Offshore, saranno dismesse 15 piattaforme entro tre anni

I timori degli operatori: «Servono investimenti». Il sindaco propone: «Partiamo con Angela Angelina, entro il 2021»

Saranno 15 le piattaforme che verranno dismesse entro il 2020 al largo della costa ravennate e romagnola. A dirlo è l’ingegner Franco Terlizzese, al vertice della direzione generale per la sicurezza anche ambientale delle attività minerarie ed energetiche del Ministero dello Sviluppo Economico. «Si parla di piattaforme relativamente piccole. Inoltre i rischi per l’ambiente, dato che si tratta di estrazione di gas e non di petrolio, sono minori».

Nel contesto delle dismissioni, le associazioni ambientaliste hanno comunque puntato il dito contro quelli che ritengono  favoritismi alle aziende e, in un duro comunicato, di escamotage studiati per non fare smontare i macchinari giunti a fine vita. Il riferimento è ad un decreto governativo allo studio che – in estrema sintesi – prevederebbe alcune semplificazioni burocratiche per nuove ricerche e dismissioni, con la possibilità di lasciare una parte delle strutture in mare. Terlizzese ha una visione diversa. Secondo il direttore generale, non è detto che sia meno costoso smantellare una piattaforma rispetto all’altra opzione che si ha di fronte: dismetterla solo parzialmente e trasformarla in un luogo diverso, con elevato pregio ambientale. «Per quanto ci riguarda, con le principali associazioni ambientaliste abbiamo un confronto aperto e credo che le piattaforme non più operative possano essere utilizzate ad altri scopi». La memoria va al Paguro, la piattaforma affondata nel 1965 e diventata oggi un luogo protetto, tra quelli più visitati dai subacquei. In ogni caso «per la dismissione saranno seguite precise linee guida per evitare rischi all’ambiente e operare in piena sicurezza». Del tema si è parlato del pomeriggio del 29 marzo, in apertura di Omc.

Di certo le dismissioni possono essere un nuovo mercato per le aziende locali. Sono una quarantina le piattaforme non più operative. Non è detto, però, che vengano smantellate tutte. Alcune potrebbero essere riutilizzate per ammodernamenti ed eventuali nuovi utilizzi. «Le dismissioni sono di certo un’opportunità per le ditte dell’indotto ma si tratta pur sempre di investimenti a somma zero mentre eventuali nuove ricerche possono dare nuove prospettive al settore. Il tutto tenendo presente che in futuro non si potrà perforare all’interno delle 12 miglia». Parte dell’investimento promosso da Eni da 600 milioni di euro – ricorda il dirigente – dovrebbe essere dedicato proprio a smantellamenti e riammodernamento dell’esistente. L’Alto Adriatico può essere ancora una fonte di energia interessante per quanto riguarda il gas? «Va sempre tenuta una riserva su quello che sarà il futuro, ricordando ad esempio che per i pozzi di Rockefeller si prevedeva l’esaurimento negli anni Settanta e Ottanta…».

Alla tavola rotonda del 29 marzo, il presidente del Roca (Ravenna Offshore Contractors Association) Franco Nanni ricorda che le dismissioni sono di certo un bel business ma che non può essere una sostituzione dell’attuale settore: «Per smantellare una piattaforma servono diecimila ore lavoro, per costruirla duecentomila». In altre parole «ben venga il decommissioning ma a questo deve seguire una fase di nuovi investimenti». Alcune aziende hanno già progetti e studi per trasformare le piattaforme in luoghi da sfruttare per altri tipi di energie ma Massimo Marani, sindacalista della Filctem-Cgil, frena gli entusiasmi: «Non è pensabile trasformare il tecnico dell’offshore in un installatore di pannelli fotovoltaici. Di certo il mix energetico è la ricetta del futuro ma è un’illusione pensare che si creino subito altri 6.700 posti di lavoro, quanti sono quelli di oggi nell’offshore ravennate». Serve quindi una fase di transizione che potrebbe coincidere con i «dieci o 15 anni di riserve di gas che si trovano ancora oggi nella nostra zona». Ma quale può essere la prima piattaforma su cui sperimentare la conversione? Il sindaco Michele de Pascale non ha dubbi: «Angela Angelina. Eni concorda con noi: quella piattaforma ha ormai esaurito la sua storia produttiva e può essere utilizzata per le energie rinnovabili». La piattaforma in questione ha la concessione per estrarre fino al 2027 ma il Comune ha chiesto ad Eni di anticiparne la chiusura, anche in un recente ordine del giorno. La trattativa col Cane a Sei Zampe è aperta e punta a chiudere i rubinetti del pozzo nel 2021.

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