A parte qualche eccezione, molto del mondo lavorativo che ruota intorno al cosiddetto settore Ict (Information Communication Technology) è “catalogabile” come artigianato digitale. Non a caso Cna è tra i sindacati di impresa che ne associa di più: 265 imprese (tra cui molte sono quelle individuali) oltre a più di un centinaio di cosiddette “partite Iva”, ossia liberi professionisti. Un mondo in continuo mutamento dove gli osservatori raccontano di aziende che faticano a crescere e restare sul mercato, dove non sono mancate vere e proprie “polverizzazioni”.
Il responsabile per Cna è Nevio Salimbeni che ci spiega: «È un settore che ha vissuto una fase di crisi e ora però sta vedendo segnali positivi: fa numeri economicamente interessanti, ma è difficile da descrivere con esattezza perché è in continuo mutamento. Ciò a cui abbiamo assistito in questi anni è una continua rimodulazione delle aziende, scioglimenti, riduzioni, tanti che si sono messi in proprio per ridurre i costi. Si tratta di un settore dove fondamentali sono le competenze del singolo e le specializzazioni, ma dove purtroppo il mercato, almeno qui, è ancora vittima dell’idea che l’informatica si possa anche gestire con un “fai da te”, magari con l’aiuto dell’amico e del cugino. Per questo come Cna abbiamo lavorato molto sull’alfabetizzazione informatica delle imprese non del settore per cui tuttavia la digitalizzazione è fondamentale. Per le imprese del settore stiamo lavorando e incentivando il più possibile l’idea di rete, proprio per sopperire alla mancanza di grandi aziende strutturate, e troppo costose. Oggi diverse competenze devono unirsi in una rete per offrire al mercato un servizio completo e complesso di cui c’è bisogno». E che, però, par di capire, deve rimanere a costi molto bassi e quindi non permette lo sviluppo di aziende di dimensioni maggiori. «Purtroppo i margini sono sempre più ridotti, per questo la rete di imprese è uno strumento valido; non possiamo limitarci a dire alle aziende che devono crescere, ci vuole una cultura d’impresa più aperta e dinamica dove la collaborazione sia di casa. Senza contare che anche in questo settore scontiamo la provincia, e che non siamo riusciti a trattenere qui tanti talenti, perché manca il tessuto in cui crescere».
Aiuti dalle istituzioni? «In quasi tutti i bandi c’è anche una voce che parla di digitalizzazione, ma al momento non ce ne sono aperti di specifici. Eppure ne servirebbero, per incentivare le reti anche tra piccole aziende, e anche per grandi infrastrutture più aggiornate e veloci per la trasmissione dati perché scontiamo un grave ritardo come Paese: spesso le aziende devono sostenere questi importanti costi in proprio per poter competere globalmente». E a livello locale, una smart city cosa dovrebbe fare per le aziende dell’Ict del territorio? «Intanto sarebbe bene capire cosa si intende esattamente per smart city, una riflessione che vada oltre i semafori sincronizzati e si occupi delle connessioni sociali di una comunità. Intanto, di concreto ma non trascurabile, ci potrebbe essere un coordinamento maggiore dei progetti di continuità scuola-lavoro e di formazione per le startup perché queste aziende Ict sono tra le più consapevoli del valore della formazione».