 0 0 0 Forse può interessarti... La caffetteria del Mar va alla società del Mercato Coperto. Aprirà anche di sera La Classense presenta la versione aggiornata della sua collezione digitale Salgado al Mar, la fotografia di un mondo senza salvezza Seguici su Telegram e resta aggiornato