Siamo sicuri che siano (solo) i genitori, il problema del calcio (giovanile)?

Prima il padre che se la prende con l’allenatore del figlio di una decina d’anni, “reo” di averlo sostituito, arrivando perfino a colpirlo con una testata. Poi il pugno preso da un altro padre dopo una serie di sfottò tra genitori in tribuna durante un torneo di calcio giovanile a Punta Marina.

Due episodi di cronaca, accaduti a Ravenna nel giro di pochi giorni (ma chissà quanti altri ne stanno succedendo, senza che riescano a trovare rilevanza pubblica), che non fanno altro che confermare quello che è inevitabile pensare se si è soliti assistere a partite di calcio giovanile (e nel mio caso posso parlare con anni di esperienza alle spalle): la maggior parte dei genitori dovrebbe restare a casa e limitarsi a farsi raccontare in un secondo momento dal figlio se si è divertito. La colpa è dei genitori, certo, sempre più apprensivi, sempre più impauriti, come se davvero perdere una partita o venire sostituito possa rappresentare un trauma per il figlio e non una invece auspicabile “sconfitta”, di quelle che aiutano a crescere, come si diceva una volta. Genitori sempre più fragili, come in tutti i campi, che spesso vorrebbero per i figli quello che non hanno avuto loro dalla vita, forse, finendo con il vivere attraverso di loro, senza riuscire così ad aiutarli crescere.

Fin qui tutto “normale”, purtroppo, banalità sotto gli occhi di tutti. Il problema, però, è che i genitori sono anche una conseguenza di un mondo dello sport che fatica tremendamente a fare cultura, il calcio in particolare (e lo dico da tifoso, di calcio), che si lamenta per quei genitori ma dà in mano bambini ad allenatori frustrati che a loro volta pensano più a vincere che a educare. Società che si riempiono la bocca di principi sportivi e fair-play, ma che fanno selezione già tra bambini di 6-7 anni, per cercare di vincere una partita. Che piuttosto che insegnare ai bambini a giocare, insegnano loro a vincere, con tutto quello che ne consegue. Sono davvero pochi gli allenatori e le rispettive società che riescono a guardare oltre e a mettere in primo piano i valori e la cultura, per quanto possa averne il calcio.

Anche la scuola, come sempre, potrebbe fare la propria parte, ma quando si terrà un vero corso di educazione sportiva nelle scuole (al posto di un paio d’ore a settimana di calcetto) non potrò certo essere ancora qui a parlarne…

Una società figlia del risultato, in definitiva, non solo in ambito sportivo, non potrà fare altro che crescere figli (e soprattutto genitori) che vedono nel risultato l’unica cosa che conta. Come dei tifosi, con tutti i lati negativi che comporta. Tipo quelli del Ravenna che vedono una notizia sul nostro sito di ragazzi ravennati che si sono messi in mostra con la maglia del Cesena come una mancanza di rispetto, giusto per fare un esempio…

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