Greenpeace: «Le trivelle inquinano». Eni: «Gas estratto rispettando l’ambiente»

L’Ong ambientalista segnala anche superamenti nei monitoraggi delle cozze raccolte sulle piattaforme. Il Paguro smentisce

«Le trivelle sono impianti inquinanti: dove esistono dei limiti di legge da rispettare risulta che buona parte delle piattaforme offshore non rispetta tali limiti». Nel vasto dibattito nato attorno alle estrazioni in mare, in vista del referendum del 17 aprile sulla durata delle concessioni entro le dodici miglia, interviene anche Greenpeace e lo fa diffondendo un rapporto (scaricabile in versione integrale dal link in fondo alla pagina) che prende in considerazioni i dati richiesti e ottenuti dal ministero dello Sviluppo economico (Mise). Ma alla posizione espressa dalla Ong ambientalista risponde direttamente Eni, proprietaria delle piattaforme oggetti delle analisi: «Non vi sono criticità per l’ecosistema marino riconducibili alle attività di produzione di idrocarburi in nessuna delle matrici ambientali monitorate» (anche la nota integrale di Eni è in fondo alla pagina in formato pdf).

A luglio Greenpeace ha richiesto al Mise i dati 2012-13-14 relativi ai monitoraggi ambientali effettuati in prossimità delle piattaforme offshore nei mari italiani. Delle oltre 130 piattaforme operanti sono stati consegnati a Greenpeace solo i dati relativi ai piani di monitoraggio delle piattaforme attive in Adriatico che scaricano direttamente in mare, o iniettano/reiniettano in profondità, le acque di produzione. Si tratta di 34 impianti (33 nel 2012 e 2014) che estraggono gas, tutti di proprietà di Eni. I monitoraggi sono realizzati da Ispra (l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, un istituto di ricerca pubblico sottoposto alla vigilanza del Ministero dell’Ambiente) con la committenza di Eni e prevedono analisi chimico-fisiche su campioni di acqua, sedimenti marini e mitili (le comuni cozze) che crescono nei pressi delle piattaforme. «Dal lavoro di sintesi e analisi di questi dati emerge un quadro per lo meno preoccupante». Ad esempio, dice Greenpeace, «l’analisi della presenza di sostanze chimiche, tossiche e pericolose per la salute nei tessuti delle cozze raccolte in prossimità delle piattaforme ha mostrato evidenti criticità».

«A seconda degli anni considerati, il 76 percento (2012), il 73,5 (2013) e il 79 (2014) delle piattaforme presenta sedimenti con contaminazione oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. Tra i composti che superano con maggiore frequenza i valori definiti dagli Standard di Qualità Ambientale (o Sqa, definiti nel DM 56/2009 e 260/2010) fanno parte alcuni metalli pesanti e alcuni idrocarburi». La risposta di Eni delinea invece un quadro diverso: «È necessario precisare che i limiti presi inconsiderazione da Greenpeace per le sostanze oggetto di monitoraggio non rappresentano limiti di legge definiti per valutare l’eventuale inquinamento derivante da una specifica attività antropica. Tali valori sono utilizzati da Ispra come riferimento tecnico nelle relazioni di monitoraggio dell’ecosistema marino circostante le piattaforme unicamente per valutarne le eventuali alterazioni, sulla base di un confronto con standard di qualità utilizzati per aree incontaminate. I limiti presi a riferimento da Greenpeace, ossia gli Standard di Qualità Ambientale, sono utilizzati per definire una classificazione comune a livello europeo circa lo stato di salute di un ambiente incontaminato in corpi idrici superficiali e riguarda, pertanto, le acque marine costiere all’interno della linea immaginaria distante 1 miglio nautico (circa 1,8 km) dalla linea di costa, mentre tutte le 34 piattaforme, oggetto dell’analisi, sono ubicate ad una distanza dalla costa compresa tra 6 miglia (10,5 km) e 33 miglia (60 km). Circa quanto riportato da Greenpeace sull’inquinamento da idrocarburi nel Mediterraneo, è utile ricordare che studi effettuati da Università e Istituti scientifici evidenziano che per il 60 percento tale inquinamento deriva da scarichi civili e industriali e per il 40 percento dal traffico navale, che riversa in mare circa 150.000 ton/anno di idrocarburi. Insignificante, invece, l’apporto dell’attività petrolifera (meno dello 0,1 percento)».

C’è poi il capitolo cozze. «Gli inquinanti monitorati sono tre – scrive Greenpeace –: mercurio, esaclorobenzene ed esaclorobutadiene. Di queste tre sostanze solo il mercurio viene abitualmente misurato nei mitili nel corso dei monitoraggi ambientali. I risultati mostrano che circa l’86 percento del totale dei campioni analizzati nel corso del triennio 2012-2014 superava il limite di concentrazione di mercurio identificato dagli Sqa». Ma anche su questo aspetto Eni respinge le accuse e a questa posizione si allinea quella di Giovanni Fucci, presidente dell’associazione Paguro: «La Cooperativa Pescatori di Ravenna è autorizzata alla raccolta e commercializzazione delle cozze per uso alimentare da parte della Regione Emilia Romagna ed i molluschi sono soggetti a continui controlli da parte della Asl sulla componente biologica, metalli e idrocarburi, prima dell’autorizzazione all’immissione sul mercato. La normativa sanitaria prevede analisi molto specifiche e dal 1991 vengono realizzate ogni anno circa 900 analisi per tutti gli impianti di allevamento mitili e piattaforme offshore presenti sul territorio regionale. Ispra confronta i risultati delle analisi sui mitili prelevati dalle piattaforme con le analisi effettuate su mitili cresciuti in aree incontaminate (Portonovo). Alla luce di tale confronto, sebbene i mitili che nascono sui piloni delle piattaforme presentino in alcuni casi concentrazioni di alcuni parametri superiori a quelli prelevati in aree incontaminate, Ispra conclude sulla base di anni di analisi che l’effetto sugli ecosistemi marini prossimi alle piattaforme non è significativo. Si può escludere che i mitili provenienti dalle piattaforme e commercializzati comportino alcun tipo di rischio per la salute delle persone».

Addirittura Fucci, presidente cooperativa allevamento mitili in mare, si spinge oltre: «Tutto il rapporto è costruito non su dati reali, rilevamenti effettuati, ma su congetture ed ipotesi pseudoscientifiche tese a dimostrare una loro verità. Le norme per la raccolta e/o l’allevamento dei mitili è soggetta a precise norme di carattere sanitario Reg.CE 852, 853, 854 del 2004 che prevedono specifiche analisi, metodi, tempi ed in particolare: settimanalmente prelievo di campioni di molluschi per effettuare analisi delle biotossine (Psp, Asp, Acido okadaico, Yessotossine, Azasparacidi); mensilmente prelievo di campioni di molluschi per analisi batteriologiche (Escherichiacoli, Salmonelle); semestralmente prelievo di campioni di molluschi per effettuare analisi chimiche (piombo, mercurio, cadmio). In presenza di risultati positivi viene emanato dalle autorità l’immediato divieto di raccolta e commercializzazione del prodotto per il consumo umano, servono almeno due ulteriori referti negativi per riprendere la raccolta del prodotto. La frequenza dei campionamenti, in presenza di positività, viene dimezzata. In 24 anni di campioni ed analisi per il rilevamento della presenza di prodotti chimici nelle cozze delle piattaforme offshore, solo nel 2015 è stato rilevato uno sforamento del valore di piombo presso una monotubolare (in attesa di ulteriori analisi), per tutte le altre analisi i parametri sono stati entro i limiti di legge e della normativa sanitaria nazionale e comunitaria in materia».

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