Itway, sbarco in Iran da 200 milioni Il presidente: «Merito anche di Renzi»

Farina è il fondatore del gruppo di Ict: «Non ho ancora deciso
per chi votare a Ravenna ma di sicuro non andrò al mare»

Alla parete della sala riunioni della sede di Itway a Fornace Zarattini, il quartiere generale di un gruppo che fattura 100 milioni di euro all’anno nel settore delle tecnologie di informazione e comunicazione (Ict), c’è una mappa geografica particolare. Illustra il mondo Itway: ci sono il Mare dello Sviluppo e l’Oceano della Crescita. Ma sono quelle del Golfo Persico le acque che il gruppo ha solcato per siglare un contratto da 200 milioni di euro nei prossimi cinque anni: la filiale di Dubai è stata infatti un avamposto strategico per lo sbarco in Iran in occasione dei recenti accordi promossi anche grazie alla mediazione del Governo Italiano che ha visto in missione in prima persona il premier Matteo Renzi. A Teheran per la firma di uno dei memorandum che compongono il pacchetto da quasi 50 miliardi c’era anche il ravennate Andrea Farina, fondatore e presidente di Itway.

Farina, il mercato iraniano è la vostra ultima espansione territoriale. Che prospettive offre?
«L’Iran è un Paese strategico di unione tra est e ovest, dove si respira un orgoglio persiano. Faceva parte dei nostri obiettivi di internazionalizzazione e grazie al nostro amministratore delegato della società di Dubai siamo venuti a sapere con un po’ di anticipo che le sanzioni sarebbero state tolte e ci siamo mossi per essere pronti al momento giusto. Ma la nostra presenza a Dubai era un posizionamento strategico per il Medio Oriente in generale dove l’informatica cresce a ritmi sostenuti e le problematiche che noi risolviamo sono molto curate».

Il Governo italiano ha fatto da apripista…
«Ho visto il presidente del Consiglio all’opera e mi ha tolto i dubbi che avevo sulla persona: molto determinato, capace di infondere sicurezza agli interlocutori, dando grande supporto e credibilità alle imprese italiane».

Parole da fedelissimo renziano. È renziano?
«Sono un industriale, se l’avesse fatto Berlusconi avrei apprezzato allo stesso modo. Apprezzo in modo incondizionato ciò che viene fatto in favore del nostro Paese, chiunque lo faccia. Certo che la relativa giovane età di Renzi è un gran vantaggio nella sua prontezza. Ma il vantaggio competitivo che abbiamo avuto nel presentarci in Iran come primo Paese occidentale lo si deve a una sensibilità della nostra politica verso quel Paese che arriva da prima di Renzi».

Ma è un industriale di sinistra o di destra?
«Mio padre diceva “Chi non è di sinistra a 20 anni è senza cuore ma chi lo è ancora dopo i 40 è senza cervello”. Naturalmente era ed è solo una battuta di spirito. Vengo da una famiglia repubblicana con grande senso dello Stato e grande laicità. Sono fra quelli che sono andati a votare alle primarie del Pd. Sono di cultura americana per cui la nascita del Partito democratico in quel momento mi faceva sperare. Ora posso dire che non tutte le ciambelle riescono col buco… ma c’è speranza per il futuro».

Il ruolo di facilitatore del Governo Renzi è una ingerenza politica fuori luogo o gli imprenditori si aspettano questo?
«È quello che ci si aspetta in politica estera».

Però abbiamo coperto le statue durante la visita in Italia di Rouhani.
«A 25 anni ero un irruento, un passionale, poco flessibile rispetto ai miei ideali e non avrei mai sopportato una cosa del genere. Adesso che ho quasi 55 anni ho storto un attimo il naso ma dopo machiavellicamente ho detto “Il fine giustifica i mezzi”: ci siamo portati a casa 50 miliardi di contratti per le nostre imprese e i nostri lavoratori e se serve copro anche il Colosseo. Il resto è una battaglia di retroguardia un po’ stucchevole».

Quindi i miliardi giustificano la copertura di un’opera d’arte…
«Leggiamolo da un’altra angolatura: In quel momento hai avuto rispetto del tuo interlocutore, cosa ben diversa. Dal punto di vista antropologico-culturale è corretto sapere chi è il tuo interlocutore e le sue sensibilità, è una forma di rispetto ed è alla base della nostra civiltà».

È credente?
«Sono laico non credente e rispetto profondamente chi crede: nasco con una cultura illuminista, razionale, liberale, liberista ma keynesiana. Alle elementari presi un libro dalla libreria di casa, mi incuriosì in quanto era antico: era Del Contratto Sociale di Rousseau. E mio padre lo spiegò con parole semplici e sinteticamente a un bambino di nove anni: “La libertà di un individuo finisce dove inizia la libertà di un altro individuo, ricordalo sempre”. Se la applicassimo tutti vivremmo molto meglio».

Se la mediazione politica a sostegno delle imprese è quello che ci si aspetta dai governi nazionali all’estero, ci si aspetta la stessa cosa da parte della politica locale considerando come estero tutto quello che sta oltre Coccolia?
«Ritengo proprio di sì. Ci dovrebbe essere un’attenzione più marcata su come favorire le nostre imprese locali a parità di condizioni perché vi è una creazione di ricchezza locale estremamente importante».

E dando un’occhiata al passato come si è comportata l’amministrazione locale?
«Gestire un territorio come questo significa creare quelle collaborazioni e cooperazioni che a volte è difficile trovare nella nomina di un assessore esclusivamente per vicinanza politica. Spesso quando leggo il curriculum di un assessore mi chiedo se l’avrei mai assunto nella mia azienda e il più delle volte mi dico di no. Sarebbe bello che il Comune si dotasse di un “Advisory Board” composto su base volontaristica e gratuita dalle teste più illuminate della città in grado di mettere al servizio del sindaco e della giunta le loro competenze. Un concetto innovativo ma abbastanza comune in diverse città americane».

Sarà capitato che vi abbiano chiesto consigli sui vostri temi…
«Quando si parla di digitale e informatica nel pubblico se fossi un amministratore mi ricorderei delle eccellenze del territorio. Invece non c’è stata una volta in cui siamo stati chiamati per problematiche o consigli riguardanti il nostro campo. Di Itway parlano tutti bene ma nel momento del ragionamento si dimenticano che ci siamo. Ma succede, purtroppo, anche in altri settori economici del territorio. Ma non ci abbattiamo d’animo e spesso, in modo proattivo, proponiamo opportunità per migliorare la nostra città, il nostro territorio».

A proposito di politica, a giugno si vota…
«Nella cosiddetta opposizione non vedo idee molto chiare, vi è molta divisione. In pochi si sono presi la briga di venirsi a confrontare in modo serio con il mondo imprenditoriale. Ovvio che sono di parte però se pensiamo che le aziende associate a Confindustria o alla piccola industria impiegano il 70-75 percento della forza lavoro, facendo sistema anche con le piccole imprese artigiane, dovrebbe interessare cosa ne pensiamo».

Per chi vota?
«Intanto non andrò al mare. Su chi votare in questo momento ci sto riflettendo. Con il mestiere che faccio è anche corretto essere nello stesso verso di chi crea occasioni economiche e di lavoro e permette alle aziende di respirare meglio».

Qualcuno le ha mai chiesto di fare politica o lei ha pensato di farla?
«In passato qualche avvicinamento c’è stato ma in questo momento è importante lo sviluppo del gruppo industriale che guido. Per quell’Advisory Board sarei volentieri disponibile».

A luglio Itway compirà vent’anni. Facciamo un bilancio?
«Ho iniziato un mese prima di compiere 35 anni con un figlio di due, lasciando un posto più che sicuro da direttore generale in Esa Software di Rimini. Un atto di coraggio, ritrovandomi a fare l’imprenditore, un mestiere nuovo, anche se facevo il dirigente d’azienda da quando avevo 27 anni. Oggi siamo un importante gruppo industriale informatico italiano, quotato in Borsa da 15 anni, che si è espanso in 7 Paesi e continuerà ad espandersi e che da lavoro a oltre 300 persone, circa 100 delle quali a Ravenna. Mio figlio, Massimiliano, sta per laurearsi in Economia alla Bocconi. Insomma la mia vita è cambiata parecchio ma lo spirito dell’innovazione, della scienza, della costruzione del benessere sociale e della sfida rimane immutato».

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