Gli autotrasportatori con l’offshore E in un video Eni la vita in piattaforma

Il comitato provinciale dell’autotrasporto (Cuar): «L’equilibrio prevalga
sull’emotività». Quattro dipendenti della multinazionale si raccontano

La crisi della cantieristica e dell’impiantistica collegata all’attività di estrazione delle risorse energetiche rischia di aggravarsi in caso di vittoria del si al referendum del 17 aprile sul prolungamento delle concessioni entro le 12 miglia. È la preoccupazione del comitato unitario dell’autotrasporto (Cuar) in provincia di Ravenna che interviene nel dibattito attorno alla consultazione referendaria che chiederà agli italiani di abrogare la legge che consente di prolungare le concessioni di estrazione entro le dodici miglia anche oltre le scadenze attuali fino all’esaurimento dei giacimenti. Se vincesse il sì «ci sarebbe un blocco ulteriore dell’attività di sfruttamento dei giacimenti a mare».

Gli autotrasportatori sottolineano che 
«le aziende offshore sono una parte insostituibile del tessuto economico del nostro territorio e intendiamo sostenere il loro sforzo per continuare a essere un valore aggiunto dell’economia nazionale, superando questo momento di difficoltà. L’equilibrio deve prevalere sull’emotività: invece di proporre soluzioni traumatiche, cioè mettere in difficoltà un settore con migliaia di occupati senza avere un’alternativa pronta, è meglio procedere per gradi».

Serve una exit strategy graduale: «Anche se bloccassimo le estrazioni di gas non potremmo essere già domani autonomi per il nostro fabbisogno di energia grazie alle rinnovabili. Per questo serve definire un percorso ragionevole, un ‘governo della transizione’ che ci permetta di passare gradualmente dall’uso di fonti fossili a quello di fonti rinnovabili. È una strada obbligata soprattutto se vogliamo che i territori dell’Alto Adriatico restino competitivi».

Tutto soprattutto, secondo il Cuar, per questioni lavorative: «Le aziende di questo importante comparto economico del nostro territorio, grazie all’elevato tasso di innovazione raggiunto, riescono a dare una fondamentale risposta all’occupazione e all’indotto romagnolo e regionale». È quindi «giusto appoggiare le ragioni delle oltre 100 aziende ravennati che a diverso titolo sono impegnate nell’estrazione di gas in mare. Stiamo parlando di un’attività che nel ravennate dà lavoro a oltre 6.500 persone e che, a causa del calo del prezzo del petrolio, dell’incertezza derivante da un vuoto normativo e del taglio agli investimenti delle compagnie oil&gas nell’ultimo semestre del 2015, ha perduto 900 posti di lavoro. E Le stime per il 2016 non sono migliori: si potrebbe verificare contrazione di occupati di circa 2.500 addetti e la perdita di un miliardo di fatturato. Questi numeri sono sufficienti a comprendere quale sarebbe l’impatto negativo sul benessere e sul welfare del territorio: il settore nel 2014, solo a Ravenna, contava quasi 7.000 addetti e sviluppava un fatturato di più di 2 miliardi e 35 milioni di euro».

Intanto i canali social della multinazionale Eni ripropongono un video che mostra la vita in piattaforma dei lavoratori. Quattro storie di quattro uomini che ruotano attorno alla base Eni di Marina di Ravenna, tra terra e mare: «Un mondo complesso dal punto di vista ambientale e tecnologico, in cui è fondamentale il rispetto delle norme di sicurezza e la collaborazione continua tra le persone, ma anche l’occasione per conoscersi e condividere esperienze diverse».

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