Coronavirus in Svizzera: «Qui le multe non servono, basta il senso civico»

Testimonianza dell’ingegnere ravennate Andrea De Marsi lavora a Lugano in un’azienda del podcasting

Andrea De Marsi

Andrea De Marsi, ravennate residente a Lugano, con la sua compagna

«In Svizzera con un solo foglio ti accreditano subito fino a 500.000 franchi sul conto», disse Matteo Salvini.
«Non mi risulta che sia proprio così». Ci dice chi in Svizzera, effettivamente, ci abita. Non che ci fosse bisogno di smentita, ovviamente, essendo già stato appurato che il riferimento era a una sorta di prestito garantito dalla Confederazione agli imprenditori e non certo a soldi a fondo perduto come si era voluto far intendere.

A parlare è uno dei tanti ravennati che stanno vivendo questa emergenza mondiale dall’estero, Lugano per la precisione, a pochi chilometri dal confine, nel più italiano dei Cantoni svizzeri, il Ticino. Dove si è trasferito nel 2011 ma che frequenta dal lontano 2006, dopo aver conosciuto la sua attuale compagna – una donna greca che lavora per un’azienda farmaceutica –, con cui al momento sta affrontando questo isolamento forzato.

«Praticamente non esco di casa da inizio marzo – ci racconta Andrea De Marsi, 45enne ingegnere delle telecomunicazioni, laureatosi a Bologna dopo lo studio al liceo scientifico Oriani di Ravenna –, qui essendo uno stato confederale le misure sono state messe in campo inizialmente dalle autorità del Cantone, con alcuni giorni di ritardo rispetto all’Italia e in maniera più graduale, ma ugualmente stringenti, essendo l’esempio della Lombardia molto vicino ed essendoci migliaia di frontalieri che ogni giorno varcavano i confini per lavoro. Non per niente è stato il Cantone più colpito dal virus, tra i 26 della Svizzera».

Limitazioni graduali quindi – fino al lockdown proclamato per l’intero stato dalla Confederazione, «con un provvedimento che non veniva preso dalla Seconda Guerra Mondiale» – che mettono in luce alcune differenze di pensiero tra autorità italiane e svizzere. «Inizialmente per esempio hanno deciso di mantenere le scuole aperte, per fare in modo che i bambini non fossero costretti a stare a casa con i nonni, gli anziani, considerata la popolazione più a rischio». E ora che c’è stato un piccolo allentamento delle misure e gli anziani possono uscire solo in orari contingentati, per il loro bene, con un servizio attivo di spesa a domicilio per tutti gli over 65. «A Ravenna, mio padre, di 75 anni, è invece costretto ad andare a fare la spesa, al massimo ho saputo che per il domicilio si sono organizzate associazioni di volontariato. Certo, in Svizzera è tutto più facile anche perché sono molti meno…».

E come hanno preso gli svizzeri le decisioni delle autorità? «Senza polemiche, c’è molto senso civico, qui non si vedono comitive che fanno grigliate sul balcone, per esempio. Qui non fanno neppure le multe, non ce n’è bisogno, la polizia si limita a sensibilizzare quei pochi che non seguono le regole. Il tema, comunque, anche qui sta monopolizzando i programmi televisivi, se ne parla in continuazione, con tanti riferimenti anche all’Italia».
La Svizzera ha un’incidenza molto alta di contagi (in valori assoluti sono 26mila su una popolazione di 8,5 milioni), ma la sanità pare stia reggendo bene. «Direi di sì, ci sono ancora tanti posti a disposizione nei reparti di “Cure Intense”, come le chiamano qui, hanno diviso fin da subito i reparti Covid dagli altri, allestendo strutture specialistiche e riuscendo però a garantire anche il servizio sanitario per il resto della popolazione».

Per quanto riguarda gli aiuti economici messi a disposizione dallo Stato, De Marsi e la sua compagna non ne hanno bisogno. «Lei “tele-lavora” dal salotto, io sono anni che lavoro da casa, in un’azienda, di cui sono tra i soci fondatori, che impiega più di 40 persone in modalità remote working e che opera nel settore del podcasting (il prodotto più noto in Italia é spreaker.com, ndr) e in questo periodo le cose vanno piuttosto bene: il nostro fatturato deriva infatti dalle sottoscrizioni a pagamento e dalla pubblicità inserita nell’audio dei podcast e con le persone costrette a stare in casa funziona parecchio. Certo, preferirei che il lavoro andasse un po’ meno bene e che l’emergenza finisse…».

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