“1917”, la rivoluzione comunista riletta da ErosAntEros

Intervista ai protagonisti Davide Sacco e Agata Tomsic, lui regista, lei drammaturga e attrice, in scena con il Quartetto Noûs

Davide Sacco e Agata Tomsic

1917 è uno spettacolo teatrale e musicale di ErosAntEros – Davide Sacco e Agata Tomsic – che rilegge le opere di Blok, Chlebnikov, Esenin, Gerenzon, Majakovskij e Pasternak selezionate dal professore Fausto Malcovati. In scena anche il Quartetto Noûs alle prese con una partitura di Shostakovich (il Quartetto n. 8 in do minore op. 110).

Commissionato dal Ravenna Festival è in programma il 28 giugno, alle 21, al teatro Alighieri, in prima nazionale.

Dopo esservi cimentati in Allarmi! con il neofascismo ora con questo spettacolo affronterete la rivoluzione comunista. In questi anni di allontanamento dei giovani dalla politica, cosa vi ha spinto invece in questa direzione? Definireste il vostro teatro politico?
«La tensione politica dei nostri ultimi lavori nasce da una domanda sul nostro fare e sul teatro come scelta di vita, che abbiamo iniziato a porci a partire dal 2012 con il progetto Come le lucciole e che ha continuato a spingerci a scegliere come oggetti di indagine dei nostri lavori temi attuali o secondo noi “utili” a interpretare e riflettere sul nostro presente. C’è chi ha definito il nostro teatro “politico” e si tratta di un appellativo di cui, a differenza di altri nostri coetanei, siamo felici. Quello che perseguiamo è un teatro “impegnato” che allo stesso tempo non rinuncia al valore estetico della forma, inseguendo l’ideale di un “teatro popolare di ricerca” (Leo De Berardinis), capace di riavvicinare i cittadini alla cultura e alla politica».
Cosa hanno ancora di dirompente parole di questi pensatori “sconfitti” dalla storia come Aleksandr Blok, Vladimir Majakovskij o Boris Pasternak?
«Sapere cosa ne ha fatto la storia rende le parole di questi poeti spesso commoventi. Rileggendole si prova nostalgia della tenacia con cui Majakovskij in primis, ma anche Blok, Chlebnikov e Esenin mettevano la propria produzione letteraria al servizio dell’ideale sociale e culturale in cui credevano. Walter Benjamin nei suoi saggi sul Concetto di storia sosteneva che attraverso la pratica della “citazione” era possibile ridare dignità al passato oppresso, dandogli una nuova possibilità di realizzarsi concretamente. In maniera analoga, con questo lavoro, vogliamo dare a questi poeti la possibilità di infiammare nuovi cuori, sperando che almeno qualcuno esca dallo spettacolo avendo voglia di ripensare il proprio presente e di lottare assieme a “noi” per un migliore futuro».
«Che cosa fu ideato? Rifare tutto. Fare in modo che tutto diventi nuovo; che la nostra falsa, sporca, tediosa, mostruosa vita diventi una vita giusta, pulita, allegra, bellissima». Scriveva Blok nel saggio L’intelligencija e la rivoluzione. Sembrano parole particolarmente amare visto che di quella «giusta, allegra e bellissima vita» non si realizzò per nessuno dei poeti della rivoluzione. Lo stesso Blok dopo essere caduto in depressione morì, come scrissero alcuni, per “mancanza d’aria”. Cosa rimane oggi di quella spinta ideale?
«Da queste parole potremmo imparare che, come insegna Georges Didi-Huberman, “l’immaginazione è politica” e si tratta di una facoltà che la nostra società deve reimparare a far propria. Non possiamo accettare il presente come immutabile, altrimenti questo presente non verrà mai agito da noi, ma soltanto da coloro che detengono il potere economico e fanno di tutto per conservarlo. Da Blok dobbiamo imparare a sognare una “giusta, allegra e bellissima vita” di tutti e per tutti; e a darci da fare perché si realizzi. Anche se lui ha “fallito”, non riprovarci sarebbe un fallimento ancora più grande».
Artisticamente e teatralmente furono anni di grande rinnovamento grazie alle avanguardie. Avete in qualche modo ripreso anche questo aspetto in 1917?
«Certamente. Il Costruttivismo ha ispirato le animazioni video di Gianluca Sacco e i costumi di Laura Dondoli, con riferimenti alle opere di Dmitry Bisti, El Lissitzky, Aleksandr Rodčenko. Per quel che riguarda invece la performatività della figura di Agata, ci siamo fatti influenzare dalle avanguardie teatrali, in particolare dall’interesse che queste avevano per la Commedia dell’Arte e la commistione dei generi».
Come è l’esperienza di lavorare con un quartetto d’archi?
«Il lavoro sul suono e la voce sono da sempre al centro del nostro teatro, e relazionarci con il Quartetto Noûs è stata una sfida che abbiamo subito accettato con entusiasmo. Il suggerimento viene dalla direzione artistica del Festival, si tratta di un lavoro nato su loro commissione che ci ha subito accesi: era da anni che volevamo lavorare sulla Rivoluzione d’Ottobre, quale migliore occasione per farlo…».

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