Il paradigma delle donne: da Medea a Miss Marple

Personaggi, trame, regie, storie al femminile nelle stagioni dei teatri in provincia di Ravenna

Inkitchentheory

Una scena dello spettacolo “Inkitchentheory”

Da Medea a Miss Marple, da Filomena Marturano alle donne alla ricerca di ricette d’amore, le stagioni di quest’anno sembrano attraversate da figure femminili paradigmatiche. Anche se il maschile e femminile come categorie assolute, dirimenti, sembrano essere messe in discussione, il palcoscenico si popola di donne, spesso scritte, dirette e pensate da uomini: se il teatro è una maschera, il mascheramento del sesso e del genere sessuato è parte costitutiva della fibra teatrale. A partire appunto dalla protagonista straniera per eccellenza, la Medea di Euripide che ha inaugurato la stagione a Lugo.
Branciaroli sembra voler nelle sue ultime scelte, come ad esempio nel Macbeth dell’anno scorso, fornire una specie di enciclopedia delle sue interpretazioni più importanti. La riproposizione della tragedia euripidea nella regia del compianto Luca Ronconi sta proprio in questa cifra. La maga della Colchide, che tradisce patria e famiglia per l’amore del giovane ateniese, è sicuramente il modello più volte evocato anche nella classica cronaca nera nei casi di infanticidio materno. Sentito come il più terribile dei tradimenti e dei delitti, viene compiuto sulla scena del IV secolo da una straniera, purgata dal letto dell’eroe Giasone proprio per la sua estraneità alla città: la sua scelta di sparire, di mostrare la ferita del tradimento subito portandosi con sè i figli all’occhio dello spettatore antico suonava tollerabile, in quanto appunto atto tremendo di chi non è della polis. Oggi questo aspetto potrebbe risuonare in orecchi e occhi che nuovamente collocano l’indicibile nell’altro geografico, anche se questo non è forse l’elemento su cui la regia di Ronconi si concentrò.

È di nuovo la madre a collocarsi al centro della drammaturgia anche di Stabat Mater di Antonio Tarantino al Masini di Faenza l’11 febbraio. La genealogia della madre, per dirla con la filosofa della differenza di genere che ne ha fatto una delle chiave interpretative che hanno fondato una delle poche scuole filosofiche originali nel panorama italiano, viene cucita addosso a Maria Paiato, che interpreta ruoli maschili e femminili rovesciando l’uso antico, in questa attualizzazione della Madre del Cristo che sarà messa al mondo, visto che è una prima, proprio nella città manfreda in chiusura di cartellone.

La prima regia invece femminile che incontriamo è nella danza urbana di Marisa Ragazzo che con thekitchentheory (in aprile al Masini) ci riporta nello spazio fisico, memoriale, denso di parole e conti in sospeso della cucina. La compagnia Dacru interseca il racconto teatrale con la narrazione dei corpi. La poetica della Ragazzo è immersa nel mood metropolitano, movimenti veloci, tradizione hip hop fanno tutti parte della sua pratica. Come entra la città in cucina?

Come sempre con le donne si può anche ridere e riderne: Ricette d’amore, nella tradizione almodovariana sull’orlo di una crisi di nervi, ha messo in scena (il 19 gennaio a Faenza) molte donne, tra cui la stessa autrice della piece in veste di attrice. L’idea si regge sui classici degli equivoci: quattro donne che condividono molto per una serie di eventi hanno una storia con lo stesso uomo, ma nessuna sa dell’altra, fino a quando non si rompe la beffa…

In questo caso quindi molte che si contendono uno, ma essere due o uno? Ecco (in novembre a Bagnacavallo) l’amata variazione sul tema di Alan Bennet in Nudi e crudi, in cui una rodata e noiosa coppia di conservatori inglesi viene messa a dura prova da un furto. Un furto totale, la casa completamente vuota… Lei coglie l’occasione per qualche piccola trasgressione, mentre lui rimane aggrappato alle vecchie abitudini. Da notare che il drammaturgo inglese questa volta si è misurato con il romanzo breve, da cui poi è stata tratta la versione teatrali. Quanto si può vivere aggrappati alla routine, al già visto è anche la trama de Il padre (andato in scena in ottobre a Bagnacavallo), che pur concentrandosi sulla perdita della memoria del bravissimo Alessandro Haber, mantiene nella figlia un centro di osservazione. È lei a perdere consapevolmente la routine, la lettura che ha sempre dato della vita.

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Una foto di scena da “Filumena Marturano” in scena a Ravenna

Si torna sulla madre a Ravenna (8, 9 e 10 febbraio), con Filumena Marturano per la regia di Liliana Cavani, alla sua prima prova con la prosa (mentre ha già sperimentato l’Opera): la regista di Al di là del bene e del male, mette in scena la madre mistificatrice, raggirata, rancorosa. Un personaggio che ha visto molte attrici lasciare il proprio segno su questa interpretazione (pensiamo alla Melato!), proprio per i molti registri che Eduardo richiede. Ha una regia femminile anche la versione teatrale del romanzo di Michela Murgia Accabadora (24 febbraio a Ravenna): una visione tutta femminile, centrata sulla genealogia e la ricorrenza delle radici che incuriosisce proprio perchè trasformato in un monologo dal fortunatissimo testo della scrittrice sarda. In qualche modo continua la sentenza finale della Marturano di Edoardo: Filomena non svela il segreto a Domenico, che l’ha veramente sposata sapendo che uno dei tre figli è in realtà suo, ma quale sia non lo sapremo mai… Così anche Accabadora ha al centro la questione della madre biologica o madre adottiva.
D’altro canto questo andare e venire tra cinema, letteratura e teatro, come se un magnete riportasse sempre sulla tavola di legno e il sipario, oppure, se vogliamo essere più negativi, come se avesse bisogno di altri codici e storie, incapace di produrre drammaturgia autenticamente pensata sulla scena, è un altro aspetto smaccatamente evidente nella programmazione di questa stagione che ritorna anche nel Paradiso perduto, Paradiso ritrovato, tratto da Milton di Elena Bucci a Russi insieme al prezioso Prima della pensione, ovvero Cospiratori di Bernhard: siamo di nuovo nel ventre molle della famiglia. Un interno claustrofobico, a cui chi ama l’austriaco drammaturgo è avvezzo, due donne e un uomo, da cui dipendono, da cui sono diversamente soggiogate. Il tema esistenziale diventa politico ben presto, quando il trio diventa cospiratorio, si allea contro un certificato nemico esterno, nel momento opportuno. I tre sono i fantasmi che si materializzano, e li abbiamo sotto gli occhi nelle elezioni tedesche per esempio, di sepolti, “fintamente ammansiti”, che aspettano all’ombra della storia il momento per ricomparire. Quello del nazismo mai morto è un tema sinistramente ricorrente in molta narrativa, e il misantropo Bernhardt sembra dare una forma dualmente femminile alle ancelle del maschio predatore interpretato da Marco Sgrosso.

E infine, se si vuole un’immagine non conturbante, non interrogante, almeno a livello di quesiti esistenziali, vi potete godere anche Miss Marple, giochi di prestigio, adattato per il teatro da Edoardo Erba presenta nei panni della simpatica investigatrice nata dalla fantasia di Agatha Christie, Maria Amelia Monti, che sinceramente è molto lontana come physique du role dalla Margaret Rutherford che la interpretava in bianco e nero, ruvida o la più recente interprete Julia McKenzie. Forse servirà a costruire un immaginario con una investigatrice provetta molto più giovane e magra di quanto non la immaginiamo.

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