Una summa dell’arte italiana attraverso venti secoli e la figura di Maddalena

La nuova mostra dei Musei San Domenico di Forlì merita il grande successo che sta ottenendo

La mostra sulla figura della Maddalena aperta a Forlì è la diciasettesima messa in campo dai Musei di San Domenico che già si profila come punta di diamante delle attuali esposizioni in Romagna: a nemmeno due mesi dall’apertura ha già raggiunto i 30mila visitatori segnando un trend di visite costante. Oltre al forte sostegno di una Fondazione bancaria – che punta unicamente alle mostre in San Domenico – occorre contare sulla credibilità del Comitato scientifico dei complesso museale fra cui spicca il nome di Antonio Paolucci, ex direttore dei Musei Vaticani, assieme a quelli del giornalista Gianfranco Brunelli e di storici e storiche dell’arte come Fernando Mazzocca, Cristina Acidini e Paola Refice.

Scelto il progetto ci si è affidati per la curatela della mostra a studiosi di rilievo come Marco Antonio Bazzocchi e Sonia Cavicchioli e ad un numero eccezionale di collaboratori per la schedatura delle opere. La mostra apre quindi con prestiti ed opere eccezionali fin dall’immagine guida desunta dal particolare delle braccia spalancate di Maddalena nella cimasa eseguita da Masaccio e opera capitale degli inizi del Rinascimento italiano.

Figura costante della storia dell’arte occidentale, Maddalena – nota anche come Maria di Màgdala – secondo i vangeli canonici è la donna che segue Cristo con devozione, assiste alla sua crocifissione, è nel gruppo delle donne che constata il sepolcro vuoto ed è la prima a cui Cristo appare dopo la morte. Fra i vangeli apocrifi e gnostici, essa appare anche come apostola a cui viene intitolato un vangelo. Nel corso carsico delle testimonianze che appaiono, scompaiono e si mescolano, Maddalena assume anche tratti di altre donne: fra le confusioni più resistenti e infine accettate, quella di essere una prostituta redenta – in realtà l’evangelista Luca descriveva la reproba come una donna anonima, distinta da Maddalena – che bagna con le sue lacrime i piedi del Signore e li asciuga coi suoi lunghi capelli. Nonostante alcuni padri della Chiesa ribadissero le differenti figure femminili distinte da Maria di Màgdala, la Chiesa scelse quella di peccatrice convertita.

Nella prima sezione della mostra – che esemplifica il passaggio di Maddalena da figura novotestamentaria a personaggio dell’arte – alcuni crocefissi dipinti fra Medioevo e Rinascimento mostrano la donna ai piedi della croce, contraddistinta dai lunghissimi capelli biondi come incarnazione del presunto peccato e della redenzione. Si tratta di un’iconografia adottata in ambito francescano attorno alla fine del Duecento quando l’ordine – devoto all’iconografia della croce – difende la povertà della Chiesa e trova sostegno teorico e politico da parte casa francese degli Angiò. In questa apertura sui contesti in cui appare la santa, si trova anche una splendida Crocefissione del Barocci di fine ‘500 proveniente da Urbino in cui Maddalena compare nella triade consueta ai piedi di Cristo morente, assieme alla Vergine e a san Giovanni. Sbalorditiva – ma per il Barocci e la sua bottega non è una novità – la resa serica degli abiti e dei capelli di Maddalena, probabilmente qui inserita su richiesta di Angelica Benedetti, una delle fondatrici della Chiesa della Morte urbinate.

Nella stessa sala appare anche il tema del Compianto sul Cristo morto, che affaccia al mondo occidentale fin dall’alto Medioevo e si diffonde grazie alla macchina del dolore messa in campo fra i primi da Cimabue. Rimandando col pensiero al dolore della Maddalena descritta in modo esemplare da Giotto a Padova e da lui riproposto poi nella cappella della Maddalena della basilica di Assisi, sono i compianti in scultura – detti Sepolcri e nati proprio nel corso del ‘300 – a concentrare l’attenzione dei visitatori. Databile alla fine del ‘400, il Compianto in terracotta dipinta del modenese Guido Mazzoni proviene da una chiesa alla periferia di Ferrara abbattuta durante la II guerra mondiale: venne commissionato probabilmente dalla duchessa Eleonora d’Aragona il cui ritratto appare nelle vesti di Maria di Cleofa assieme a quella del consorte duca d’Este – al posto di Giuseppe d’Arimatea – sulla destra del gruppo dei dolenti. Altrettanto incredibile è il contemporaneo Compianto attribuito a Domenico Merzagora in legno di pioppo dipinto proveniente da una valle piemontese e oggi conservato a Torino in cui una Maddalena dai fluidi capelli biondi compare nella posizione tradizionale ai piedi di Cristo deposto. Nelle sale seguenti vengono quindi illustrati altri contesti narrativi in cui Maddalena compare come il Noli me tangere – quando Cristo risorto appare alla santa – e l’eremitaggio di Maddalena alla fine della sua vita, secondo il racconto agiografico diffuso dalla Legenda aurea. Secondo questa fonte, la santa verrà presentata vestita solo dai lunghi capelli come nella tavola del Maestro della Maddalena delle Gallerie dell’Accademia di Firenze, datato al 1280.

In mostra, tramite vasi greci, rilievi ellenistici e sarcofagi romani si dipana la disperazione attorno alla morte dell’eroe Meleagro che costituisce il più grande esempio di studio per gli artisti del Rinascimento. Il confronto è palmare grazie alla presenza di incisioni del Mantegna, disegni a penna di Bandinelli, riproduzioni a stampa da originali di Raffaello. A seguire compaiono reperti sconosciuti al grande pubblico ma di rara bellezza come un dittico in avorio di fattura carolingia con scene della Passione a cui si aggiungono due capitelli romanici, affascinanti perché uno di questi presenta una iconografia rara, quella delle tre pie donne che acquistano gli unguenti per Cristo presso i mercanti. Si tratta di un episodio sconosciuto ai vangeli – riportato in alcuni poemi didattici di età tardoimperiale e in un dramma liturgico del XII secolo – ma diffuso dal teatro popolare della passione durante la Settimana santa.

La sezione rinascimentale prosegue l’esplorazione dei temi già citati oltre ad aggiungere alcune immagini della santa eremita e della Mirofora, portatrice del vasi di unguenti: a parte alcuni reperti minori per palati raffinati – come l’anonima Santa Maria egiziaca ferrarese della metà del ‘400 – i capolavori sono innumerevoli. Antonio del Pollaiolo, Donatello, Andrea della Robbia, Laurana, Masaccio, Crivelli, Bellini, Perugino, Signorelli, Dürer, Romanino, Veronese, Savoldo, Pontormo, Tintoretto, e i secoli successivi con Artemisia Gentileschi, Guercino, Pietro da Cortona, Lanfranco, Canova.

La mostra in sintesi è una sorta di summa dell’arte italiana attraverso più di venti secoli e la figura di Maddaelena e se le immagini sembrano fiaccarsi verso la metà dell’Ottocento nelle produzioni fredde dei nazareni, troppo descrittive dei realisti o fintamente drammatiche dei simbolisti, il viraggio nel ‘900 riprende quota pur senza raggiungere i vertici dei secoli precedenti. Maddalena diventa infatti figura marginale nelle opere di Manzù e Guttuso, assente in un bel lavoro di Melotti o troppo umana nella trasposizione di De Chirico.

Rimane la bellezza esplosiva delle sale precedenti a garantire il grande successo che merita questa mostra, conclusa superbamente da un video di Bill Viola, artista statunitense che rende l’intensità del dolore in un coinvolgente Acceptance, allestito nel 2017 a Firenze in dialogo con la dolente e modernissima Maddalena di Donatello.

Maddalena. Il mistero e l’immagine; fino al 10 luglio 2022;
Forlì, Musei di San Domenico; orari: LU-VE 9.30-19; SA-DO e festivi 9.30-20;
biglietto 14 euro – ridotto 12; gratuito entro 6 anni e riduzioni per famiglie.

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