Il 17 gennaio alla stadio di servizio Eni la titolare è stata colpita con un tubo di metallo sotto gli occhi del figlio per 200 euro. Fermato un 36enne: per la squadra mobile ha commesso altri tre colpi a mano armata
È stato individuato il presunto autore della violenta rapina al distributore Eni di Ravenna in via Destra Canale Molinetto nella mattinata del 17 gennaio: la titolare è stata colpita con un tubo di metallo davanti al figlio per un bottino di 200 euro. Il sospettato è un 36enne: la sera del 20 gennaio è stato arrestato dalla squadra mobile eseguendo un fermo di indiziato di delitto. Secondo gli investigatori è responsabile anche di almeno altre tre rapine a mano armata: nelle ultime tre settimane con l’utilizzo di oggetti contundenti avrebbe agito in un’altra stazione di servizio e in due negozi di generi alimentari di Ravenna e Cervia.
Gli accertamenti investigativi hanno permesso agli investigatori di notare che il malvivente, in occasione del sopralluogo e della fuga dopo la rapina del 17 gennaio, avesse nella propria disponibilità una bicicletta di un acceso colore arancio.
L’ipotesi che il rapinatore utilizzasse anche il treno per i suoi spostamenti ha trovato conferma dall’esame delle numerose ore di registrazione delle videocamere di sorveglianza delle aree interessate dai fatti e nei pressi delle stazioni ferroviarie del circondario.
Grazie anche alla collaborazione degli agenti del polfer di Ravenna, gli investigatori della Mobile hanno individuato la bicicletta utilizzata dal presunto rapinatore, che è stato arrestato in stazione a Cervia nel momento di salire in sella.
La perquisizione nella residenza dell’uomo ha permesso di rinvenire alcuni capi di abbigliamento (un giubbotto, un cappellino e un paio di scarpe) ritenuti compatibili con quelli utilizzati dal rapinatore nel corso delle varie azioni. Sono in corso ulteriori approfondimenti coordinati dalla procura della Repubblica.
Sono 1.873, su circa 2.500 tamponi, i casi di positività accertati in un giorno in provincia di Ravenna. Dove si registrano altri 4 morti con il virus, tra cui anche un 56enne. Una persona in meno invece nelle terapie intensive della provincia, dove sono ricoverati con il Covid otto persone.
I dati sono aggiornati alle 12 di oggi, 24 gennaio.
IL BOLLETTINO REGIONALE DEL 24 GENNAIO
Dall’inizio dell’epidemia da Coronavirus, in Emilia-Romagna si sono registrati 948.126 casi di positività, 14.719 in più rispetto a ieri, su un totale di 35.301 tamponi eseguiti nelle ultime 24 ore, di cui 13.790 molecolari e 21.511 test antigenici rapidi.
Complessivamente, la percentuale dei nuovi positivi sul numero di tamponi fatti è del 41,7%, un valore non indicativo dell’andamento generale visto il numero di tamponi effettuati, che nei giorni festivi è inferiore rispetto agli altri giorni e soprattutto i tamponi molecolari vengono fatti prioritariamente su casi per i quali spesso è atteso il risultato positivo.
I pazienti attualmente ricoverati nelle terapie intensive dell’Emilia-Romagna sono 148 (-4 rispetto a ieri, pari al -2,6%), l’età media è di 63 anni. Sul totale, 92 non sono vaccinati (zero dosi di vaccino ricevute, età media 62,3 anni), il 62,2%; 56 sono vaccinati con ciclo completo (età media 64,2 anni). Un dato che va rapportato al fatto che le persone over 12 vaccinate con ciclo completo in Emilia-Romagna sono quasi 3,7 milioni, circa 300mila quelle vaccinabili che ancora non lo hanno fatto: la percentuale di non vaccinati ricoverati in terapia intensiva è quindi molto più alta rispetto a chi si è vaccinato.
Per quanto riguarda i pazienti ricoverati negli altri reparti Covid, sono 2.625 (+83 rispetto a ieri, +3,3%), età media 69,7 anni.
I casi attivi, cioè i malati effettivi, sono 376.703 (+8.175). Di questi, le persone in isolamento a casa, ovvero quelle con sintomi lievi che non richiedono cure ospedaliere o risultano prive di sintomi, sono complessivamente 373.930 (+8.096), il 99,3% del totale dei casi attivi.
Le persone complessivamente guarite sono 6.504 in più rispetto a ieri e raggiungono quota 556.612.
Purtroppo, si registrano 40 decessi: 2 in provincia di Piacenza (due donne di 78 e 90 anni); 7 in provincia di Parma (tre uomini di 79, 82 e 83 anni, 2 donne di 82 anni e altre due di 91 e 92 anni); 3 in provincia di Reggio Emilia (un uomo di 80 anni e due donne di 76 e 78 anni); 7 in provincia di Modena (quattro uomini di 74, 83, 88 e 106 anni e tre donne di 78, 81 e 95 anni); 3 in provincia di Bologna (tre uomini di 75, 82 e 85 anni); 3 in provincia di Ferrara (due uomini entrambi di 90 anni e una donna di 93 anni); 4 in provincia di Ravenna (tre uomini di 56, 88 e 95 anni e una donna di 89 anni); 4 in provincia di Forlì-Cesena (tre uomini di 78, 85 e 97 anni e una donna di 93 anni); 7 in provincia di Rimini (quattro uomini di 68, 77, 84, 91 anni e tre donne di cui due di 74 anni e una di 84).
In totale, dall’inizio dell’epidemia, i decessi in regione sono stati 14.811.
Lavorava completamente in nero in un cantiere di Faenza, percependo il reddito di cittadinanza.
A incastrare l’operaio – che aveva tentato una piccola fuga durante le fasi di identificazione – è stato il personale dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Ravenna durante un controllo in un cantiere di un fabbricato in ristrutturazione.
L’uomo, di nazionalità egiziana, è risultato privo della comunicazione al Centro per l’Impiego e del contratto di lavoro.
Gli ispettori hanno anche accertato violazioni sul ponteggio del cantiere, che è risultato sguarnito in quota di una parte dei parapetti a protezione delle cadute; oltre a constatare che il quadro elettrico di cantiere non era a norma.
Infine, una delle imprese esecutrici è risultata priva dell’idoneità tecnico/professionale a eseguire i lavori che erano stati affidati.
Al termine dei controlli sono state irrogate sanzioni complessive per 10 mila euro.
Continua l’allarme smog in tutta l’Emilia-Romagna con misure emergenziali per contenere i livelli di polveri sottili in atmosfera che sono ormai in vigore da dieci giorni.
L’ultimo bollettino dell’Arpae comunica che l’allerta prosegue in tutta la regione fino a mercoledì 26 compreso.
Tra le disposizioni previste ci sono lo stop anche ai veicoli diesel Euro 4, riscaldamenti abbassati e limiti sulla combustione delle biomasse.
Il caso è quello della morte del 19enne di Lugo per overdose di metadone. Nsc contesta il processo a carico di due militari
Il Nuovo sindacato carabinieri annuncia la richiesta al ministero di un’ispezione alla Procura di Ravenna dopo l’assoluzione per due sottufficiali dell’Arma, accusati di omissioni nell’indagine sulla morte di Matteo Ballardini, 19enne di Lugo deceduto la mattina del 12 aprile 2017 per overdose da metadone.
Una vicenda da cui è nato un processo a quattro amici: in appello l’omicidio volontario con dolo eventuale è stato derubricato in morte come conseguenza di altro reato per la ragazza che gli passò la dose letale e in omissione di soccorso aggravata per gli altri tre e pende il ricorso in Cassazione.
Nsc contesta duramente, però, un filone secondario, quello avviato a carico dei due carabinieri per presunte omissioni in perquisizioni o acquisizioni testimoniali. Nella motivazione dell’assoluzione, pronunciata il 22 luglio, il collegio, evidenzia il segretario nazionale Massimiliano Zetti “non ha ravvisato gli elementi costitutivi del delitto, sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto quello soggettivo”. I due sottufficiali imputati, si ricorda, sono stati “sottoposti dal 2017 al 2021 ad indagini, sino a giungere ad un dibattimento pubblico, per aver assunto comportamenti inerenti il proprio lavoro, leciti, coerenti e cogenti alle circostanze”. Inoltre la Corte ha stabilito che proprio gli accertamenti avviati dai due non solo non avevano intralciato le indagini, bensì “hanno costituito in tutto il prosieguo del procedimento la piattaforma logica e probatoria a cui si sono ispirate le forze di polizia giudiziaria subentrata”.
Non solo: “la lettura della sentenza offre uno scenario inquietante del rapporto investigativo che si instaura (o si dovrebbe instaurare) durante un’indagine tra il Pm, che dirige, e le forze di polizia, un rapporto che dovrebbe basarsi sulla fiducia”.
Per questi motivi il sindacato chiede di conoscere le statistiche sul numero di iscrizioni nel registro degli indagati, in Procura a Ravenna, di appartenenti alle forze di Polizia “culminati con l’assoluzione piena o per insussistenza del reato negli ultimi dieci anni”. (ANSA).
Lo scrittore ha appena dato alle stampe il suo terzo libro Fiordicotone: «Conoscere la storia significa capire chi siamo. Gli uomini ripetono gli stessi errori e purtroppo i giovani non sanno molto: a scuola spesso studiano solo le date…»
Pluripremiato con i romanzi La quarta estate e Il bambino del treno (entrambi editi da Piemme), Paolo Casadio torna in libreria con il terzo libro, Fiordicotone (Manni editore).
Come nei romanzi precedenti, lo scrittore sceglie l’ambientazione della seconda guerra mondiale e ancora una volta ci parla del- l’orrore della Shoah: una donna sopravvissuta ai campi torna a Lugo alla ricerca della figlia, che era stata nascosta e protetta da uno scono- sciuto al momento dell’arresto.
Per chi volesse saperne di più sono diversi gli incontri in calendario con Casadio nei prossimi giorni tra cui giovedì 27 gennaio alle 17.30 alla Trisi di Lugo e altri ne sono previsti a seguire. Intanto, abbiamo fatto due chiacchiere con l’autore a proposito del libro e non solo.
Casadio, perché tornare a questo periodo storico?
«Sono storie che mi accompagnano fin dalla mia infanzia, dai racconti di mia nonna che era nata nel 1908 e che quando stava con me rinunciava alla lettura di “Grand Hotel” e mi raccontava le storie della guerra. Viveva in una casa poco fuori Ravenna dove un giorno si trovarono i canadesi appostati dietro la parete sud e i tedeschi su quella a nord: per un giorno lei si trovò sul fronte, dentro la sua stessa casa. Poi, sempre da ragazzino, ho visto tanti film su quell’epoca che mi hanno molto colpito. Da adulto ho continuato a documentarmi. La guerra, nel suo orrore, è un’esperienza enorme per gli esseri umani in cui emergono insieme gli slanci più nobili e i gesti più vergognosi. A questo si aggiunge ciò che è stata la Shoah, qualcosa di inimmaginabile e continuo a chiedermi come possa essere accaduto e perché».
La storia è ambientata a Lugo, dove effettivamente c’è sempre stata una comunità ebraica. E ancora oggi sono tante le famiglie lughesi che possono raccontare di aver nascosto un ebreo in casa all’epoca. Lei peraltro racconta una vita quasi idilliaca nel ghetto prima della guerra.
«Sì, la comunità ebraica è stata quella che ha reso Lugo nella storia un mercato noto fino in Francia e ha rappresentato fino al 10 percento della popolazione. E già prima della guerra c’era una grande integrazione e in effetti sono stati molti i lughesi che si sono in qualche modo ribellati agli arresti di matrice razziale. Leggendo cronache e documenti, sappiamo per esempio di un maresciallo che avvisò una famiglia per darle il tempo di fuggire prima dell’arresto, un primario nascose alcuni ebrei in reparto all’Umberto I fingendo che fossero pazienti ingessati. E poi ci fu Vittorio Zanzi, che ha salvato centinaia di persone. Si sono messi in moto marescialli, preti e semplici cittadini per salvare i concittadini ebrei che ormai facevano parte della comunità. Un effetto anche delle idee mazziniane, socialiste e anarchiche che attraversavano allora la Romagna».
Come sempre dal suo lavoro emerge anche un’attenta documentazione. La sua protagonista è una donna che si è salvata e che per questo si sente in colpa. Un tema che ricorre spesso nelle testimonianze di chi uscì vivo da quell’inferno.
«Sì, il senso di colpa dei sopravvissuti era molto frequente e a questo spesso si doveva il loro silenzio, anche perché all’inizio non veni- vano creduti, tanto era l’orrore di cui erano stati testimoni. La mia protagonista è una bella donna che si salva perché finisce nei bordelli per i gerarchi nazisti, una realtà questa su cui è difficile trovare notizie ma che è esistita. In generale è vero, io invento poco nei miei libri, rielaboro materiali, testimonianze, attraverso gli strumenti della narrazione. Per esempio tutta la parte ambientata in Svizzera (che la protagonista attraversa nel viaggio di ritorno e dove si ferma prima di poter rientrare in Italia, ndr) nasce dal diario del colonnello elvetico Antonio Bolzani che documentò l’arrivo dei sopravvissuti. Un libro meraviglioso, che ho trovato alla biblioteca di Cotignola».
A proposito di strumenti della narrativa, l’impressione è che lei abbia usato registri diversi in base ai personaggi. Il suo italiano ironico, impastato di qualche calco dal dialetto, per esempio è riservato a don Briscola, mi pare.
«È proprio così, e ci tengo anche a dire che Don Briscola, con il suo cane Pirro, è un omaggio dichiarato a Don Fuschini. Per quanto riguarda la lingua, devo confessare che quando mi sono trovato davanti al dolore di Alma Vita, la protagonista, alla sua storia di sofferenza mi è sembrato che ogni coloritura fosse eccessiva, rischiasse lo stereotipo e così per Alma ho usato diciamo più una scrittura ad acquerello. È stata una scelta naturale, di cui mi sono reso conto alla fine».
A un certo punto descrive l’indole romagnola come “ruvida”, come “ruvido” del resto è il dialetto?
«Sì, è vero, il nostro è un dialetto aspro che ha avuto una storia e un destino diverso da altri dialetti. Ma non è solo il dialetto, ruvido è il carattere di una società sanguigna, abituata a celare i sentimenti, a schermarli. Ma questo non significa che non ci siano, anzi»,
Omero, Archimede, Velia. Anche i nomi un po’ sui generis sono tipici di queste parti.
«È vero, ci sono tante storie divertenti a questo proposito. Personalmente poi, ho l’abitudine di girare per cimiteri dove è facile, appunto, scovare questi nomi dai rimandi anche letterari».
Come ha detto, lei lavora moltissimo sulla documentazione e la ricostruzione storica. Ma crede che oggi ci sia sufficiente consapevolezza di ciò che è accaduto? E può accadere o sta accadendo? Penso per esempio ai migranti al confine orientale dell’Europa, al freddo e al gelo…
«Da un certo punto di vista la Shoah, la distruzione organizzata su scala e con modi industriali di intere popolazioni forse, mi au- guro, non potrà più accadere. Ma quello che vediamo oggi a quei confini, peraltro così vicini a dove sorsero gran parte dei campi di sterminio, davvero deve farci riflettere. La storia è maestra, ma oggi temo ci siano pochi allievi».
La storia si ripete? E i ragazzi più giovani cosa ne sanno della storia?
«Sono gli uomini che ripetono gli stessi errori. Purtroppo ho l’impressione che anche i giovani non sappiano molto, la storia imparata a scuola spesso viene percepita come una sequenza di date, mentre la storia è ciò che fa di noi quello che siamo oggi».
Stiamo rischiando di banalizzare termini come fascismo, dittatura, segregazione o anche guerra quando li usiamo per raccontare il Covid o l’uso del Green Pass?
«Certo. Qualcuno che grida di vivere in una dittatura sta dimostrando, per il solo fatto di poterlo gridare, che ciò che dice è falso. Rischiamo di banalizzare e privare queste parole di significato. Usare la stella di David è ancora un messaggio efficace e veloce, ma credo sia una vera e proprio offesa per tutti coloro che hanno perso la vita o i propri cari nello sterminio nazista. Purtroppo viviamo nell’epoca della ipersemplificazione, indotta anche dai social, dove tutto deve essere immediato ma così diventa anche superficiale. I tempi sono questi. A maggior ragione mi piace raccontare memorie il più possibile documentate».
A questo proposito, c’è già un nuovo progetto in cantiere?
«Sì, ed è il seguito de La quarta estate. Sarà ambientato sul Lago di Garda dal ‘43 al ‘45, dove passava la guerra, ai tempi della Repubblica di Salò. Anche questo frutto di un lungo lavoro di documentazione».
Parla il presidente provinciale dell’Ordine professionale: «Fatturati in aumento? Piuttosto sono aumentati i costi…»
«Se noi farmacie ci abbiamo guadagnato? Guardi, credo che nessun’altra categoria di sanitari abbia fatto come noi: ci siamo sempre stati e ci siamo sempre, siamo la porta d’accesso al servizio sanitario, ci siamo messi a disposizione dell’intero Paese. La mole di lavoro è aumentata e con essa i costi, del 30-40 percento circa. A fronte probabilmente di un fatturato maggiore forse del 10- 15, in media. Se ci abbiamo guadagnato ce lo dovranno dire i commercialisti, ma di sicuro il prezzo di 15 euro per i tamponi, non è stato fissato dal commissario nazionale per far guadagnare le farmacie, anzi…».
A parlare è Domenico Dal Re, presidente dell’Ordine dei farmacisti della provincia di Ravenna, dove sono circa 120 le farmacie, tra pubbliche e private. Che in media, in questi mesi, stanno facento un centinaio di tamponi al giorno, almeno 10mila quindi com- plessivamente.
«Di certo – continua – questa mole di attività ha portato a una grande offerta di lavoro, abbiamo assunto, quando è stato possibile, a fronte di una grave mancanza di farmacisti». Da alcuni giorni è possibile fare il tampone di inizio e fine quarantena anche in farmacia, per sgravare di lavoro gli operatori del drive through del Pala De André. Le farmacie stanno reggendo la pressione? «Diciamo che questa nuova richiesta è stata compensata da una riduzione dei tamponi per lavoro, di gente che ha deciso di vaccinarsi o che in queste settimane ha preso il Covid. Quindi sostanzialmente non abbiamo notato particolari differenze. Resta però un fatto: la situazione, nonostante quello che si dice, è sotto controllo, nessuno resta senza tampone, anche se non ha l’appuntamento. E senza aspettare neppure ore. Ora vedremo se il tampone casalingo promosso dalla Regione snellirà la situa- zione».
Convinto di questa nuova scelta? «Beh, va detto che è una possibilità riservata solo a chi ha già fatto la terza dose, il che restringe la platea considerevolemnte. In generale posso dire che di certo a casa l’esito del tampone non avrà la stessa affidabilità di quello in farmacia, tutti siamo naturalmente tentati ad andare meno in profondità…».
Consigli utili, da farmacista? «Infilare il tampone nel naso in profondità e tenerlo almeno una decina di secondi per narice. Poi altri 10-15 secondi nel liquido, agitarlo bene e aspettare almeno 15 minuti».
«Bisogna cercare regole e modalità – ha detto Bonaccini – per evitare di avere persone bloccate in casa per settimane. Da un lato snelliamo il sistema, sgraviamo i sanitari che possono occuparsi di quelli che hanno bisogno davvero e non blocchiamo a casa le persone che stanno bene. È un patto coi cittadini».
Bonaccini ha ricordato anche i dati delle vaccinazioni in Emilia-Romagna: il 93,6% della popolazione sopra i 12 anni con una dose, il 91,5% che hanno due dosi, e oltre la metà ha già avuto il booster. «Abbiamo 3,7 milioni di vaccinati con ciclo completo su 4 milioni e meno di 300mila sono i non vaccinati eppure nei reparti di terapia intensiva due terzi sono non vaccinati. Bisogna fidarsi nella scienza». (ANSA.it).
Come previsto, con il ritiro dell’autocandidatura di Silvio Berlusconi alla presidenza della Repubblica le Sardine di Ravenna hanno deciso di annullare la manifestazione prevista per oggi, 24 gennaio.
«Restiamo comunque vigili – si legge in una nota inviata alla stampa dai promotori – affinché la nostra Costituzione e i valori repubblicani non vengano calpestati da nessuno, soprattutto in questo momento delicato per il Paese in cui viene richiesto senso di responsabilità e cura delle Istituzioni».
In regione aumentano i pazienti curati in ospedale (+10 in terapia intensiva, +75 nei reparti Covid)
Nel ravennate oggi, domenica 23 gennaio, si sono registrati 1.623 casi di infezione da Coronavirus, sulla base di 3.253 tamponi esguiti. Si tratta di 780 maschi e di 843 pazienti femmine. Sono stati rilevati anche 6 decessi: 5 pazienti di sesso maschile di 78, 85 (due) 87 e 89 anni e una paziente di sesso femminile di 85 anni.
I casi di contagio al virus complessivamente diagnosticati da inizio contagio nel ravennate sono 84.937.
In Emilia-Romagn i casi di positività rilevati nelle ultime 24 ore sono 19.630 in più rispetto a ieri,su un totale di 61.590 tamponi eseguiti nelle ultime 24 ore, di cui 20.243 molecolari e 41.347 test antigenici rapidi. Questo dato comprende i 1.350 casi dei giorni scorsi relativi alla provincia di Ferrara che sono stati recuperati oggi. Complessivamente, la percentuale dei nuovi positivi sul numero di tamponi fatti è del 31,9%. Se si considerassero i casi reali odierni, quindi 18.280, la percentuale scende al 29,7%.
L’età media dei nuovi positivi di oggi è di 35,2 anni.
La situazione dei contagi nelle province vede Bologna con 4.202 nuovi casi (su un totale dall’inizio dell’epidemia di 188.462); a seguire Modena (2.410 su 147.962 ), Ferrara (2.331 – di cui 981 quelli odierni e i rimanenti recuperati dai giorni scorsi – su 59.254), Reggio Emilia (2.181 su 102.738), Rimini (1.839 su 95.440), Ravenna (1.623 su 84.937 ), Parma (1.543 su 74.595), Cesena (1.113 su 53.454), Forlì (898 su 44.018). Seguono Piacenza (803 su 53.416 ) e il Circondario di Imola con 660 nuovi casi di positività su un totale da inizio pandemia di 29.146.
Le persone complessivamente guarite sono 9.171 in più rispetto a ieri e raggiungono quota 550.108.
D’altra parte in regione si registrano 23 decessi: 5 in provincia di Parma (due uomini di 88 e 67 anni, tre donne di 93, 89 e 82 anni); 1 in provincia di Reggio Emilia (una donna di 88 anni); 2 in provincia di Modena (un uomo di 77 e una donna di 91 anni); 5 in provincia di Bologna (due uomini di 93 e 90 anni, tre donne di 99, 95 e 81 anni); 1 in provincia di Ferrara (una donna di 77 anni); 6 in provincia di Ravenna; 2 in provincia di Forlì-Cesena (due donne di 91 e 76 anni); 1 in provincia di Rimini (un uomo di 64 anni). Nessun decesso è stato registrato a Piacenza.
In totale, dall’inizio dell’epidemia, i decessi in regione sono stati 14.771.
I pazienti attualmente ricoverati nelle terapie intensive dell’Emilia-Romagna sono 152 (+10 rispetto a ieri, pari al +7%), l’età media è di 61,9 anni. Sul totale, 91 non sono vaccinati (zero dosi di vaccino ricevute, età media 61,2 anni), il 59,9 %; 61 sono vaccinati con ciclo completo (età media 63,1 anni). Un dato che va rapportato al fatto che le persone over 12 vaccinate con ciclo completo in Emilia-Romagna sono quasi 3,7 milioni, circa 300mila quelle vaccinabili che ancora non lo hanno fatto: la percentuale di non vaccinati ricoverati in terapia intensiva è quindi molto più alta rispetto a chi si è vaccinato.
Sul territorio, i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono così distribuiti: 7 a Piacenza (+1 rispetto a ieri), 22 a Parma (+2); 14 a Reggio Emilia (invariato); 22 a Modena (+1); 34 a Bologna (-1); 12 a Imola (+2); 11 a Ferrara (+1); 9 a Ravenna (+2); 4 a Forlì (+1); 5 a Cesena (+1); 12 a Rimini (invariato).
Per quanto riguarda i pazienti ricoverati negli altri reparti Covid, sono 2.542 (+75 rispetto a ieri, +3%), età media 69,8 anni.
Continua intanto la campagna vaccinale anti-Covid. Alle ore 13 di oggi erano state somministrate complessivamente 9.387.968 dosi; sul totale sono 3.676.508 le persone over 12 che hanno completato il ciclo vaccinale, il 91,5%. Le terze dosi fatte sono 2.113.059.
L’architetto ravennate recentemente scomparso “si racconta” in una densa intervista del 2014
L’Itis “Baldini” di Ravenna, progettato da Naglia con Manzone e Gamberini
In ricordo del compianto architetto ravennate Danilo Naglia recuperiamo dal nostro archivio (rivista “Casa Premium” del novembre 2014) una densa conversazione fra la nostra collaboratrice Marina Mannucci e il noto progettista che “si racconta” sul piano personale, professionale e, per così dire, etico e politico.
Circa vent’anni fa [scrive Marina Mannucci alla fine del 2014, ndr] mi capitò di contattare l’architetto Danilo Naglia per una consulenza professionale riguardo ad una casa da ristrutturare, un’occasione che ci ha permesso di conoscerci e di far crescere un rapporto di stima e amicizia reciproca che ci accompagna nel tempo.
Incontro Danilo in un bar del centro e, mentre sorseggiamo un caffè, inizia a raccontarmi momenti di storia della sua vita. Lo ascolto e prendo appunti…
«Ho deciso di frequentare la Facoltà di Architettura perché, avendo fatto il Liceo Artistico, era lo sbocco più adatto, ed anche perché, come forma artistica, mi dava la possibilità di esprimere il mio temperamento. È stata una scelta giusta, ma avrei potuto impegnarmi anche in altri campi. Sono nato e cresciuto in un ambiente in cui era naturale respirare “una certa aria”; mio padre era pittore ed ha insegnato all’Accademia, mia madre, oltre a dipingere miniature sull’avorio, suonava il pianoforte.
Tra gli anni ’50 e ’60 mi sono quindi iscritto alla Facoltà di Architettura di Venezia, ritenuta tra le migliori del mondo. In quel periodo, oltre ad essere un’università “libera”, vi erano confluiti i migliori professori: nel bienno ho avuto come docente di Architettura Bruno Zevi che svecchiò il clima portando il respiro dell’Architettura Organica, al terzo anno ebbi Ignazio Gardella per l’approccio alla progettazione, mentre Franco Albini, docente di Architettura degli Interni, mi ha trasmesso una grande dimensione della concezione di libertà. Franco Albini non imponeva mai nulla a noi studenti; ricordo che una volta gli chiedemmo di disegnare una casa popolare perché per noi era un tema importante ed un’altra volta di studiare un auditorium e lui ha sempre accettato ed appoggiato le nostre proposte.
Questo clima di libertà ci ha permesso di maturare. Alla Facoltà di Architettura, a quei tempi, si accedeva solo dai licei ed in più c’era la presenza costante del doppio binomio umanistico e scientifico. Giuseppe Samonà, direttore della Facoltà, era un uomo che aveva intuizioni formidabili, con un controllo permanente della cultura che poi si traduceva in problematicità. Di conseguenza, ci ha abituato ad affrontare gli studi in modo serio, diffondendo nello stesso tempo, tra noi studenti, un clima di entusiasmo.
Chi usciva non poteva che essere un Architetto e non un cialtrone e quindi la selezione era seria e rigorosa e quelli che arrivavano in fondo al percorso di studi erano pochi.
Condominio piazza Marsala
Condominio piazza Marsala
Scala interna Banca Popolare
Cortile esterno Banca Popolare
Giunto alla fine di questo corso di studi, ero un uomo formato sia culturalmente che politicamente e mi vennero offerte tutte le possibilità per realizzarmi. L’urbanistica a quei tempi si affrontava al quarto e quinto anno ed era un esercizio di composizione su scala territoriale. Io e il mio amico Gino Gamberini chiedemmo di farlo studiando il fenomeno dell’abbandono dell’Appennino imolese-faentino per vedere quello che si poteva fare a livello urbanistico.Con Gino iniziammo a girare tutta la zona di Casola Valsenio in Lambretta, venendo a conoscenza della situazione di povertà, indigenza e di mancanza di servizi in cui viveva la popolazione. Studiammo il territorio per capire cosa si potesse fare per dare un modo migliore di vita a quelle persone ed elaborammo un progetto.
Un’esperienza che ci ha insegnato che la funzione dell’architetto non è solo fare cose belle, ma soprattutto essere utile nella società e sapere ogni volta che posizione prendere. Una volta laureati, il sindaco Amleto Rossini di Casola Valsenio ci chiamò e ci affidò l’incarico di progettare una scuola elementare. Con Gino andammo a vedere i difficili percorsi che i bambini dovevano fare per andare a scuola, ed anche come vivevano dentro la scuola, che era allora un luogo squallido, umido, senza luce e senza riscaldamento. Quel progetto fu per noi l’occasione di realizzare nella vallata un luogo che potesse soddisfare tutte le esigenze di vita di quelle persone. Pensammo la scuola come un “centro sociale”.
Dopo questa misura morale e culturale che ho ricevuto dall’Università, parallelamente all’esercizio della mia professione ho sempre avuto a cura la difesa dell’ambiente e un amore sterminato per la mia terra. Negli anni ’70, girando per le valli ravennati, mi accorsi che, sia all’alba che al tramonto, il colore viola che contraddistingueva quel paesaggio stava scomparendo. Stavano sfalciando tutti i limonium, l’erba valliva chiamata anche statice, i cui fiori riuniti in infiorescenze erano di colore rosa, purpureo o violetto, un intervento che aveva tolto qualcosa di fondamentale alla connotazione estetica di quei luoghi. Inviai una lettera al professor Francesco Corbetta naturalista e botanico, che a quei tempi era direttore della rivista “Natura e montagna” e, grazie ad un suo intervento l’area venne sottoposta a vincoli paesaggistici arrestando sottrazione e massacro del paesaggio. Ritengo questo un successo della mia vita.
Casa Melandri ingresso
Casa Melandri interno
Un altro risultato positivo che reputo tale per la mia presenza nella società è stato recuperare la memoria di Roberto Bacchi, mio ex compagno di classe di quarta elementare, grazie anche all’intervento dell’allora direttore delle scuole elementari Mordani Giorgio Gaudenzi. Nel 1943 Roberto Bachi, ebreo, fu obbligato a salire su un treno che lo deportò nel campo di sterminio di Auschwitz senza più fare ritorno. Ora, tutti gli anni, il suo ricordo rivive nel “Giorno della Memoria”.
Tirando le somme della mia vita come architetto, penso di aver lasciato segni decorosi nella città. Ogni giorno è fondamentale per vedere in che modo la propria coscienza è stata rispettata. Scriveva Immanuel Kant nella conclusione della Critica della ragion pratica: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza”.
Ecco, io credo sia fondamentale mantenere questo doppio rapporto con la bellezza dell’universo e con la propria coscienza che è il nostro limite. Per quanto concerne il problema metafisico, esso non mi riguarda: Deus sive natura, come rifletteva Baruch Spinoza: “Dio ossia la natura”. Questi pensieri di Kant e di Spinoza sono la coscienza della mia vita. Morire essendosi portati rispetto è fondamentale, non sento il bisogno di avere la speranza di premi “futuri”; quando non ci sarò più, saranno i segni che ho lasciato a dimostrare che sono esistito».
casa Biagetti esterno
Casa Biagetti interno
Tra questi segni a quali sei particolarmente legato?
«Tra gli edifici che ho progettato mi piace ricordare: l’Istituto Tecnico Industriale di Ravenna, opera progettata anche con Antonino Manzone e Gino Gamberini; il condominio residenziale Marsala situato tra piazza Marsala e Via Salara; si tratta del primo tentativo che ho fatto di inserire un edificio moderno nel centro storico, per il quale Ignazio Gardella mi fece i complimenti quando venne a Ravenna in occasione della presentazione dei suoi mobili; l’edificio Yacthman House di Marina di Ravenna; l’intervento interno di Casa Melandri; l’intervento in piazza dell’Arcivescovado all’ex Istituto Bancario San Paolo di Torino ora Banca Popolare; la casa del dottor Lucinelli di Lugo; le case che ho progettato per Raffaello Biagetti; il condominio Verde di via Mario Montanari…».
Ed il presente?
«Mi capita spesso di sognare cose che non ho fatto, credo sia la necessità che è ancora viva in me di produrre in immagini le cose che ho in mente. Il mio cervello è ancora capace di emozioni; le emozioni appartengono a un campo privato, anche se alcune emozioni con gli anni si attenuano fino a scomparire. Ma natura, pittura, e musica mi sconvolgono ancora adesso.
Un’ultima riflessione riguardo al graffitismo che, nato alla fine degli anni sessanta a New York per rispondere ad un’esigenza espressiva ed anche come forma di rivendicazione, spesso illegale, di diritto alla parola, negli ultimi anni sembra essersi riappacificato col sistema oltre ad essere entrato a far parte anche di un circuito artistico. Una forma d’arte, dunque, divenuta un coloratissimo fenomeno di costume, allontanandosi da qualsiasi rivoluzione intellettuale e per la quale lo Stato si pone spesso come agenzia culturale, con la conseguenza che inesorabilmente il gesto anarchico del writer viene condizionato nella sua libertà».
Murales Itis di SeaCreative
Murales Itis di Milo
Non credi sarebbe importante in questo passaggio, riflettere su come salvaguardare una più spontanea e libera produzione da parte di questi artisti?
«Sono d’accordo. È sempre necessario porsi di fronte alle cose con un atteggiamento problematico ed in questo caso le riflessioni da fare sono su piani diversi. Personalmente non sono contrario ai graffiti urbani, penso però che a volte i writer in qualche modo vengano strumentalizzati da un meccanismo; manca inoltre una coscienza culturale del “dove” sia giusto e dove non sia giusto intervenire con un graffito. I graffiti del muro di Berlino sono stati un modo di protestare contro un’ingiustizia commessa in una città. Un conto poi è se le pitture interessano un muro amorfo o le pareti di un edificio di architettura moderna. La riflessione quindi da fare a priori è: quando si può intervenire con un graffito e quando no. A Ravenna di posti dove si possono fare questi tipi di interventi ce ne sono. Io scrissi anni fa che un modo di ovviare allo scempio paesaggistico provocato dalle fabbriche di via Baiona sarebbe stato dipingerne i muri di cinta. I graffiti di Milo e SeaCreative sulle pareti esterne, affacciate su via Cassino e piazzale Sighinolfi dell’Istituto tecnico industriale da me progettato andavano lette come un volume, non come una lavagna. Se poi vogliamo parlare di graffiti come arte, posso aggiungere che il graffito dalla parte del mercato è rispettoso della geometria della parete e ne ha compreso il senso, il graffito dall’altra parete non ha nessun valore. Per concludere, credo ci debba essere un rapporto corretto tra decorazione e cultura, la collaborazione tra arti deve avvenire in modo organico e questo è un problema appunto di cultura».
Nei nuovi bandi dell’ente camerale incentivi anche per le aziende più giovani e con rating di legalità
Digitale, nascita di nuove imprese, orientamento e supporto all’incontro fra domanda e offerta di lavoro, valorizzazione del turismo e del patrimonio culturale, ricambio generazionale, sostegno all’occupazione, accesso al credito e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Queste le priorità del Comitato provinciale per l’imprenditoria femminile (Cif) della Camera di commercio di Ravenna per accompagnare le imprese femminili del territorio provinciale sulla strada della ripresa dopo i gravi effetti generati dalle restrizioni per la pandemia.
«In questi mesi di pandemia – ha sottolineato Antonella Bandoli, presidente del Comitato provinciale per l’imprenditoria femminile – 2 aziende femminili su 5 hanno utilizzato i nostri servizi, della distanza abbiamo fatto un’occasione di presenza e di prossimità a tante imprenditrici ed aspiranti imprenditrici della nostra provincia. La fotografia dell’imprenditoria femminile che l’Osservatorio della Camera di commercio ci restituisce – ha aggiunto Bandoli – è quella di una realtà dinamica, fatta di imprese che nascono, crescono, si consolidano nel tempo, entrano a pieno titolo nel sistema economico locale. Il mettersi in proprio di tante donne non rappresenta solo una chiave per l’affermazione personale e professionale, ma, soprattutto, è un fattore fondamentale di crescita e sviluppo di un intero sistema economico. Il Comitato continuerà a mettere a valore questo asset con interventi concreti, diffusi e, dunque, sempre più vicini alle esigenze delle donne che fanno impresa».
Secondo l’Osservatorio dell’economia dell’Ente camerale, nel terzo trimestre 2021 la consistenza delle imprese femminili attive in provincia di Ravenna si attesta su 8.066 unità, pari al 21% del totale del sistema produttivo locale (20,7% in Emilia Romagna; 22% mediamente in Italia). Il saldo della movimentazione risulta positivo (+8 unità) e in miglioramento rispetto al dato negativo dello stesso periodo del 2019 (quando era -9). Rispetto al trimestre pre-covid, il risultato è stato determinato soprattutto dalla diminuzione delle chiusure volontarie che è stata accompagnata da un piccolo incremento delle iscrizioni. Nel trimestre in esame, le aperture di imprese gestite da donne rappresentano il 26,6% del totale delle iscrizioni.
Intanto è stata accolta la proposta del Cif di inserire in tutti i Bandi promossi dalla Camera di Commercio apposite premialità per le imprese femminili, giovanili e per quelle in possesso del rating di legalità.
Le nuove imprese ravennati ad esempio, iscritte al Registro imprese a partire dall’1 gennaio 2021, possono presentare alla Camera di Commercio, domanda di contributo entro le ore 19 di lunedì 31 gennaio, fino a un massimo di 5mila euro, con la premialità di 250 euro se dovuta.
Fanno parte del Comitato provinciale per l’imprenditoria femminile della Camera di commercio di Ravenna, tra i primi ad essere costituito nel nostro Paese con l’obiettivo di sviluppare iniziative, di avanzare proposte e di tradurre, in progetti ed azioni, le aspettative e le necessità delle donne imprenditrici del territorio provinciale: Antonella Bandoli (Presidente), Elena Zannoni (Vice Presidente), Corinna Armuzzi, Daniela Brandino, Alice Branzanti, Loredana Buscaroli, Laura Cenni, Nicolina Cirelli, Claudia Cuppi, Giulia Gallamini, Stefania Malavolti, Anna Maria Minguzzi.