Fresco ed esuberante Durello

Dagli autoctoni vitigni veneti di Durella emerge un nuovo spumante di qualità

Durello Spumante

Mi piace l’idea di dedicare questa puntata di “Mondo Vino” a un prodotto che lentamente si sta affermando, attirando sempre più l’attenzione di appassionati e operatori di settore: il Durello.
Mi piace scriverne in queste pagine di tale vino perché credo sia giusto rendere noti i progressi, i miglioramenti di chi produce e sia importante segnalare al grande pubblico l’emergere di piccole novità,  perle enoiche che possono dare soddisfazione e possono fare la differenza.
Questione di orgoglio potrebbe affermare qualcuno di voi, bonariamente. Forse, ma rimane che la nostra penisola è così ricca di opportunità da mettere nel calice che bere le solite cose sarebbe una sciatteria. Un peccato rispetto alle nostre tradizioni, la buona tavola, la fantasia e soprattutto verso noi stessi che ci priviamo del piacere della scoperta. Sono sempre molto attento verso le produzioni di “casa nostra”, verso quelle uve autoctone cui nessuno fa eco se non a “giochi fatti”, quando cioè gli stessi vini sono già sulla bocca di tutti.
Oggi si parla sempre più di uve native, indigene, di territorio ma quando queste si versano nel calice, una volta trasformate in vino, lasciano sempre qualche perplessità sul viso di chi assaggia. Lì si comprende che siamo ancora in una fase di tendenza modaiola. D’altronde i vini ottenuti da uve legate profondamente al proprio territorio, spesso creano confusione al consumatore che domanda “per sentito dire“ ma rischia di non intendere per scarsa conoscenza. I vitigni autoctoni sono a volte vini dalle acidità oltre misura o dai tannini dalle ruvidità estreme, dove le cosiddette morbidezze sono vittima del tempo necessario per far si che queste possano esprimersi. Si è così abituati all’internazionale, al facile da bere, che quando si presenta qualcosa di propriamente territoriale c’è chi fa fatica non solo a riconoscerlo ma ad accettarlo.
Molti consumatori, forse, chiedono vini del territorio più per inseguire un trend che per cultura vera e propria. Per il wine lover intraprendente, pronunciare un nome poco noto davanti agli amici in un bar o ristorante, può essere un punto d’orgoglio. È positivo, poco importa se chiede un Inzolia o un Catarratto, un Soave piuttosto che un Pagadebit, l’importante è che sia curiosità verso il proprio territorio. Secondo statistiche abbastanza recenti, pare che l’attenzione verso i vini prodotti con uve autoctone sia in aumento in Italia e all’estero. Se prima lo sguardo era volto verso l’esterno, ora è al proprio territorio che l’appassionato e gli operatori guardano. Sono da poco di ritorno dal veronese e se anche questa zona richiama alla mente vini dai nomi altisonanti, uno per tutti è l’Amarone, troviamo tante piccole produzioni di vero interesse. Un pregio per il gusto e la cultura enologica.
Tra queste, c’è proprio l’uva denominata Durella da cui si vinifica il Durello. Un involontario gioco di parole per identificare un vino che in versione spumante è piacevole e intrigante. Quando fatto bene e con attenzione. Una piccola gioia per il palato grazie alla originale freschezza acida che, soprattutto in un’estate calda come questa, aiuta a non rinunciare a un buon calice di vino per chi vuole bere buone bollicine oltre il gettonatissimo Prosecco che, purtroppo, sta rischiando di assumere un’immagine sempre più massificata con una produzione ipertrofica, a volte pure scadente.
In passato ho fatto assaggi regolari di Durello spumante e pur notandone la potenzialità non ve ne ho mai parlato. Inutile descrivere un potenziale non svolto, vini ingarbugliati da problemi di espressione cui serviva tempo per crescere.
Da un anno a questa parte, invece, assaggiando questo spumante, noto con piacere essere ora, pulito, fresco, ben fatto e capace di deliziare palato e olfatto. I produttori di Durello non sono molti, circa una trentina per lo più raccolti attorno al “Consorzio tutela Lessini Durello” che, in quanto istituzione, è sempre più impegnata a diffondere la qualitàdi di questo prodotto. Per scoprire questo vino occorre spostarsi sul versante vicentino. Siamo nella zona collinare in provincia di Verona e Vicenza nettamente caratterizzata da suoli vulcanici.
Una definizione geologica oggi sulla bocca di tutti che serve per definire determinate caratteristiche che effettivamente fanno la differenza a casa di quei produttori attenti nel vinificare ciò che il vigneto porta.

Una lunga storia

Dal Duràcinus di Plinio il vecchio alla Doc dei Monti Lessini

La “Duràsena” dal latino Durus Acinus che ne identificava la buccia coriacea, era conosciuta fin dall’anno mille. Documenti attestano la presenza in territorio veneto di quest’uva fin dal 1200, eco degli scritti di Plinio il Vecchio che non mancava di scrivere del Duràcinus. Ricordiamo anche che in questa zona furono gli antichi Romani a portare diversi vitigni e a sperimentare quali uve erano migliori per il territorio. Il nome, però, era dovuto anche a un’altra caratteristica che fa si che oggi il Durello sia vinificato in versione spumante: l’acidità.
La Durella è, infatti, un’uva che ha un’acidità molto alta che gli permette di essere vinificata sia col metodo Charmat, ossia in autoclave esattamente come si fa per il Prosecco per intenderci, sia nella versione metodo classico con una coraggiosa rifermentazione sui lieviti minimo di 24 mesi ma che alcuni portano fino a tre anni circa. Una sfida ai metodi classici più blasonati.
Questo vino fa parte della “Doc Monte Lessini Durello”, una denominazione del 1987 ma dove ancora le idee non erano chiare e si percepiva solo il potenziale di questa straordinaria freschezza acida e gradevole sapidità che, insieme, permettevano sì un’importante longevità, ma non consentivano di conquistare i mercati. Finché le prime versioni di spumante, confermarono il valore che poteva nascere da questa soluzione di vinificazione.

Durello Cibo

Prospettive

Quelle bollicine si sposano con tanti buoni piatti: una versatilità da premiare

C’è da chiedersi quale sarà il futuro del Durello. I produttori con cui ogni tanto mi confronto sono ottimisti. Negli ultimi anni hanno tirato fuori la giusta grinta, spinti da un sano senso di rivalsa e di desiderio di far conoscere al mondo (e ai mercati) il proprio spumante.
Vogliono far sapere che oltre ai soliti noti ci sono anche le loro bollicine in grado di essere all’altezza della tavola più raffinata. Il Durello spumante si presta a innumerevoli abbinamenti che vanno oltre al solito pescato e crostacei. Il Durello, infatti, ben si sposa con piatti di salumi di pregio, risotti elaborati, formaggi freschi abbinati a loro volta ai pani saporiti tanto di moda oggi. Perfetto, con certe carni bianche, le uova, le insalate estive e anche con le paste elaborate.
La mia personale opinione è che se i produttori continueranno a lavorare con questo impegno a breve sentiremo parlare di questo vino sempre di più e poco manca per fare il salto all’estero. D’altronde, nessuno è profeta in patria. Alla fine si sa che all’estero sono più bravi a scovare e apprezzare le qualità del nostro territorio.
Se penso al Durello, mi viene in mente il Timorasso, storia di un vino piemontese per certi versi simile. Un vino che nessuno voleva nemmeno assaggiare, un’uva in estinzione che i produttori non desideravano piantare se non per un produttore che grazie alla sua caparbietà ha trascinato alla rinascita un intero territorio. Oggi questo vino è conosciuto sia a livello nazionale e internazionale ed è stimato perfino da quelli che prima lo ignoravano bellamente, mentre oggi ne cantano le lodi assieme ai giornalisti che ne reclamano addirittura la responsabilità e i meriti per averne divulgato le virtù  per primi. Con il il Durello si potrebbe ripetere la stessa storia, per lo meno il percorso fino ad ora è abbastanza simile anche se siamo ancora lontani dal riconosciuto podio. Prima sottovalutato, allungato perfino con l’acqua e paragonato alla peggior produzione poi, in questo caso grazie alla forza dei tanti piccoli e bravi produttori, verso le stelle, acclamato e cercato sia dagli appassionati sia da chi fino ancora oggi storce suo malgrado il naso quando qualcuno, invece, più attento ne tratteggia le lodi. Solo una previsione per ora: “Il tempo è amico di chi sa aspettare” recitava un vecchio adagio, per il resto auguriamo il meglio a questi inarrestabili produttori e a questo vino futuro rappresentante del “Made in Italy”.

Doc

Fra i bianchi una questione di stile

Durello Viti

Potreste trovare nel panorama dei Monti Lessini il  “Doc Monti Lessini Bianco” che consente l’uso delle diverse uve come da disciplinare. In questo caso spetta al produttore e alla sua perspicacia di interpretare il territorio a definire uno stile e un carattere al proprio stile. In questo caso, infatti, il produttore non è obbligato a particolari usi percentuali delle uve indicate.

Versioni

Metodo tradizionale italiano, Classico e perfino Passito

Durello fa rima con i Monti Lessini. È la zona che determina l’area di produzione e che ne riconosce la Doc. In quest’ area oltre all’uva Durella troviamo: Garganega, Pinot Grigio, bianco e nero e uve riconosciute internazionali quali Sauvignon e Chardonnay. Nello specifico, nella produzione del Durello i produttori possono usare un massimo del 15% di Garganega, Pinot bianco, Chardonnay e Pinot nero. La spumantizzazione avviene in autoclave denominato anche, per ovvi motivi storici, “Metodo Martinotti” o anche “Metodo tradizionale italiano”. Ammetto che quest’ultima definizione è una delle mie preferite. Potreste anche imbattervi nella versione “Metodo Classico”, rifermentato in bottiglia, denominato, in questo caso, “Riserva” con minimo 24 mesi di affinamento sui lieviti. Vi è inoltre la versione “Monti Lessini Durello Tranquillo” meno impegnativo e il “Monti Lessini Durello Passito”, da uva Durella lasciata appassire sui graticci per un minimo quattro o sei mesi. Una “chicca” che vale la pena assaggiare soprattutto se trovate il produttore valido.

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